Di JEAN TIBLE.

This innocent country set you down in a ghetto in which,
in fact, it intended that you should perish.
Let me spell out precisely what I mean by that for the heart
of the matter is here and the crux of my dispute with my country.
You were born where you were born and faced the future that you faced
because you were black and for no other reason.
The limits to your ambition were thus expected to be settled.
You were born into a society which spelled out with brutal clarity
and in as many ways as possible that you were a worthless human being.
You were not expected to aspire to excellence.
You were expected to make peace with mediocrity.

James Baldwin. A Letter to My Nephew (1962)

There are many kinds of power, used and unused, acknowledged or otherwise.
The erotic is a resource within each of us that lies in a deeply female and
spiritual plane, firmly rooted in the power of our unexpressed or unrecognized feeling.
In order to perpetuate itself, every oppression must corrupt or distort those
various sources of power within the culture of
the oppressed that can provide energy for change.

Audre Lorde. Uses of the Erotic: The Erotic as Power (1978)

How can I tell you. How can I convince you, brother; sister that your life is in danger.
That everyday you wake up alive, relatively happy,
and a functioning human being, you are committing a rebellious act.
You as an alive and functioning queer are a revolutionary.

Manifesto Queer Nation (1990)

La vittoria, con un voto eloquente (più di 57 milioni) di un candidato che durante la campagna elettorale ha apertamente difeso la persecuzione, la tortura, la prigionia, la morte e l’esilio dei suoi avversari è tragica – per il Brasile e per il pianeta. Un fatto mondiale e forse senza precedenti nel suo grado di estremismo. Vincent Bevins, giornalista con esperienza in Brasile e Indonesia, arriva ad affermare che Jair Bolsonaro è più estremista di Rodrigo Duterte nel suo discorso e nelle sue posizioni politiche1, è che sia un Pinochet senza autocensura, ebbro del proprio autoritarismo. E questo con la confortevole legittimità delle urne elettorali (55% contro il 45% di Fernando Haddad, contando solo i voti validi), a parte le vittorie degli alleati nei governi di San Paolo, Minas Gerais e Rio de Janeiro, tra gli altri stati, e la seconda più grande sede di deputati (tenendo presente che il suo partito praticamente non esisteva prima della campagna elettorale).

Ovviamente non è stato un confronto equo, poiché il candidato preferito della popolazione secondo i sondaggi, Luiz Inácio Lula da Silva, è stato estromesso dal processo elettorale quando è stato arrestato in una sequenza da processo kafkiano. Anche il Supremo Tribunal Federal (STF) si è spinto a censurare un’intervista con Lula e la Justicia Electoral ha ordinato alla polizia di rimuovere i manifesti contro il fascismo in diverse università. Senza dimenticare il gioco sporco della campagna elettorale vincente e la sua massiccia ripresa di fake news tramite WhatsApp, il cui finanziamento tutto indica essere stato irregolare (e quindi passibile di sanzioni). Inoltre, i numeri possono essere più sfumati, in quanto il candidato vincitore ha conquistato il 39% dei voti, rispetto al 32% del suo avversario e alla cifra – record – del 29% di voti bianchi, voti nulli e astensioni (42 milioni non hanno optato per nessuno dei due candidati). In altre parole, c’è già una forte opposizione, formata soprattutto da giovani, donne, neri, della comunità LGBTQIA+, del nord-est, al di là dei movimenti sociali in generale.

Come è stata possibile l’elezione un candidato così autoritario?

È necessario analizzare i vari elementi di questo evento disastroso, che indica un salto nell’abisso deciso dalla popolazione. Recenti dibattiti di scienze politiche (soprattutto in Nord America) sulla morte della democrazia tendono a enfatizzare l’azione di leader che minerebbero le istituzioni2. Ora, con le elezioni, ci inseriamo all’interno del dibattito dei leader eletti anti-democraticamente. Fino a questo momento, il caso brasiliano è stato un po’ diverso: un lavoro “in concerto” della classe dominante e dei suoi componenti parlamentari, mediatici, militari e soprattutto giudiziari. Il sistema politico non poteva resistere e fu distrutto. I settori democratici non sono riusciti a formulare un’alternativa e la soluzione scelta dalla popolazione è stata quella autoritaria. Fatto notevole, la vittoria si è data al di fuori delle solite strutture (propaganda politica in televisione, partiti, finanziamenti) ed è stata alquanto atipica per i modelli attuali (social network, quattro anni di pre-campagna).

Golpismo atavico

Nel 2013 il Brasile stava vivendo un’auge della democrazia ed è in questo contesto che esplodono le proteste di giugno. Un grido contro un sistema politico-economico ancora schiavocrate, corrotto ed estremamente diseguale. Qualcosa di molto forte che ci ha connesso con il territorio: nel periodo precedente, praticamente in tutti i paesi dell’America Latina le lotte si sono svolte anche nelle strade e non solo nelle istituzioni; il Brasile era un’eccezione. La lotta per i trasporti esplode a San Paolo e nella violenta repressione della polizia militare, ma quella scintilla indica una corrente più sotterranea – in qualche modo non così visibile alle lenti convenzionali – che si stava sviluppando in tutto il paese3.

La paura, in generale, è sentita dalla gente comune (a causa della loro vulnerabilità permanente), ma in quei giorni cambia, in quanto tutti i poteri costituiti cominciano ad aver paura. Così, i proprietari dei media, le banche, i politici pesanti, i giudici, i militari, gli industriali e i grandi proprietari terrieri, cioè tutti i potenti, hanno provato paura, e questo ha rivelato, in un certo senso, una verità della democrazia; che il potere appartiene alla popolazione e che questa lo cede allo Stato, il quale costituirebbe il contratto sociale. In quei momenti di sconvolgimento – che sono molto preziosi e i loro effetti sono duraturi – si mostra la base genuina e dimenticata del potere, generalmente non esercitata fino a quel momento. Da qui deriva la grande forza di quegli eventi, come quello che accade nel momento in cui scrivo queste parole con il sorprendente e molteplice movimento in Francia dei gilet jaunes (gilets gialli).

Giugno rappresenta la fine della stabilità che il paese stava vivendo. I risultati di sei elezioni presidenziali consecutive indicavano una certa stabilità politica. E anche crescita con distribuzione di reddito e, forse, di ricchezza. Esistevano ancora meccanismi di partecipazione, anche se molto limitati, che però non smettevano di essere importanti. E ancora una politica estera, con le parole del Cancelliere Celso Amorim, “attiva e altera”4. A partire da giugno, il Lulismo, nella sua forma magica di dare ai poveri senza togliere i ricchi (per mezzo delle micro-politiche economiche, sociali e culturali che attivarono il mercato interno e coltivarono nuove soggettività, e per la fortuna del boom delle materie prime) non fu più possibile. Si installò un conflitto ridistributivo e si aprì un nuovo ciclo politico. A partire da questo momento tutti gli attori della società brasiliana sono stati costretti, in qualche maniera, a riposizionarsi – questo è valso per la destra, la sinistra, il centro e anche per aziende come Globo, la Federación de Industrias del Estado de San Pablo (FIESP), l’agroalimentare, i movimenti indigeni e neri, vale a dire che tutti gli attori della società brasiliana sono stati coinvolti. La banda della “operazione Lava-Jato” e i suoi alleati nazionali e internazionali sono stati uno dei settori che meglio si sono posizionati per far prevalere i loro obiettivi.

L’anno successivo, nel 2014, l’opposizione aveva tutte le carte in regola per vincere (logorio di dodici anni di governi federali del PT, economia in contrazione, inflazione soprattutto alimentare, clima post-protesta del 2013, primo governo Dilma limitato) ma non lo ha fatto. Il 70% dell’elettorato manifestava un desiderio di cambiamento, ma Aécio Neves optò per un discorso “pre-Lula” (ritorno a un certo modello neoliberale) e la popolazione voleva più servizi pubblici di qualità, una lotta contro le disuguaglianze e più partecipazione politica, non meno. L’opposizione, tuttavia, non accettò il risultato e, in questo modo, la destra moderata condizionò una destra rabbiosa. Non elaborando il lutto della sconfitta, intraprese il percorso golpista; Fernando Henrique Cardoso dichiarò che il governo di Dilma era legale ma non legittimo, pochi giorni dopo che le urne si erano espresse con più di 54 milioni di voti a favore del PT5. Lo storico continuum golpista delle élite brasiliane fu attivato in quel momento6, con chiare componenti machiste contro Dilma.

La ricercatrice e attivista Naomi Klein può aggiungere un altro caso di studio al suo importante libro7. Uno “shock-golpe” sotto forma di impeachment senza reato di responsabilità, un governo temerario e una restaurazione neoliberale nell’agenda seguente: drastica contrazione della spesa pubblica, cambiamenti nella legislazione del pré-sal a favore del capitale straniero, ri-orientamento della politica estera, soppressione dei diritti dei lavoratori, liberalizzazione generale dell’esternalizzazione, tentativi di trasformare le regole pensionistiche, attacco alle popolazioni indigene, smantellamento delle politiche culturali, riduzione dei beneficiari del programma Bolsa Familia, aumento della deforestazione, intensificazione della repressione dei movimenti sociali e una serie di atrocità che potrebbero essere elencate all’infinito.

È in questo contesto che va pensata la prigionia di Lula, personaggio che ha polarizzato le elezioni presidenziali dal secondo turno del 1989 – otto elezioni consecutive e quasi tre decenni di presenza costante al centro dell’agenda politica: un fenomeno mondiale. La sua carcerazione ha provato a impedire quella che sarebbe una vittoria elettorale molto chiara, in questo colpo di stato che si svolge in diverse fasi e prosegue il suo corso; la sua condanna si dà in un contesto di abusi nella giustizia – tenaglie illegali, inutile conduzione coercitiva, accelerazione delle scadenze, negoziazioni di pena sospette, prove inesistenti. Che cosa significa, e cosa ci insegna l’esclusione di Lula dalle elezioni e la sua cacciata? Possiamo pensare, da un lato, che il paese non accetta nemmeno un processo di cambiamento moderato e un patto minimo per ridurre le nostre aberranti disuguaglianze. Non volendo cedere assolutamente nulla, le classi dirigenti hanno rotto il contratto elettorale di base (destituendo Dilma dalla sua massima posizione politica senza che vi sia stato un reato di responsabilità). In questo modo, non hanno rispettato le regole elementari e hanno giocato sporco. Questa continuità schiavocrate non tollera le brecce create e conquistate – provocando una tragedia in Brasile e approfondendo la spirale recessiva e la sovrapposizione di diverse crisi (politica, economica, sociale, esistenziale). La fame – la fine della fame è stato il più grande simbolo delle conquiste del periodo Lula – torna ad aggirarsi di nuovo tra molte persone8. L’austerità, criminale in ogni angolo del pianeta, guadagna qui altri livelli di perversità.

Questo è negativo, anche per i proprietari del denaro e del capitale. Agirebbero contro i propri interessi? Sì, pensiamo che gli affari vanno male. No, se la loro attività è un’altra – come disse il Comitato Operaio di Porto Marghera nel decennio italiano degli anni ’70; è molto più importante comandare/dirigere che guadagnare denaro:

«Quello che dobbiamo prima di tutto dire è che è falso il luogo comune che i padroni sfruttino gli operai per arricchirsi. Quest’aspetto senz’altro esiste, ma la ricchezza dei padroni non è per nulla proporzionale al loro potere. Per esempio Agnelli in proporzione alle macchine che produce, dovrebbe andare vestito d’oro, invece egli si accontenta di una nave e di un aereo privato, cosa che può benissimo permettersi un altro padrone con una fabbrica ben più modesta della FIAT. Quello che interessa ad Agnelli è la conservazione e lo sviluppo del suo potere, che coincide con lo sviluppo e la crescita del capitalismo: cioè il capitalismo è una potenza impersonale e i capitalisti agiscono come suoi funzionari […]. Il capitalismo è sostanzialmente teso, prima di tutto a conservare questo rapporto di potere contro la classe operaia e usa il suo sviluppo per rafforzare sempre di più questo suo potere.»9

Disputa elettorale

Bolsonaro ha iniziato le elezioni avendo come punto di forza l’elettorato maschile che vive nel centro-sud del paese e ha una formazione universitaria. Nel secondo semestre del 2017, la sua candidatura deteneva il 20% di coloro che guadagnano più di 10 stipendi (2300 dollari), ma meno di una cifra di approvazione nel totale. È diventato affidabile per i settori di impresa per la vicinanza al franco tiratore del mercato finanziario Paulo Guedes, che sarà il suo super-ministro dell’economia e che fu, in seguito, grazie al sostegno dai settori dell’agroalimentare, della finanza e del commercio al dettaglio (tale migrazione si è data rafforzandosi mentre il candidato dell’establishment, Geraldo Alckmin, non ha decollato in alcun modo). Tuttavia, Bolsonaro ha ricevuto un forte rifiuto (oltre il 40%) soprattutto dalle donne, i poveri, il nord-est e i giovani. Erano limiti solidi: come è riuscito a superarli?

L’attentato a Bolsonaro del 6 settembre è stato decisivo per proteggerlo dai dibattiti in quanto si trovava in ospedale (nei primi due la sua performance era stata perdente), vittimizzandolo (proprio lui che indossa la maschera del “duro”) oltre ad offrirgli un’esposizione inedita (e “positiva”) televisiva nelle ore centrali e provocando una maggiore coesione del campo ultraconservatore. Quando si è ripreso, ha rifiutato di partecipare ai dibattiti del secondo turno e in questo modo le polemiche elettorali sono riuscite a rimanere nel campo della battaglia morale e per questo motivo, è stato eletto un candidato le cui proposte radicalizzano le azioni (di austerità, privatizzazioni e repressione) del governo di Temer, che era estremamente impopolare (ha raggiunto solo il 3% dell’opinione favorevole). La disoccupazione (che colpisce 13 milioni di brasiliani) non fu tema di discussione della campagna.

L’avvio di Bolsonaro si da nelle ultime settimane e soprattutto negli ultimi giorni prima del primo turno. Dopo l’accoltellamento si è verificata una leggera e costante crescita nei sondaggi. Venerdì 28 settembre (nove giorni prima della votazione), Edir Macedo, della Iglesia Universal del Reino de Dios e proprietario di TV Record (la seconda rete più importante) ha dichiarato il suo sostegno (il pastore Silas Malafaia e altri si erano imbarcati prima10). Sabato 29, la più grande manifestazione femminista della storia del paese (e delle elezioni) grida #elenão. I media coprono gli eventi con estrema parsimonia – poche immagini, un trattamento opposto a quello avuto nei confronti delle manifestazioni contro Dilma, che spesso hanno avuto una lunga copertura in diretta. Tuttavia, la macchina della menzogna dei sostenitori di Bolsonaro ha agito scattando in massa foto di altre manifestazioni (con donne senza magliette) e di performance forti (con crocifissi) avvenute in altri tempi e in altri contesti. Lunedì 1 ottobre, sei giorni prima del voto, il giudice Sergio Moro ha partecipato direttamente alle elezioni divulgando la negoziazione di pena dell’ex ministro di Lula e Dilma, Antonio Palocci.

Dopo la conferma dell’impossibilità della candidatura di Lula, Fernando Haddad ha assunto la candidatura del Partido de los Trabajadores (PT) l’11 settembre. La sua ascesa nei sondaggi è stata molto veloce ed è possibile che questo abbia innescato anche negli elettori più conservatori un impulso al voto utile, come mostra la caduta di Alckmin (che era già giù per il modello tucano11 dispute precedenti) e di Marina Silva (che si è conclusa con meno dell’1%). Il rapido aumento può anche aver mobilitato e attivato una delle principali correnti dell’elezione: l’”antipetismo”. La lotta tra Bolsonaro e Haddad è stata anche un duello tra rifiutati, vinto dal primo – nel momento finale prima del primo turno, il rifiuto dell’uno e dell’altro si inverte: il rifiuto del capitano è sceso sotto la barriera del 40% in quanto il rifiuto per il professore lo ha superato. Bolsonaro decolla e quasi vince al primo turno (46% dei voti validi). Nei giorni precedenti al voto, Bolsonaro era finalmente riuscito a vincere il voto più popolare (e se non fosse stato per le donne povere e i nordorientali, avrebbe liquidato le elezioni il 7 ottobre stesso). È stato questo il punto di svolta delle elezioni. Senza Lula nel dibattito, Bolsonaro è riuscito a diminuire il suo rifiuto e a conquistare una parte importante dei voti nei gradi inferiori. Come è successo? A causa del rifiuto del PT? A causa del sostegno di alcuni potenti pastori evangelici? Sarebbe stato il risultato della sordida rete di fake news? Si stima che più di sei milioni di brasiliani abbiamo deciso di votarlo lo stesso giorno delle elezioni12.

Forse l’immagine che sintetizza la campagna del PT è lo sfogo del mitico rapper Mano Brown al raduno di Rio de Janeiro quattro giorni prima delle elezioni, quando ha sottolineato che il PT avrebbe perso perché aveva perso il contatto con i quartieri popolari13. La campagna di Haddad non ha attaccato la candidatura di Bolsonaro fino al giovedì prima della votazione (credendo che sarebbe stato più facile batterlo al secondo turno?) commettendo un altro grave errore. I tentativi di mettere in guardia la popolazione sui rischi della vittoria del candidato autoritario non hanno avuto risonanza. Perché? Il PT sprecò la carta della paura nelle elezioni precedenti – l’elezione di Dilma ha optato per la paura del ritorno dei tucani neoliberali e le incertezze di Marina Silva, e successivamente ha preso la strada opposta, rompendo l’accordo elettorale elementare. Questo costò caro al PT e al Brasile. L’avvertimento dei pericoli ha avuto scarso effetto, e Haddad non è riuscito a formare, al secondo turno, un fronte democratico: il terzo più votato, Ciro Gomes, ha preferito riposare in Europa e i democratici di centro-destra hanno dimostrato di essere estremamente pochi. C’è stata una “normalizzazione” di Bolsonaro (anche comparandolo con Trump); per alcuni era una lotta tra due estremi e per altri si trattava di aspettare le prossime elezioni. Che ironia: il quotidiano Folha de Sao Paulo ha rifiutato di nominare il candidato come di estrema destra14 e ora è violentemente attaccato da lui (per aver rivelato lo “zapgate“, lo scandalo dell’invio in massa di messaggi WhatsApp con finanziamenti aziendali non dichiarati, e quindi irregolari).

Che cosa esprime Bolsonaro

Tre aspetti del voto per Bolsonaro

In primo luogo, Bolsonaro è riuscito a costituirsi come il canale politico delle proteste per l’impeachment di Dilma. Come già detto in precedenza, i tucani non hanno riconosciuto la sconfitta dell’ottobre 2014, richiesero un nuovo conteggio dei voti si attivarono con il Tribunale Elettorale Superiore (TSE). Allo stesso tempo, per la fine dell’anno furono indette proteste che riunirono a San Paolo alcune migliaia di persone (un numero importante). All’inizio del 2015, a partire da marzo, tali manifestazioni raccolsero decine e centinaia di migliaia e persino milioni di persone in tutto il Brasile, galvanizzate dagli errori del secondo governo Dilma (le misure di austerità hanno creato una perdita di sostegno sociale, l’ingresso in una dinamica recessiva, che successivamente portarono alla perdita della base parlamentare). Un trio di tucano (Aécio, Aloysio Nunes e Alckmin) si avventurò in una delle proteste e venne respinto. Già in quel momento quasi tutti i politici erano respinti dalle manifestazioni – i sostenitori di Bolsonaro a Rio e a San Paolo, Ronaldo Caiado (allora senatore, e ora governatore di Goiás) e João Doria (nuovo governatore di San Paolo) erano tra i pochi accettati tra i presenti, dagli adoratori di Ludwig Von Mises ai fanatici dell’intervento militare, passando per i furiosi ribelli contro la corruzione.

È importante analizzare la composizione delle manifestazioni: vi parteciparono persone più ricche, più bianche e più anziane rispetto a quelle di giugno 2013. Questo non ha impedito loro di esprimere un rifiuto molto più ampio del governo di Dilma e del PT, che a quel tempo divenne la maggioranza in quasi tutti gli strati della popolazione. Tali proteste contro la corruzione fanno parte di una tradizione della politica brasiliana, il Udenismo15, che si era attivato, ad esempio, contro Getúlio Vargas nel 1954 e contro João Goulart nel 1964. Questa rabbia “anti-corruzione” era, come negli altri casi, un grido contro determinati settori sociali e la loro rappresentanza politica. Basta pensare agli scandali di Michel Temer, con il suo consigliere che corre con una valigia di soldi, il ministro con il dipartimento pieno di bollette, registrazioni compromettenti nel palazzo all’alba con gli uomini d’affari – niente di tutto ciò ha mobilitato il “verde-giallo”.

Tantomeno vi è una novità totale nell’antipetismo negli ultimi decenni in una base relativamente costante; il PT disponeva di un terzo di sostegno diretto, e di un terzo di rifiuto, lasciando in sospeso a seconda della congiuntura un ultimo terzo. Ciò che è cambiata è la forza di quell’opposizione e la sua mobilitazione nelle strade e nelle reti. Precedenti tentativi di proteste, come il cosiddetto scandalo del “mensalão” e poi un incidente aereo, non avevano ottenuto questi effetti. Perché questa volta ha funzionato? Le deterioriate condizioni economiche hanno aperto la porta ad una maggiore generalizzazione del sentimento anticorruzione e del rifiuto totale del sistema politico: il “furto” è diventato la causa della crisi – e non le scelte di politica economica sbagliate e l’astenersi dal governare dei conservatori. Al rifiuto della corruzione si sono sommati discorsi d’odio, l’opposizione alla “ideologia del genere” e la difesa della bandiera della “scuola senza partito”, dichiarata da Paulo Freire come il nemico da eliminare. In un paese con gravi problemi di istruzione, l’intellettuale brasiliano più tradotto al mondo diventa un problema…

Un secondo aspetto è l’attivazione di pratiche e ideali (neo)fascisti. La scena dei deputati Rodrigo Amorim e Daniel Silveira (eletto giorni dopo) insieme al candidato (anch’egli vincitore) per il governo di Rio, Wilson Witzel, è degna degli anni ’30 in Italia e Germania. L’odioso assassinio della consigliera del PSOL (Partido Socialismo e Liberdad) e Marielle Franco ha scatenato una commozione nazionale e fino ad ora, più di nove mesi dopo, non si sa chi l’abbia uccisa e chi abbia ordinato l’omicidio. Grandi manifestazioni, soprattutto a Rio e San Paolo, hanno immediatamente riunito decine di migliaia di persone. In un omaggio successivo, è stata posta una targa nel centro di Rio, cambiando il nome di una strada in “Marielle”. I propagatori dell’odio (e futuri deputati) non solo hanno strappato la targa, ma l’hanno anche spezzata e portata a un raduno a Petropolis, mostrandola come trofeo16. Una sinistra celebrazione della morte. Non sorprende che una delle prime proposte di Witzel dopo la sua elezione, insieme a Flávio Bolsonaro, senatore eletto, sia stata quella di abbattere immediatamente chiunque portasse un’arma nelle favelas, in opposizione alla Costituzione, che non consente la pena di morte, ancor meno immediata17.

Bolsonaro evoca una gestualità di sterminio. Il gesto che fa vibrare i suoi seguaci è l’imitare l’uso delle armi con le mani. Insegna anche ai bambini e alle bambine a farlo. È in questo contesto che Mestre Moa do Katendê18 è stato vigliaccamente pugnalato alle spalle da un sostenitore di Bolsonaro, dopo aver dichiarato il suo voto a Haddad in un bar salvadoregno la notte del primo turno. E ci sono storie di una miriade di attacchi violenti (uno in cui due uomini strappano un libro femminista a una passeggera che stava leggendo su un autobus a Rio). Il candidato vincitore non ha condannato con fermezza nessuno di questi attacchi. Ci sono anche varie testimonianze di forze di polizia che si posizionano in favore di Bolsonaro – e in modo aggressivo. In altre parole, questa candidatura ha incentivato sentimenti di violenza e di annientamento. E questo accade in un paese che ha avuto più di 60.000 morti violente nell’ultimo anno, che ha una storia recente e lunga di schiavitù e genocidio ininterrotto (l’etnocidio indigeno) ed è anche campione nel massacrare contadini, indigeni, giornalisti, donne, LGBTQIA+. Generare una tendenza come questa in un paese con questo passato e presente è molto grave, paese in cui esiste già una solida tradizione di violenza (si stima, ad esempio, che un milione di brasiliani negli ultimi sei decenni abbia partecipato a linciaggi o tentativi di linciaggio).

Quando grandi folle salutavano Bolsonaro negli aeroporti prima dell’inizio della campagna, spesso ha affermato che il suo biglietto da visita per il MST (Movimento dos Trabalhadores Rurais Sem Terra) sarebbe stato una cartuccia19. È espressione di un forte movimento nella società brasiliana (e viralizzato attraverso i social network, specialmente WhatsApp) e questa è stata la prima base della sua vittoria. Si tratta di un movimento, non nel senso di un movimento sociale (cioè, organizzato), ma che può trovare forme di organizzazione nel prossimo futuro (come milizia, movimento sociale, partito?). Nel 2007, al boom lulista, un film entusiasmò il pubblico – Tropa de Elite, con il personaggio del capitano Nascimento e la sua dura azione poliziesca. Il capitano della riserva affila questa corrente repressiva (un continuum dalla fondazione del Brasile). In una delle sue poche attività di campagna pubblica del secondo turno, è andato a visitare il BOPE (Battaglione delle Operazioni Speciali) e ha dichiarato che uno di loro sarebbe arrivato alla presidenza20. Terminò gridando “calavera” (simbolo del battaglione), facendo eco alla sinistra frase fascista spagnola “viva la muerte21. Il successo dei programmi televisivi polizieschi in cui si vede scorrere il sangue è un altro elemento importante del culto dei massacri – José Luiz Datena, uno dei più famosi presentatori televisivi, ha detto nel 2011 che il suo programma era reazionario, ma non lui (deve essere cambiato)22. Non fu un caso che una delle prime interviste di Bolsonaro, ancora in ospedale, venne fatta con Datena come anche dopo la vittoria – ma forse “intervista” non è la parola giusta, perché sembrava più una chiacchierata tra amici e compagni.

Se il primo aspetto ha un forte legame con la perdita di prestigio dei settori medi e alti al punto che i poveri hanno conquistato, nell’ultimo decennio e mezzo, spazi precedentemente privilegiati/bianchi, (alterando un po’ – o più – la correlazione diseguale delle forze nella società brasiliana) il secondo aspetto reagisce contro un’esuberanza di corpi più liberi e più liberati di neri, donne, poveri e LGBTQIA+.

Un terzo vettore è il voto per il cambiamento e per la rivolta contro le varie crisi che il Brasile sta affrontando. Penso che questa sia stata la chiave per la sconfitta della democrazia di quest’anno. Un voto razionale: abbiamo avuto “tucanos” nel governo federale, poi “petistas” e la crisi è pesante. Non è possibile votare per Lula (il cui governo aveva garantito migliori condizioni e possibilità di vita), quindi la scelta è per coloro che non sono corrotti (anche se durante la campagna sono venuti alla luce alcuni scandali, anche se senza molta eco23). Dopo la destra e la sinistra, l’anti-sistema. “Se Bolsonaro si dimostrerà cattivo, lo cacciamo fuori, come è stato fatto con Dilma” si sente dire spesso. Questa giustapposizione tra la crisi (politica, economica, sociale – e anche delle strade del paese) e l’esclusione di Lula dalle elezioni, ha permesso questa piega. Lula era in grado di sconfiggerlo, ma un altro candidato da lui indicato, no. Questo può essere compreso anche dal fiasco dei governi di Dilma, e tantomeno Haddad non ha potuto essere rieletto nel governo di San Paolo nel 2016.

Affrontiamo qui limiti importanti dei governi del PT. È interessante notare che il PT nel governo federale ha promosso alcuni cortocircuiti nel sistema. Ha realizzato il suo programma e ha permesso una maggiore autonomia al lavoro degli organi investigativi (Ministerio Publico (MP), Polizia Federale (PF), Procuraduría General de la República (PGR), ma ha adottato i mezzi tradizionali della politica brasiliana di finanziamento delle campagne elettorali e di formazione delle maggioranze parlamentari. Ha inoltre favorito nuove lotte e soggettività grazie alle politiche di distribuzione del reddito e all’apertura di opportunità esistenziali, ma non ha scommesso su di esse e, peggio, il governo di Dilma ha tagliato o ridotto molte di queste esperienze (centri culturali, micro-politiche culturali, popolazioni indigene, “quilombolas” e agricoltura familiare o media di comunicazione alternativi) optando decisamente per una politica macroeconomica tradizionale e scommettendo sugli imprenditori (che poi l’hanno abbandonata).

Si dice che un leader del PT, con una forte attività nel campo dei diritti umani e condannato nel caso Mensalão, sia stato interrogato da un detenuto dopo il suo arrivo in prigione nel novembre 2013: “Lei è stato un membro del congresso per due decenni, vero? Che cosa ha fatto per migliorare il sistema carcerario e le condizioni di vita dei prigionieri?” Pensavano che sarebbe andata così se il PT avesse preso sul serio la bandiera alzata dal Movimento Nero Unificato (MNU) sulle scale del Teatro Comunale dal 7 luglio 1978 a San Paolo, che ogni prigioniero era un prigioniero politico? Nonostante le richieste del movimento nero, il problema dello sterminio dei giovani non è mai stato considerato urgente. Alcuni settori della sinistra hanno portato avanti delle proposte per affrontare questa epidemia, ma hanno avuto poca eco. Chi alla fine ha parlato dei 60.000 morti all’anno in questa campagna sono stati i sostenitori di Bolsonaro (anche se distorcendone dimensioni e composizione) e non i candidati del PT o i laboristi. Anche il Brasile di Lula si è fatto prendere in un’ondata di carcerazioni massive. La Legge sulle droghe del 2006, forse con buone intenzioni, mirava a ridurre la pena dei consumatori (e ad aumentare quella dei trafficanti), ma non specificando la quantità di ogni droga che differenzia gli uni dagli altri ha lasciato che la decisione spettasse al delegato e al giudice, in un paese dove il razzismo strutturale continua ad essere forte. Il risultato? L’esplosione del numero di prigionieri, inseriti nella scuola del crimine. Un giorno dovremo organizzare delle commissioni per fare luce sul periodo democratico.

(traduzione di Clara Mogno)

Siamo tutti in pericolo: ragioni e prospettive della vittoria elettorale autoritaria in Brasile (II)

Questo articolo è stato pubblicato in castellano su Revista Politíca Latinoamericana il 21 dicembre 2018.

 

 

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  1. https://www.trendsmap.com/twitter/tweet/1055929727213559808)). La mia impressione, ascoltando il discorso per i suoi sostenitori la domenica prima della votazione finale ((https://www.youtube.com/watch?v=kV_4q5A_U4M 

  2. Per esempio S. Levitsky, D. Ziblatt, How Democracies Die, Harvard University Press, Cambridge, 2018 

  3. Per i resoconti delle proteste in dieci città brasiliane scritti da partecipanti di diverse convinzioni politiche si veda A. Moraes et al., Junho: potência das ruas e das redes, São Paulo, Fundação Friedrich Ebert, 2014. 

  4. Celso Amorim. Teerã, Ramalá e Doha: memórias da política externa ativa e altiva. São Paulo: Benvirá, 2015. 

  5. Fernando Henrique Cardoso. “Vitória amarga”. O Estado de S.Paulo, 7/12/2014. 

  6. Douglas Belchior, http://negrobelchior.cartacapital.com.br/historia-golpeada-do-brasil/ 

  7. N. Klein, Shock economy. L’ascesa del capitalismo dei disastri, Rizzoli, 2007 

  8. https://apublica.org/ 2018/09/fome-oculta/ 

  9. Comitato Operaio di Porto Marghera, Il rifiuto del lavoro (1970), Quaderni dell’organizzazione operaia, n. 1, 1970, ciclostilato, p.26 

  10. https://epoca.globo.com/como-bolsonaro-se-tornou-candidato-dos-evangelicos-23126650 

  11. [ndr: Con “tucano” ci si riferisce ai membri o alle parti del Partido de la Social Democracia Brasile Brasileña (PSDB). La mascotte del partito è un tucano azzurro e giallo] 

  12. André Singer. “Acordar a tempo”. Folha de S. Paulo, 13/10/18. 

  13. https://www.buzzfeed.com/gracilianorocha/mano-brown-vaiado-cegueira-autocritica)). E sono stati proprio questi quartieri che hanno visto un miglioramento della qualità di vita durante il periodo di Lula, quartieri che hanno siglato la vittoria di Bolsonaro. ­­Curiosamente, una parte del PT, soprattutto durante il governo di Dilma, ha definito “classe media” questo settore ascendente. Ovviamente non lo era, ma è stato senza dubbio un terribile errore politico e concettuale ((Per un contributo su questo dibattito dei funzionari vicini al PT si veda Fundação Perseu Abramo y Fundação Friedrich Ebert (orgs.). Classes? Que Classes? São Paulo, 2013. 

  14. https://blogdacidadania.com.br/2018/10/39021/ 

  15. [ndr: “Udenismo” fa riferimento al partito politico brasiliano Unión Democrática Nacional fondato nel 1945 e di orientamento conservatore e in forte opposizione a Getúlio Vargas.] 

  16. https://g1.globo.com/fato-ou-fake/noticia/2018/10/08/e-fato-que-deputados-eleitos-pelo-psl-quebraram- placa-com-nome-de-marielle-franco-em-comicio-de-wilson-witzel.ghtml; https://www.youtube.com/watch?reload=9&v=gmOqLSpSXlk; https://www.youtube.com/watch? v=Z1srjB_Hgb4 

  17. È un confronto aperto in Brasile. Quando il responsabile del massacro più violento del sistema carcerario brasiliano fu eletto poco dopo utilizzando come numero di candidatura il presunto numero di morti (111), uno dei più importanti dischi musicali aveva come pezzo centrale una traccia scritta insieme da un sopravvissuto e da Mano Brown, dei Racionais MC’S. (https://www.youtube.com/watch?v=er-bYI9-3hM). 

  18. [ndr: Romualdo Rosário da Costa, conosciuto come Mestre Moa do Katendê] 

  19. Come esempio di questa articolazione della violenza nel campo del finanziamento istituzionale ed elettorale, abbiamo il futuro ministro dell’Ambiente, che non ha potuto essere eletto deputato di San Paolo. Il suo numero di candidato era il 3006 (il calibro delle forze armate americane fino agli anni ’60) e il materiale della sua campagna elettorale parlava di usare munizioni contro la sinistra e il MST. Ricardo Salles, ex segretario di Alckmin, ha ricevuto generose donazioni dai proprietari di aziende come Porto Seguro, Localiza, Cyrela (Painel da Folha. Folha de S.Paulo, 11/12/18). 

  20. https://oglobo.globo.com/brasil/bolsonaro-faz-visita-sede-do-bope-no-rio-podem-ter-certeza-teremos- um-dos-nossos-la-em-brasilia-caveira-23156847 

  21. [ndr: viva la morte] 

  22. https://forum.cifraclub.com.br/forum/11/266501/ 

  23. Dopo la vittoria, vi fu un primo scandalo, con il bonifico bancario di oltre un milione di reais (300 mila dollari) da parte di un consulente di Flávio Bolsonaro.