Di ANDREA FAGIOLI

La potenza dell’Ottobre cileno non si sarebbe realizzata né consumata in una sorta di passaggio all’atto, nella sua cristallizzazione in un testo costituzionale; allo stesso modo il rechazo non ne decreta l’esaurimento.

In una riflessione molto personale sulla sconfitta dell’Apruebo nel referendum costituzionale di domenica 4 settembre, la scrittrice cilena Alia Trabucco Zerán si domandava in quale parte della sua libreria andasse messa la bozza della nuova costituzione. In generale – scriveva – non c’è spazio per questo tipo di testi, le bozze, che sono una sorta di bussola segreta e non raggiungono mai lo status di libro, e quindi la dignità necessaria a trovare posto in una biblioteca[i].

L’urgenza della congiuntura, dopo un risultato tanto netto quanto impronosticabile alla vigilia, come quello del referendum, invita a raccogliere e riformulare il suggerimento della scrittrice e chiederci quale posto troverà nel Cile attuale quel soggetto molteplice, eterogeneo che ha messo in discussione le fondamenta del modello cileno, ma non è riuscito a stabilire nuove basi costituzionali. 

In primo luogo ricostruirò in maniera molto schematica le coordinate entro le quali si inquadra il processo che si è aperto a ottobre del 2019. In secondo luogo riprenderò alcune delle principali letture della sconfitta dell’Apruebo emerse in questi giorni, con l’obiettivo di fornire elementi utili per la comprensione della congiuntura e che possano sostenere la lettura che propongo.

1. Il modello cileno, come è noto, è stato un laboratorio per la materializzazione di un’utopia neoliberale, a cui si è potuto tentare di dar forma grazie ai carri armati in strada e alla presenza di un gruppo di intellettuali neoliberali: economisti e giuristi. È un’ovvietà dire che il neoliberalismo non è (solo) un pacchetto di misure economiche: il Cile è stato un modello di società neoliberale, in cui si sono coniugate un’architettura giuridica che ha costituzionalizzato il capitalismo, una serie di misure economiche regressive e uno sforzo prolungato per produrre le e gli abitanti di quella società, in cui sono stati articolati consenso e violenza di diversi tipi.

A ottobre del 2019 questo modello, preso a esempio per il successo economico e la stabilità politica, è imploso; l’Estallido social ha evidenziato una volontà generalizzata di evadere, sia a livello singolare sia collettivo, dagli unici modi di vita compatibili con la società neoliberale. I movimenti – l’Estallido non è sorto come il sole, c’è stato un importante lavoro politico durato decenni – hanno messo immediatamente sul tavolo il problema della costituzione pinochetista; una costituzione estremamente rigida, che costituiva – e alla luce del referendum, continua per ora a costituire – un limite per forme di vita considerate “degne”. Per questo le soggettività protagoniste della rivolta hanno gridato che “la normalità era il problema”, che avrebbero lottato fino a che non “valga la pena vivere” e chiesto che la “dignità diventi un’abitudine”, ribattezzando la piazza più emblematica di Santiago, che porta il nome di un generale, “Plaza dignidad”.

Il 15 novembre, quasi un mese dopo l’inizio dell’Estallido social, quasi tutti i gruppi parlamentari dell’allora maggioranza e opposizione, a eccezione del Partito comunista e di alcune formazioni del Frente Amplio (Boric lo ha fatto – l’unico – a titolo personale), hanno firmato all’alba l’Accordo per la pace e la nuova costituzione, per “dare uno sbocco istituzionale” – così recitava il documento – alla “grave crisi politica e sociale del paese”[ii].

Il calendario proposto prevedeva quattro tappe: un referendum iniziale in cui i/le cittadini/e si sarebbero dovuti/e pronunciare sulla volontà di avere una nuova costituzione e su quale organo l’avrebbe eventualmente dovuta scrivere: un organo misto, che includeva parlamentari in carica, o una convenzione costituzionale composta da 155 membri eletti esclusivamente per quella funzione; l’elezione degli e delle integranti della Convenzione; l’elaborazione di un nuovo testo in un periodo di tempo compreso tra 9 e 12 mesi; e un “Plebiscito de salida” con voto obbligatorio, unica istanza a prevederlo.

Nel primo referendum il SI alla nuova costituzione e la formula Convenzione Costituzionale erano prevalsi con una maggioranza vicina all’80%. Le elezioni delle e dei membri della Convenzione Costituzionale avevano visto una crescita enorme della lista Apruebo Dignidad (Partito Comunista e Frente Amplio, oggi coalizione di governo) e un risultato sorprendente della Lista del Pueblo, una piattaforma che riuniva candidati provenienti principalmente dai movimenti sociali e che ottenne 26 seggi. Le élite politiche che avevano amministrato il modello nei 30 anni precedenti erano rimaste al margine della Convenzione Costituzionale. La destra, ferma a 37 seggi, a fronte dei 52 necessari a esercitare un potere di veto, ha praticamente da subito boicottato i lavori e puntato tutto sul Rechazo al Plebiscito de salida.

2. Torniamo al presente. Di fronte alla disfatta del 4 settembre, di cui nessun sondaggio aveva previsto le dimensioni, sono emerse letture di vario tipo, che mi pare rendano conto solo in parte del risultato, ma con le quali è comunque utile “dibattere”.

Vari analisti legano a filo doppio il fallimento della bozza del testo costituzionale al crollo della popolarità di Boric e del suo governo, che ha puntato molto del proprio capitale politico sull’approvazione della nuova costituzione.

Il presidente e vari ministri hanno fatto campagna per l’Apruebo – anche se lo hanno fatto sicuramente tardi e probabilmente male–, legando di fatto le proprie sorti al plebiscito. La sconfitta era anche un test in questo senso, il presidente ha recepito il messaggio e lunedì 5 settembre ha fatto in mini-rimpasto che, detto in maniera rapida e banalizzando un po’, ha spostato l’asse dell’Esecutivo verso il centro. L’obiettivo di Boric e dei suoi, adesso, è cercare un dialogo dentro il Parlamento per avviare un nuovo progetto costituente, visto che oggi nessuno riconosce la legittimità della vecchia Magna Carta scritta in dittatura attualmente vigente.

Mi pare però produttivo evitare queste semplificazioni. L’elezione di Boric e il processo che ha portato alla bozza di nuova costituzione non sono fenomeni perfettamente sovrapponibili. Farlo significa, da una parte, dimenticare che a novembre 2021, in pieno processo costituente, il pinochetista José Antonio Kast è stato il più votato al primo turno delle elezioni presidenziali. D’altra parte, vuol dire togliere importanza a tutto quello che si è mosso al di fuori della coalizione che puntava alla Moneda in questi anni, ma anche ignorare che l’affermazione di Boric nel ballottaggio si è avuta anche grazie alla mobilitazione di gran parte dei movimenti organizzati – fondamentale in questo senso è stato quello femminista. Questi hanno messo momentaneamente da parte ogni divergenza con la coalizione formata da Partito Comunista e Frente Amplio, solo per il rischio di una presidenza Kast.

È verosimile che la caduta della popolarità del presidente abbia tirato verso il basso anche le preferenze per l’Apruebo e che la sconfitta nel referendum abbia lo stesso effetto su Boric e il suo gabinetto, ma il processo costituente che si è aperto nel 2019 eccede totalmente la questione del governo.

Le soggettività emerse nell’Estallido social non avevano un programma di governo “altro”, non erano unite dietro una leadership o una coalizione alternativa rispetto a quella del duopolio che ha governato il paese per 30 anni. Solo strategicamente, e non necessariamente in maniera unitaria, possono scegliere candidati/e, come nel caso del ballottaggio presidenziale, così come impegnarsi in alcuni casi in prima persona, ma questo non autorizza in nessun modo l’identificazione di rappresentante e rappresentati[iii]. Anche se non mancano casi di cooptazione, l’azione politica dei movimenti non è stata quella di sollevare domande a cui un governo finalmente “amico” deve dare risposta.

2. Un secondo punto ineludibile è la sconfitta dell’Apruebo nei municipi popolari. È un dato che rischia di essere in un certo senso fuorviante, nella misura in cui gli ultimi due quintili della popolazione in termini di reddito – quelli nei quali il Rechazo ha vinto con un margine maggiore –, sono anche quelli più numerosi. L’appoggio alla bozza di nuova costituzione, quindi, se pensiamo ai numeri assoluti è stato comunque importante.

Da più prospettive, anche molto diverse tra loro, si è segnalata una distanza tra la nuova élite delle e dei convenzionalisti – composta in gran maggioranza dalla classe media “illuminata” e universitaria – e i settori popolari. Dal centrosinistra si è sostenuta la tesi di una Convenzione Costituzionale troppo “avanzata”, lontana dai bisogni “reali” della popolazione, che vince a Ñuñork e perde a La Pintana[iv], come ha affermato polemicamente soddisfatto un ex deputato della Concertación[v]. Da questo punto di vista ci sarebbe un abisso che separa l’élite progressista e il popolo che questa aspira a rappresentare. In particolare, è finita sotto accusa l’eccessiva centralità data da convenzionalisti e convenzionaliste alle questioni di genere e a quelle relative alla dimensione plurinazionale dello Stato, che avrebbero allontanato la massa, presa da altre preoccupazioni più urgenti.

Il Centro de Investigación Periodística (Ciper) in una serie di interviste fatte in quartieri popolari della regione metropolitana a persone che avevano votato Rechazo – senza alcuna pretesa di rappresentatività: 120 interviste su una popolazione di oltre 2,5 milioni di abitanti – sembrerebbe confermare appieno questa analisi[vi].

Da un punto di vista diametralmente opposto, si è invece lamentata l’esclusione dei settori popolari dal processo che ha portato alla bozza della nuova costituzione e si è accusata la nuova élite di aver voltato le spalle alla potenza popolare dell’Estallido social; emblematica, in questo senso, sarebbe stata l’eliminazione di ogni riferimento alle giornate di Ottobre nella versione definitiva del Preambolo della bozza.

Un primo gruppo di critiche “da sinistra” si sono concentrate sul testo della proposta di nuova costituzione, sottolineando come questa non sancisse, per esempio, la nazionalizzazione delle risorse naturali e minerarie (artt. 134-150), rame e litio su tutte; non mettesse direttamente fine al sistema previdenziale privato, del lucro sulla salute (art. 44) e sull’educazione (artt. 35-43) – questioni centrali nella rivolta di Ottobre – ma si limitava ad aprire un sentiero che lo permettesse. Da quella prospettiva, il testo proposto, non sarebbe stato altro che un’enunciazione di buone intenzioni, visto che le norme transitorie rimandavano la sua attuazione a un Parlamento in questo momento in mano alla destra[vii].

Un altro tipo di critica ha visto il trionfo del Rechazo come una “rivincita delle moltitudini silenziate” che le élite hanno cercato di catturare in un nuovo patto sociale. Da questo punto di vista, si è addirittura celebrato il fallimento di una Convenzione Costituzionale che non ha potuto “aggiornare il regime”, travestendolo “con una serie di diritti che la popolazione è incapace di digerire, perché non riflettono l’immediatezza delle sue necessità e dei suoi desideri”[viii].

A me pare che la potenza emersa nell’Ottobre cileno non potesse in nessun modo, indipendentemente dal risultato, passare all’atto e cristallizzarsi in un testo costituzionale. La bozza presentata – e in questo senso torno a sottolinere la gravità della sconfitta – avrebbe aperto un terreno di confronto nuovo tra le vite e il capitalismo neoliberale, dando alle prime la possibilità di liberarsi dal corset della costituzione pinochetista. Se si guarda la macchina messa in moto dai partigiani del Rechazo, forse si può ipotizzare che dall’altro lato della barricata la percezione era simile. Chi, da un punto di vista anticapitalista o antineoliberale, si rallegra del trionfo del Rechazo cade – così mi pare – nella stessa logica che critica. Vede l’oggetto testo costituzionale come un punto d’arrivo, come una gabbia, e non come un terreno sul quale si sarebbero potute dispiegare future battaglie.

Un testo che apriva la porta ai diritti riproduttivi, ai diritti del lavoro, ai beni comuni, solo per citarne alcuni, per quanto imperfetto avrebbe aumentato la potenza di donne, lavoratrici e lavoratori di vecchia e nuova generazione, assemblee di quartiere e territoriali e più in generale di qualsiasi soggettività che, in modi diversi è sfruttata e spossessata.

3. Arriviamo qui all’ultimo punto che mi interessa sottolineare. L’aritmetica non è probabilmente la migliore alleata quando si tratta di analizzare processi di questo tipo, ma se diamo uno sguardo ai dati duri, vediamo che l’Apruebo ha ottenuto poco più 4 milioni e 860 mila voti. Con circa 260 mila in meno, Boric è stato il presidente più votato nella storia del Cile. L’appoggio alla nuova costituzione in termini assoluti è stato quindi importante.

Come si è indicato da più parti, il voto obbligatorio, che ha portato 5 milioni in più di votanti alle urne, ha determinato il risultato del referendum e probabilmente è l’unico elemento che da solo che riesce a spiegare, se non le dimensioni, per lo meno la sconfitta dell’Apruebo.

Come si è sottolineato da più parti, l’offensiva del Rechazo è partita da subito, ha contato con un appoggio mediatico enorme, un budget illimitato e ha usato le notizie false come principale strategia[ix]. In questo senso, è interessante che durante la campagna – ha segnalato la politologa Camila Vergara – si è arrivati a distribuire copie modificate della costituzione.

Uno degli elementi chiave della “guerra sporca” contro l’Apruebo, solo per fare un esempio, è stato quello della proprietà della casa. Da molti mesi, principalmente su gruppi di Whatsapp, circolavano voci prive di ogni fondamento secondo le quali la nuova costituzione – in particolare l’articolo 51 che sanciva il diritto universale alla casa e impegnava lo Stato a mettere in atto politiche pubbliche per rendere effettivo questo diritto – mettesse in discussione la proprietà privata delle case. Questo ha avuto un impatto enorme nelle motivazioni del voto contro la nuova costituzione e nelle interviste del Ciper a cui ho già fatto riferimento è stato il motivo più ricorrente, citato da 29 intervistati/e su 120.

Si tratta però solo di una parte della fotografia, perché se si paragonano i voti dell’Apruebo, rispetto al “Plebiscito de entrada” di ottobre 2020, l’appoggio al risultato del lavoro della Convenzione Costituzionale ha perso per strada più di un milione di voti rispetto a quelli che ne avevano decretato la creazione. La soluzione del rompicapo non passa certo dalla redazione di una costituzione meno “progressista”, che non urti la sensibilità degli aspetti patriarcali e razzisti delle soggettività di elettrici ed elettori o, peggio ancora, da una più conciliante con il Partito Neoliberale.

Se la diffusione di un ethos anti-neoliberale nelle giornate di Ottobre ha reso possibile l’apertura di un processo costituente che ha messo in discussione i fondamenti giuridici, sociali e soggettivi del modello cileno, andando ben al di là dell’apertura del processo che ha portato alla bozza di una nuova costituzione, oggi la domanda è qual è il lavoro politico che devono fare i movimenti perché l’ethos della rivolta, a tre anni dall’Estallido Social, non continui a erodersi. Anzi, dopo aver digerito questa sconfitta durissima, perché torni a espandersi nel nuovo scenario.


[i]      A. Trabucco Zerán, Entre la urgencia y la paciencia. https://www.revistaanfibia.cl/entre-la-urgencia-y-la-paciencia/

[ii]    Il testo dell’accordo è disponibile: https://obtienearchivo.bcn.cl/obtienearchivo?id=documentos/10221.1/76280/1/Acuerdo_por_la_Paz.pdf

[iii]   Va anche ricordato che il Frente Amplio e la figura dell’allora deputato Boric in particolare, furono molto questionati a novembre del 2019 per il voto favorevole alla cosiddetta Ley Antisaqueos che, in un momento di violenze da parte delle forze dell’ordine – Amnesty International e Human Right Watch parleranno in seguito di violenze sistematiche contro i diritti umani, casi di tortura e violenza sessuale  –  prevedeva pene fino a tre anni per chi partecipasse a manifestazioni occultando volontariamente il viso.

[iv]    https://www.adnradio.cl/politica/2022/09/05/pepe-auth-la-propuesta-estaba-hecha-a-medida-al-ideologismo-frenteamplista-de-nunoa-y-no-de-la-gente-popular.html. Ñuñoa è un municipio della zona est di Santiago, con una forte presenza della classe media progressista e cosmopolita, mentre La Pintana è un comune popolare, della zona sud della regione metropolitana e quello con maggior presenza di membri dei popoli originari.

[v]     La Concertación è la coalizione di centro-sinistra che ha governato ininterrottamente dal 1990 al 2010 e poi, come Nueva Mayoría, tra il 2014 e il 2018.

[vi]    https://www.ciperchile.cl/2022/09/07/120-residentes-de-12-comunas-populares-de-la-region-metropolitana-explican-por-que-votaron-rechazo/

[vii]  F. Portales, Convención frustró la nueva Constitución. https://rebelion.org/convencion-frustro-la-nueva-constitucion/

[viii] S. de Arcos-Halyburton, De la Convención Constitucionalista chilena a la revancha de la multitud. https://uninomadasur.net/?p=3556&fbclid=IwAR1gtmdwMRprDh0nUjoKAKCWc9O4Qhyc3Pwghzjpg4l8bVh21VIb0z20O7s

[ix]    C. Vergara, Chile’s Rejections. https://newleftreview.org/sidecar/posts/chiles-rejection; N. Soyez, Chile: “El electorado silencioso ha hablado e ha elegido masivamente el rechazo”. https://vientosur.info/chile-el-electorado-silencioso-ha-hablado-y-ha-elegido-masivamente-el-rechazo/

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