Di GIROLAMO DE MICHELE.

Dunque secondo la 1^ sezione penale del Tribunale di Taranto, l’Afo2 potrà continuare a funzionare fino al 2023, a condizione che nei prossimi 14 mesi siano messe in atto quelle prescritte misure cautelari che dovrebbero sottrarre i lavoratori al rischio di un incidente.

Come quello costato la vita all’operaio Alessandro Moricella investito da una violenta fiammata mista a ghisa. La sentenza ha una sua logica. I giudici, non potendo nominare un proprio perito e affidandosi alle preesistenti perizie – scegliendo la “più pessimistica previsione” del Custode cautelare – hanno argomentato in base a due capisaldi. Il primo è il «vicendevole bilanciamento tra princìpi e diritti fondamentali, senza pretese di assolutezza per nessuno di essi», sancito dalla Corte Costituzionale con sentenza 85/2013: «un bilanciamento ragionevole tra il diritto alla salute ed all’ambiente salubre da un lato ed il diritto all’iniziativa economica dall’altro», ovvero del diritto «al lavoro, da cui deriva l’interesse costituzionalmente rilevante al mantenimento dei livelli occupazionali» – e qui non può lasciare indifferenti la loro sostanziale equiparazione.

Come lascia interdetti la definizione di “impresa di rilievo strategico” che i giudici costituzionali (fra i quali erano nomi del calibro di Mattarella, Cartabia, Cassese, Frigo, Criscuolo) assumono acriticamente dal Dl 207/2012 del governo Monti. Il secondo caposaldo è un calcolo statistico del rischio nella prosecuzione, alle attuali condizioni, delle operazioni all’Afo2: «i dati consentono di porre idealmente sul piatto della bilancia questa prima cifra (rischio pari a 0.006 nel prossimo anno), sull’altro invece il danno derivante con certezza per Ilva dall’anticipazione del fine vita dell’altoforno».

Proseguendo, i giudici arrivano addirittura ad affermare che ciò «riconosce alla vita umana un valore superiore di cento volte rispetto alla produzione annuale di Ilva», come può evincersi dal «raffronto dei termini matematici». Peraltro, un “ente di importanza strategica” «non deve scontare in questa sede il disastro ambientale per cui è imputato in altre procedure»: la Fabbrica della morte va giudicata per segmenti distinti, laddove la legittimità del diritto d’impresa è fondata su una tutela che «deve essere sempre sistemica e non frazionata».

Una volta stabilito dalla Corte Costituzionale che l’aggettivo «fondamentale» non è rivelatore di un «carattere preminente» del diritto alla salute, e che il «punto di equilibrio deve essere valutato secondo criteri di proporzionalità e di ragionevolezza», segue che tale ragionevole proporzione è affidata a un algoritmo di calcolo. Che poi la chiusura dell’Afo2 e dell’Ilva non impedisca a Mittal di esercitare il suo diritto d’impresa altrove; e che, per contro, nell’eventualità che quello sfortunato evento probabile allo 0,006 si verifichi, il diritto alla vita del lavoratore cessi per sempre, non sembra contare: si tratta di argomenti qualitativi, politici o etici, che renderebbero inaffidabile l’algoritmo.

Questo è lo stato attuale del diritto: chi pensava che, contro una politica che già avendo le mani sporche del sangue dei migranti (senza distinzione fra maggioranza e opposizione, Conte1 e Conte2), non si fa scrupolo di aggiungervi il sangue (sporco di diossina e quant’altro) dei tarantini, l’alternativa potesse risiedere nella magistratura ha preso un abbaglio.

Ciò detto, che oggi sia in atto un «processo di resa senza condizioni di Ilva rispetto alle pretese cautelari della Procura», i giudici potevano risparmiarsi di scriverlo. Per decenza, e rispetto verso i morti: passati, presenti e futuri.

Questo articolo è stato pubblicato su il manifesto il 9 gennaio 2020.

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