…e intanto forza assemblea di Sapienza!

Del COLLETTIVO EURONOMADE

1. L’“Europa delle Nazioni” e dei nazionalismi.

Con l’insediamento del governo Meloni in Italia, il ciclo politico reazionario/neoconservatore ha fatto evidentemente un nuovo salto di livello. Si è decisamente fuoriusciti da qualsiasi mediazione moderata o tecnocratica e si costituisce, sia pure tra tensioni interne che non è comunque il caso di sottovalutare, un governo politico che sposta decisamente a destra l’asse costituzionale italiano, e contribuisce a una decisa reiscrizione reazionaria della stessa costituzione materiale europea.

Più che soffermarsi sulla piuttosto sterile discussione su se e quanto sia letteralmente neofascista il governo, va fissato questo punto politicamente rilevante: il governo Meloni in Italia ha una chiara ricaduta sull’assetto materiale di quel che resta della costituzione europea.

Dobbiamo ribadire che l’Unione europea esce profondamente trasformata da questi mesi di guerra. Quando diciamo trasformata, intendiamo trasformata nella sua costituzione materiale: la completa subalternità alla NATO, l’incapacità di assumere una posizione autonoma sul conflitto hanno determinato uno spostamento del suo asse centrale verso Est, verso la Polonia e i Paesi baltici che hanno sempre subordinato l’appartenenza europea all’appartenenza atlantica.

Per usare il lessico degli studi europei, a questo spostamento “geografico” ha corrisposto uno spostamento da quella combinazione di approccio federale e funzionalista che ha a lungo guidato il processo di integrazione a un approccio “confederale” – e dunque a una rinnovata enfasi sulla sovranità nazionale. Non è un caso che Giorgia Meloni insista sulla Polonia (assai più che sull’Ungheria) come suo riferimento privilegiato nella politica europea.

Il “modello polacco” significa infatti contemporaneamente atlantismo e il ricentrarsi dell’assetto europeo sulle sovranità nazionali, sulla difesa dei confini, sul nazionalismo come valore unificante e come arma nella guerra culturale. In una parola, va a scatafascio quella sia pure residuale possibilità di riferirsi allo spazio europeo come modello sociale welfaristico, come spazio almeno di compromesso tra diritti sociali e primato della proprietà e della concorrenza. La guerra ha esaurito qualsiasi autonomia dello spazio europeo e qualsiasi promessa di integrazione: quello che riemerge è qualcosa di tristemente simile a quella “Europa delle Nazioni” che non a caso è sempre stata bandiera delle destre radicali vecchie e nuove. Solo che ora quest’Europa nazionalista non è più l’evocazione retorica delle destre estreme, ma lo spazio reale in cui si torce a destra tutto l’asse della costituzione materiale dello spazio europeo, liquidando la vecchia eredità del federalismo e delle sue aspirazioni ad un “modello sociale” integrativo. Questo – ripetiamolo – è anche il frutto diretto e immediato dell’effetto della guerra in Europa, e della riorganizzazione contemporaneamente atlantista e nazionalista dello spazio europeo che la guerra ha quantomeno enormemente accelerato, accelerando anche la marginalizzazione dell’Europa intera, e in primis del vecchio nocciolo franco-tedesco, nello spazio globale.

Sul fronte dell’organizzazione sociale dei paesi europei, questa riconfigurazione nazionalista non può che inasprire, le logiche di oppressione e di sfruttamento lungo le linee di classe, razza e genere. Come lo slogan dell’“Europa delle Nazioni”, così anche “Dio, Patria e famiglia” è uscito dai reliquari delle estreme destre e si fa progetto di coalizioni politiche maggioritarie e di governo. Né riesce a tranquillizzare il discorso che si sente ripetere da più parti per cui il vero salto autoritario potrà riguardare tutt’al più il campo del “simbolico”, mentre per le politiche economiche e sociali i vincoli esterni dovrebbe lasciare poco spazio di manovra, e costringere il governo a una più o meno lineare prosecuzione delle politiche neoliberiste. Il campo dei diritti civili è evidentemente non meno materiale di quello dei diritti sociali: la riconfigurazione nazionalista può produrre effetti immediati nelle politiche di welfare, nella selettività delle politiche migratorie, negli assetti materiali della cittadinanza. Dal canto suo, l’insistito richiamo alla sovranità energetica archivia ogni pur timido tentativo di mantenere la transizione ecologica nell’orizzonte programmatico di governo.

2. Comporre le forze: la convergenza.

La prima risposta a questo “salto di fase” reazionario è arrivata dalla manifestazione bolognese costruita attorno al collettivo di fabbrica GKN e al  percorso che si sta da tempo sviluppando introno alla parola d’ordine della “convergenza”. Una manifestazione senza dubbio riuscita, la cui forza conferma che porre il tema e il progetto della convergenza è stata la scelta giusta, un piano che nella costruzione di un’opposizione sociale può risultare decisivo.

La convergenza risponde evidentemente all’intensificazione reazionaria sul terreno giusto, quello della riconfigurazione della costituzione materiale, tenendo insieme diritti civili e sociali, lotte contro l’oppressione e lotte contro lo sfruttamento, lotte nate dentro la fabbrica con le lotte di FFF e del movimento ecologista, cosa di certo non facile e non scontata. Inoltre, va sottolineata la partecipazione, anche quella non scontata, di diverse realtà del movimento transfemminista e di NUDM, il che testimonia di come un momento di effettiva produzione di coalizione, oltre la logica meramente sommatoria di realtà e collettivi, si stia effettivamente producendo e sta mostrando potenzialità espansive. Il lavoro di potenziamento e di qualificazione della convergenza è, in ogni caso, l’arma più importante oggi per i movimenti. La difficile sfida di valorizzare autenticamente le differenze, di prenderle sul serio, e al tempo stesso, di superare la logica della frammentazione individuandone il comune e mappando le operazioni del capitale che le connettono e le sfruttano congiuntamente, è evidentemente decisiva nel momento in cui l’accelerazione reazionaria rende decisiva la costituzione di nodi di forza.

3. Lotte sociali e movimenti per la pace: costruire connessioni.

Non è possibile però per questi promettenti e incoraggianti percorsi di lotte, aggirare la questione fondamentale: il quadro in cui queste lotte convergenti ci sviluppano è segnato dalla guerra. La guerra svolge oggi una funzione costituente, che sorregge la riconfigurazione nazionalisti e lo spostamento a destra di tutto l’assetto europeo. La prospettiva, da questo punto di vista, sembra essere quella di una inarrestabile escalation, spinta dalle decisioni di Putin (mobilitazione, referendum), da quelle di Zelensky (esclusione di ogni trattativa) e dalla continuità nel rifornimento di armi da parte della NATO.

Se questo è il segno reazionario che la guerra produce, occorre munirsi di una precisa consapevolezza realistica: le lotte “convergenti”, così come le lotte su carovita e bollette che stanno interessando con grande capacità di estensione la Francia e cominciano a manifestarsi anche in Italia, non hanno nessuna possibilità di “vincere” se il quadro europeo si costituisce intorno alla continuazione “illimitata” della guerra, alla presenza incombente della minaccia nucleare  e all’esclusione aprioristica di qualsiasi ruolo di mediazione europeo. Questa proiezione sullo scenario globale è inevitabile per le lotte di resistenza al ciclo reazionario e nazionalistico: solo la conquista della “pace subito!”, o almeno l’assunzione come obiettivo politico interno alle mobilitazioni, può permettere a questi segni di riapertura del conflitto sociale in Europa di sviluppare una concreta capacità di esercitare effettiva resistenza al ciclo reazionario, di “far male” ai nuovi assetti nazionalisti.

4. Pace costituente.

Dobbiamo certo assumere come dato di realtà anche il fatto che sino a questo momento la costruzione di un movimento per la pace è restata perimetrata all’interno di un pacifismo “classico”, caratterizzato dalle tinte di un meritorio impegno etico, ma incapace di agganciare i livelli di conflitto materiale che la guerra stessa produce. In sintesi: le lotte sul carovita si sono tenute separate dai movimenti per la pace. Nonostante questa consapevolezza, e per trovare il modo di superare questa astratta separazione, la riappropriazione degli spazi di lotta per la pace da parte dei percorsi delle lotte sociali è un problema inaggirabile ormai per questi percorsi. Se le piazze e i presidi per la pace appaiono oggi attraversati da confusioni e incertezze, è anche perché quella confusione corrisponde ad una mancanza di proposta politica, ad un vuoto. Questo vuoto, specie nel momento in cui le prime espressioni nazionali organizzate di opposizione alla guerra trovano espressione in piazza, non va aggirato o ignorato: bisogna provare ad elaborare una risposta, una produzione di discorso politico contro la guerra, capace di riqualificare politicamente le richieste di descalation, diplomazia e pace, ricollegandole alla riappropriazione di uno spazio transnazionale di lotte contro il nazionalismo e per un modello europeo di welfare e di protezione sociale. Per dirla in breve: alla funzione costituente della guerra dobbiamo opporre la prospettiva di una pace costituente. In un quadro dove la guerra produce e sostiene la pervasività del riassetto nazionalistico, la convergenza delle lotte deve riqualificare, reimpiantandola nei bisogni materiali, la richiesta di “pace subito”, connetterla alla riconquista, di uno spazio europeo autonomo di difesa del welfare e dei diritti sociali. Se la guerra infinita ha nazionalizzato lo spazio europeo e ha reso quasi impossibile porre il problema del livello del reddito e dei salari con una prospettiva concreta di vittoria, occorre rispondere facendo “convergere” lotte per la pace e conflitto di classe: non è facile, ma la guerra è ora il punto di blocco fondamentale per lo sviluppo della lotta di classe.

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