Di FANT PRECARIO

Dopo decenni, una crisi che ha la propria origine nell’economia reale, investe violentemente i mercati finanziari globali, provocando perdite precedenti: che sia la rivincita del “sottostante” [che poi siamo noi, o direttamente con la vita (non nuda, perché non sono tanto in forza fisicamente e non sarebbe un bel vedere) o garantendo con la stessa vita le obbligazioni che assumiamo talvolta volontariamente talvolta imposte come munera tipo corporazioni romane)? O, perlomeno una falla (prima e auspicabile) nell’autonomia del capitale finanziario?

Il tentativo (pur non ancora concluso) della finanza di affrancarsi dal rapporto con la vita, ha consentito al capitale di (i) vincere la voluttà prolet di godere della produzione di denaro a mezzo di niente (che poi tanto niente non era in termini di repressione, ma inserire un limitato periodo di vita godendo di casa e automobile all’interno di una esistenza altrimenti tutta sotto i ponti era comunque un rischio da correre); (ii) ribaltare lo slogan “noi la crisi non la paghiamo”; (iii) limitare al minimo l’incidenza degli eventi sulle operazioni finanziarie

[invero, gli eventi negativi sono stati la migliore benzina per la finanza a partire dalle coperture (SWAP) per eventi deleteri per l’impresa, sia la variazione del tasso di interesse, sia l’aumento della CO2 nell’aria, sia lo scioglimento dei ghiacciai, e che in Italia l’ipotizzabilità di tali architetture pseudo giuridiche sia di natura ulivista ci deve fare riflettere].

Sin dai tempi in cui gli operosi mercanti genovesi miei andavano a truffare i commercianti mediorientali, è emersa la necessità che (x) gli scambi avvenissero tra soggetti solvibili; (y) fossero regolati da una disciplina condivisa; (z) ma soprattutto che lo scambio si potesse realizzare. Nel senso che se, vendevo banane, le banane dovevano esistere (non parlerò, quindi, di quel ns concittadino che riuscì a vendere un carico di finte armi all’ayatollah Khomenini, né delle imitazioni Sampierdarenesi di fluidi lubrificanti teutonici).

Ecco, questa necessità (della merce prima, del lavoro poi, della vita infine) il capitale l’ha sofferta anche nel periodo della cd finanziarizzazione.

Il “sottostante” era il granello di sabbia che faceva saltare l’ingranaggio. Sotto l’operazione, anche la più ardita tra le operazioni, doveva esserci qualcosa.

Il denaro per girare doveva essere giustificato dallo scambio di qualcosa.

Il diritto (per mezzo delle mani viscide dei giuristi o lorde di sangue dei giudici) novello Pluto (nel senso di cane di Topolino) andava ad annusare i rapporti, i contratti, rovistando nella melma delle truffe e, con la lente del detective, indagava se ci fosse un rapporto concreto (causa concreta, si dice a partire dall’insegnamento della “migliore dottrina”, vale a dire di chi, dopo averci frantumato le palle per anni con la fattispecie, tre anni fa si è accorto di avere detto una minchiata).

Tutto andava bene se c’era uno scambio (se poi lo scambio era tra 4 sacchi e la vita, poco importava, in fondo per il povero è sempre così: miniera, Ilva, frantumato da un SUV mentre consegna pizze, non cambia molto).

Ma se lo scambio non c’era? Cadde MPS per colpa di ALEXANDRIA (e Tito non la riscattò), cadde CARIGE, dopo Genova, vittima del G8, per erogazioni giudicate, proprio, carenti di causa, moribonda Banca Popolare di Bari per identiche ragioni.

[un inciso: (non è vero un cazzo, ma vallo a spiegare ai nipoti di Calogero e ai figli di Caselli) la causa c’era (assoluta): la sopravvivenza del capitale.

I prestiti erano funzionali a realizzare l’idea che l’economia reale esistesse ancora; gran parte delle operazioni “incriminate” sono enormi compendi immobiliari edificati da imprenditori (singoli, società, cooperative) quando già si sapeva che sarebbero rimasti scavi abbandonati tra la sabbia di Ceriale, negli uliveti di Ceglie Messapica, nel niente tardo padano di Baricella e Pianoro o Castelmaggiore, nell’Emilia rossa di Reggiolo e Sorbolo. Nelle ultime due iniziative la presenza della ‘ndrangheta, garantisce che i soldi c’erano e giravano.

Come il feticcio dell’operaio/caro estinto è servito ai sindacati a giustificare un’altrimenti inutile esistenza, l’edilizia ha costituito il “sottostante” per il saccheggio tanto della Banca tradizionale (e con essa dei risparmi, residui, di compagni, cittadini, fratelli e partigiani) e del territorio].

Non è inutile ricordare che dopo l’avvio spumeggiante dei tardi ’90, le cartolarizzazioni ebbero un brusco stop e le società veicolo, realizzate appunto (e in ossequio ad altra normativa del soviet ulivista) a tal fine, finsero l’esistenza di crediti -ormai svaporati- da portare a bilancio a valore contabile rivalutato per occultare un’insolvenza, altrimenti, conclamata. Negli ultimi anni, e proprio sulla spinta della necessità di depurare i bilanci gonfi di niente (un po’ come il venerdì Santo di Guccini), la cessione dei crediti è tornata di moda e non c’è mutuo ipotecario (grande o piccolo), finanziamento chirografo (dal prestito di poche lire per il cellulare al migrante a quello milionario per escavatori da utilizzare per la “gronda” o per “il terzo valico”, destinatario l’imprenditore malavitoso che sub-sub-sub-appalta a suo cognato e da lì a cascata verso il caporalato più bieco che farebbe invidia ai racconti sulla Calabria nei primi ’50), ma con una ulteriore garanzia rappresentata dallo stato; si tratta di evidente evocazione del sottostante, questa volta, direttamente e pesantemente, rappresentato dal nostro culo.

Ora:

  • compro in blocco crediti ipotecari al 25% (ottimista, a fronte del 50% delle operazioni dei tardi ‘90) del valore contabilizzato;
  • sgombero il pattume ricavando, praticamente, il denaro (non) impegnato (perché, se da un’esecuzione è difficile realizzare l’intero credito e anche se il valore degli immobili è quello che è, magari un quarto lo ricavo e sono a posto);
  • gli immobili “prestigiosi” li faccio acquistare a un amico che abbellirà la città con sempre nuovi ritrovi per soggetti parimenti prestigiosi, espellendo i poveracci che tanto ci sono abituati;
  • l’operazione non regge? Cazzi vostri, statalisti inveterati, le vostre pensioni risarciranno l’investitore per il mancato guadagno;
  • l’operazione non regge (2)? Metto in mora la Banca cedente e mi faccio ri-risarcire (con ulteriore socializzazione delle perdite).

Ovviamente, questa manovra evidenzia come il “sottostante” reale (concreto, per dirla con la citata dottrina) non sia il credito ceduto ma l’interezza del sistema Bancario e lo stato, quest’ultimo oggetto di continuo ricatto da parte dei mercati.

Un esempio: c’è una Amministrazione straordinaria che detiene un bene posto a garanzia di un credito ceduto? Il commissario si attiva per mettere in sicurezza i lavoratori, tratta con l’INPS, cerca di reperire provvista per quelli che sono (anche) creditori privilegiati, ma perde un po’ di tempo per soddisfare il credito ipotecario, garantito -anche- dallo stato: potrà darsi il danno erariale?

Ma, soprattutto, il “sottostante” è la vita dell’espropriato (in blocco, come la cessione); da più Tribunali si invoca celerità nelle esecuzioni (addirittura si agiscono massivamente interi condomini, destinati da sindaci più o meno muniti di calzino iridato o dalla telecamera facile alla bonifica dei centrocittà; anche qui i giuristi potrebbero dirmi che è lecito, stante la connessione) per pervenire sì al realizzo (la legge sul leasing usa il più neutro termine di “allocazione”), ma, anche e soprattutto, a ridisegnare la città, renderla inespugnabile al povero.

Il “sottostante” è la vita delle migliaia di giovani laureati in giurisprudenza arruolati per poche lire (se € 500 vi sembran tanti provate voi a lavorar… 13 ore al giorno in una cella che l’abate Faria era Cocò al Ritz), allevati, novelli Balilla, nel disprezzo del debitore.

Ecco, il debitore.

Il debitore è il vero infetto, il malato da lasciare morire perché (e solo se) inutile (cosicché il rendersi “utile” è l’unica arma a sua disposizione).

E allora, ecco perché occorre, anche stavolta ragionare in termini di “comune”, di vita in comune e (soprattutto) di produzione in comune.

Il debitore, nella “filiera” produttiva è il punto di partenza e di arrivo; l’unico resistente vitale nella catena di distruzione che la finanza attua per riattivare ogni volta la creazione di rendita. Il debitore è l’unico che crea e non distrugge.

Il debitore ribellandosi con i mezzi a disposizione (bruciare un cassonetto, ritardare uno sfratto, appigliandosi ad ogni mezzo per recuperare credito, evadendo dal modello imposto, ogni comportamento da Lud a Lenin è utile e ammissibile) può aprire scenari di conflittualità inediti e ciò soltanto (per modo di dire, non è che sia facile) attraverso il rifiuto dell’espunzione, inserendo la sua presenza produttiva nella ristrutturazione ingombrandola di vita.

Se queste è corretto, anche il pericolo di nuove frontiere di controllo a seguito del virus passa in secondo piano perché Buranello non è che perché c’era il coprifuoco non usciva a dare la caccia ai tedeschi.

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