Di ELISABETTA MICHIELIN e MIMMO SERSANTE

Conversando una sera d’estate…

Mimmo: Con quest’ultimo capitolo della sua autobiografia, Toni prende congedo dai suoi compagni, quelli di ieri e quelli di oggi, ai quali consegna queste “pagine postume pubblicate in vita[1]. Bada, non un testamento. Se in quel suo «sono ancora vivo» Musil annusava nel passaggio d’epoca che stava vivendo – si era negli anni venti – la catastrofe prossima a venire, Toni lancia il suo allarme – dentro l’attuale passaggio d’epoca – di fronte alla minaccia di un nuovo fascismo: “E noi dove saremo? Che cosa faremo? Non ci sono più i comunisti, come nel XX secolo, a organizzarci nella resistenza al fascismo. Chi si proporrà? Quale colore avrà la sua bandiera?”

Elisabetta: Ma il fascismo, quello di ieri e quello di oggi, è sinonimo di morte e “la morte non è necessaria alla vita, è qualcosa che è in più della vita”. Non credo sia azzardato questo tuo aggancio al piccolo capolavoro letterario di Musil; lo stesso Negri, se non ricordo male, l’aveva fatto ancora nell’’80, rivolgendosi da Rebibbia  alle avanguardie autonome sconfitte esortandole a non lasciarsi incantare dalle sirene del riformismo e del terrorismo, le “due facce complementari della riforma dello Stato nata con gli anni Trenta”, “favolosi” solo per il Pci, non certo per chi come noi si volgeva ad essi con sguardo disincantato.

Mimmo: Ma non vorrei piantare in asso Musil dopo averlo tirato in ballo. Ricordi quello che diceva  a proposito della vita?

Elisabetta: Dimentichi quanto mi piaceva (specialmente la prima parte)… e poi quel nostro viaggio in Grecia e i suoi due libroni in valigia… Certo che lo ricordo: che la vita è la vita e a chi non la conosce non si può darne definizione per via di quell’“amore e odio, entusiasmo e freddezza, peristalsi e ideologia” che l’accompagnano. Senza dimenticare che se vuoi passare una soglia ci sono gli spigoli!

Mimmo: Bene, ma quando in gioco c’è una vita comunista, come la mettiamo? Toni ha provato a spiegarla. A me vengono in mente altre storie di comunisti, raccontate in prima o per interposta persona, che so, i Colloqui con Marx e Engels di Enzensberger, L’avvenire dura a lungo di Althusser e, della trilogia di Jules Vallés, L’insurgé. L’autobiografia di Toni rientra a pieno titolo in questo novero di vite contese: se dal tribunale giudicante non gli è stato mai perdonato di aver confuso intenzionalmente politica e filosofia e dall’Accademia di avere parimenti confuso filosofia e politica, questa duplice accusa lui l’ha sempre rivendicata.

Elisabetta: Scommetto che stai per dirmi che per un comunista non potrebbe essere altrimenti e che a suggerirtelo è il solito Marx. Spero non la Krupskaja!

Mimmo: Nessuno dei due; solo Althusser che parla della passione della vita della sua Hélène: “quella per la «classe operaia». Una passione vera, totale, esigente e di sicuro in parte mitica, ma che la proteggeva efficacemente da un altro mito, quello dell’organizzazione e dei dirigenti della classe operaia”.

Elisabetta: Che nel caso di Althusser invece aveva funzionato considerando l’ininterrotto rinnovo della tessera del partito dal ’48 al 1980, l’anno in cui strozza Hélène, il suo amore esclusivo… ma qui apriremmo una parentesi davvero troppo complicata. Ci fermiamo sull’orlo.

Mimmo: Sì, il rapporto di Toni con la classe operaia è stato esclusivo, à la Hélène. Più che una passione però, che ha il tempo della farfalla, un amore tenace e testardo durato una vita di cui forse solo le donne sono capaci. Spinozianamente, un affetto più che una passione, perché se quest’ultima è segno di dipendenza passiva verso la causa esterna, l’amore, che per l’appunto è un affetto, esige la conoscenza della cosa amata che non è data una volta per tutte. Inchiesta e conricerca provvedono, sostiene convinto Toni, all’uopo. Ieri come oggi. E infatti questo tema della conoscenza della classe operaia attraversa tutte e tre le tappe dell’autobiografia e sempre di mezzo c’è una rivista a testimoniare il rinverdirsi di questo amore: «classe operaia» per l’operaio massa degli anni Sessanta, «Futur antérieur» per l’operaio sociale degli anni Novanta, «Posse» per la moltitudine del nuovo secolo. Se a tutt’oggi vuoi cercare il loro corpo e la loro anima, è queste riviste che devi sfogliare.

Elisabetta: Ma come nasce questo amore?

Mimmo: Dalla gioia che si sprigiona dalle lotte e si comunica allo spettatore partecipe. È accaduto a Toni: “Quasi a mia insaputa ho assistito al primo sciopero di quell’enorme fabbrica chimica. Inconsapevole, ho partecipato alla gioia di quegli uomini, di quei ragazzi quando la riuscita dello sciopero fu dimostrata dallo spegnimento dell’enorme fiamma che ininterrotta bruciava e sporcava il cielo. Era la gioia della forza dimostrata, era il modo i cui il povero si liberava: sciopero, cooperazione operaia, odio della solitudine […]. Non dimenticherò mai quell’urlo di gioia e quell’abbracciarsi amoroso di mille compagni, l’uno con l’altro”. La dinamica è chiara ed è una dinamica tutta spinoziana; ci sono i corpi (operai) e la loro potenza di agire, c’è il desiderio (operaio) di migliorare la propria e l’altrui condizione di vita, non manca evidentemente quel pizzico di odio che non fa mai male rivolto a chi (il padrone) è affetto naturaliter da odio, c’è la lotta nella forma dello sciopero e, a suo coronamento, per l’appunto la gioia che diviene e trasmette amore in attesa che gli stessi corpi da cui tutto è partito, prendano pieno possesso della loro potenza.

Elisabetta: Finisce qui?

Mimmo: No, perché accanto a questo tipo di amore prodotto dalle lotte dell’operaio massa ce n’è un altro, ontologicamente più pregnante, che scaturisce oggi come acqua sorgiva dalle lotte dei poveri, dei disoccupati, dei semi-disoccupati, dei migranti. E dal loro lavoro. Che, sottolinea Toni che riprende Marx, non può essere considerato alla stregua del lavoro di un operaio professionale o dequalificato che produce solo e sempre valore per il padrone di turno. Qui abbiamo a che fare con il lavoro che è sì “miseria assoluta” ma anche “possibilità generale della ricchezza”, sua “sorgente viva”. A nutrirlo è l’amore.

Elisabetta: Bello! C’entra qualcosa il tuo Spinoza col suo terzo genere di conoscenza? Se è così, quello che nasce direttamente dalle lotte dovrebbe essere un amore di secondo grado. Forse amore al “femminile”?

Mimmo: Nelle 1500 pagine della Storia di un comunista sono questi due tipi d’amore a risaltare. Sotto tono, appena accennato, l’altro, se vuoi di primo genere. Conosciamo i nomi delle sue compagne di vita: Marisa, il primo amore; Paola, la moglie; Anna, la sorella; e poi Sylvie, Doni, Suzanne, Judith. Toni le fa entrare in scena in punta di piedi per calare il sipario anzitempo. Ignoriamo la loro parte ma da più di un indizio intuiamo che il gioco il più delle volte gli è sfuggito di mano. In nessuna di queste donne scorgiamo il fantasma della Krupskaja!

Elisabetta: Aspetta, non correre troppo. A costo di fare la parte della guardona che sbircia dal buco della serratura, è su questo genere di amore che vorrei dire qualcosa, esattamente su queste donne e sulla sua famiglia allargata. Ebbene, io, noi lettori, non sappiamo cosa in fondo pensare di queste donne a una delle quali è dedicato il libro. Non sappiamo che genere di amore abbiano nutrito per il loro compagno; gli indizi sono pochi mentre il pudore di Negri lo consegna intero a un’altra epoca. Penso a Paola, la prima moglie; a me sembra mossa dall’ostinazione di un amore che perdura forse anche nella rabbia mentre Judith mi colpisce per il suo gesto unilaterale che mi suona inevitabilmente ottocentesco, ma anche temerario – seguire in Italia il ritorno al carcere di Negri e poi le sofferenze della semilibertà -, puntare tutto su un amore che non è certo sarà corrisposto. Suzanne mi sembra essere quella che gli ha fatto più “male”. Ma cosa siano state davvero queste donne per Negri non lo possiamo davvero sapere.  Come non possiamo sapere cosa lui sia stato per loro. Su questo mi fermo perché la loro parola manca.

Mimmo: È il motivo per cui non azzardo ipotesi.

Elisabetta: Si dice – ma forse è una leggenda – che quando migliaia di compagni erano costretti nelle patrie galere, il libro più letto fosse Frammenti di un discorso amoroso di Barthes. I corpi ristretti forzatamente dei detenuti soffrivano della mancanza d’amore (pena suppletiva ma a dir meglio centrale) e imparavano sulla carta una grammatica dell’amore che le donne forse non hanno mai messo da parte. Non sappiamo se Negri fosse fra questi lettori. In confronto all’amore denso, ripetuto e vissuto con ogni evidenza per la classe, gli sfruttati, i poveri e il loro fare, sembra impallidire in questo libro l’amore di primo genere per le donne della sua vita, per la sua famiglia allargata, per i tre figli. Lo strano paradosso che ne deriva per noi lettori è quello di una figura quasi disincarnata come se la forma d’amore mancata a Negri fosse proprio quella dell’erotismo. Così sembra suggerirci lui stesso quando scrive “Spesso sono stato disgustato dall’erotismo dei giovani, con la sua rapidità e la sua instabilità e talora la violenza di desideri animali. Quello che mi piace è la dolcezza, è il tempo, è l’intellettualità e l’immaterialità dei rapporti.”

Mimmo: Paradossi che intersecano una vita formidabile. Ma vorrei parlare di altro prendendo spunto da queste due righe che ti leggo: “Del resto, ogni mio discorso è sempre stato legato a doppio filo alla realtà storica e all’azione politica, dunque alla lotta di classe, tenendo insieme filosofia e politica”.

Elisabetta: Già, filosofia e politica. Visto i precedenti, un’eredità scomoda da amministrare per un comunista.

Mimmo: Non ti sbagli ma in questa vexata quaestio,Toni è dalla parte di chi non le vuole separate. Per me, per noi che restiamo comunisti e dubbiosi, la domanda resta: se la comprensione filosofica del reale e l’azione politica non possono essere disgiunte, come pensare il loro nesso senza cedere alla tentazione di privilegiare ora l’una, ora l’altra? Ho sempre fatto fatica a vedere Toni nei panni di un politico ‘pratico’, di quelli che solo di tanto in tanto praticano la filosofia e sempre per motivi contingenti. Ci ricordiamo l’attenzione riservata lungo tutti gli anni Settanta ai suoi interventi teorici di cui noi autonomi avvertivamo il bisogno? Arrivavano puntuali e avevano il pregio, lo ricordo come fosse ieri, di fare insieme il punto della situazione e di spingere oltre il nostro sguardo. A quel modus operandi la sua pratica filosofica è rimasta sempre fedele. La sua originalità? Di essere stato un prodotto esclusivo di quel decennio di lotte operaie e proletarie e di avere avuto come fonte ispiratrice il metodo della tendenza antagonista. Da qui l’attenzione maniacale alle lotte, sempre. È quanto poi si evince da questa autobiografia. Chi è interessato al Negri-pensiero non ha che da sfogliarla e avrà la sorpresa di trovarselo servito su un piatto d’argento, ogni titolo di libro accompagnato da una presentazione e da una fin troppo chiara spiegazione, à la Bignami verrebbe da dire, se non fosse per quel modo di intendere la filosofia. Prima ci sono le lotte con la “tensione etica e costituente” che le attraversa, dopo, solo dopo, il pensiero che le pensa.

Elisabetta: Scommetto che pensavi a una frase del genere: “In verità il mio progetto di dare nome filosofico al materialismo politico mette in discussione la pretesa filosofica a una «definizione completa», ininterrotta, piena, del rapporto fra comprensione filosofica del reale e azione politica”.

Mimmo: Sì, l’anomalia del suo essere filosofo è tutta qui, in questo suo modo di praticare la filosofia. Che poi dal suo progetto sia scaturito un bel capitolo di filosofia materialista spinoziana è storia che qui non interessa. Ma non posso lasciarti l’ultima parola sul tema dell’amore. Lamentavi l’assenza di un autentico “privato” in questa autobiografia, accreditando di fatto la tesi che, essendo questa la storia di un comunista, non c’è da meravigliarsi se per la sfera privata e i sentimenti privati anche in questo caso non poteva esserci posto. Come dire che lo stile dei comunisti è quello e non cambia mai.

Elisabetta: È vero e non è vero. La questione è più complicata. Io mi attengo a quanto scritto nel libro.

Mimmo: Se è vero, allora l’idea che hai dell’amore è affatto comune e romantica. Invece la Storia di un comunista che ho tra le mani è una splendida storia d’amore. Basta intendersi sul significato da attribuire alla parola. Ne parlavo prima ma ci torno su con le pagine dedicate a Kairòs, Alma Venus, Multitudo . Il tema è la filosofia materialista; a un certo punto, a proposito dell’amore, torno a leggere di lavoro vivo impoverito, della sua potenza che quell’amore alimenta, infine della sua decisione tutta politica “di andarsene in maniera rivoluzionaria […] dal mondo del dominio” . Un tipo di amore volutamente eluso dalla nostra cultura ed estraneo al comune sentire. Forse ha ragione Toni quando dice da qualche parte che per pensare bisogna essere spinozisti .

Elisabetta: Ti lascio nel tuo dubbio perché sto pensando ad altro. Ad esempio, che non si fa giustizia a Negri e a questo suo libro se non si raccolgono anche le tracce che, autentiche, percorrono specie le sue ultime parti. Che pensare di quella calma ma anche di quella fragilità di un singolo che comunque, pur nella persistenza eterna dell’amore comunista, sa, e noi sappiamo con lui, che se ne deve andare? E poi, quell’oscillare fra il liquidare in un sol colpo l’essere-per-la-morte di Heidegger come una verità inessenziale perché puramente statistica e buona per il potere che si fonda proprio sulla minaccia di morte (il cimitero dei Comunardi, ma anche le stragi dei migranti, la minaccia alla riproduzione della nuda vita) e l’insistenza sul fare della vita? Oppure il sentirsi estraneo a questo mondo e comunque, di nuovo, l’insistenza a volerlo cambiare? E se poi questo senso di estraneità risiedesse in lui, nella sua vecchiezza, quell’imperativo non avrebbe il sapore e il valore solo formale, solo dovuto, dell’imperativo kantiano?

E poi, di punto in bianco Negri scrive anche, secondo le parole del tuo amato P. Roth, “La vecchiaia non è una battaglia, la vecchiaia è un massacro”.

Non me ne voglia Negri se rilevo queste schegge che tagliano il tondo compatto, sono d’accordo con te, di una vita formidabile.



*R. Musil, Pagine postume pubblicate in vita, Einaudi, Torino, 2004.

[1] T. Negri, Da Genova a domani. Storia di un comunista, Ponte alle Grazie, Milano 2020.

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