Pubblichiamo qui la traduzione dell’incipit del secondo capitolo del libro Esta guerra no termina in Ucraina pubblicato da katarak e di prossima traduzione in italiano.

Di RÁUL SÁNCHEZ CEDILLO

Colonnello Dax: Lei sa le condizioni dei miei uomini…

General Broulard: Ah, naturalmente alcuni rimarranno uccisi, forse anche molti. Riceveranno pallottole e granate e in questo modo consentiranno ad altri di avanzare.

CD: Quale appoggio avremo?

GB: Non ne ho da dargliene

CD: E che numero di perdite prevede, Generale?

GB: Uh, diciamo il 5% uccisi dal loro stesso sbarramento, una concessione molto generosa, un altro 10% andrà nell’attraversare la terra di nessuno e un 20% nel passare i reticolati. Resta un 65% con la parte peggiore superata. Diciamo un altro 25% nella conquista vera e propria del formicaio. Ci restano ancora forze più che sufficienti per tenerlo.

CD: Insomma più della metà dei miei uomini sarà uccisa.

GB: Sí. È uno scotto terribile da pagare, Colonnello, ma il formicaio sarà nostro.

Orizzonti di gloria, Stanley Kubrick, Bryna Productions, Hollywood, 1957

Come abbiamo visto nel capitolo precedente, nella nebbia della guerra devono essere analizzati i processi, gli eventi, gli spazi e i conflitti tra le forze politiche in gioco, e deve essere fatto da un punto di vista che non sia né oggettivista né stato-centrico, ma da una prospettiva del materialismo della soggettività sociale, politica, psichica ed ecologica. È imprescindibile non solo che si considerino le dinamiche degli Stati, delle corporazioni e dei blocchi regionali, ma che si osservino anche le lotte, le resistenze e i contropoteri emancipativi che cercano di farsi strada in queste congiunture ogni volta sempre più spaventose. Per questo l’etica del “no alla guerra” implica un pensiero che non sia campanilista, un’indipendenza di criterio, e una pratica politica a partire dagli interstizi che permette oggi la mobilitazione totale della guerra nella sfera pubblica (e nelle fessure di una sfera comunicativa dominata dalla pubblicità della guerra). Nelle pagine precedenti sono stati criticati i principali discorsi che legittimano il regime di guerra, e sono stati esposti i processi storici, politici, economici, tecnologici ed ecosistemici che hanno condotto al periodo attuale. Però se vogliamo veramente capire il conflitto in Ucraina, le sue dimensioni e i suoi piani intrecciati, le conseguenze probabili sugli ordini politici europei e globali, o gli effetti sulle soggettività politiche e micropolitiche, dobbiamo percorrere un cammino storico, geografico e concettuale delle relazioni tra guerra, capitalismo, Stati, imperialismi, fascismi, macchine e produzioni (di desiderio, narrazioni e deliri) che attraversano il campo sociale.

Per tracciare questa panoramica, è necessario ricordare che un’etica è un modo del pensiero, e che un modo del pensiero è una problematizzazione particolare della pratica (politica): vale la pena ricordarlo quando si affronta la guerra scatenata dall’invasione russa dell’Ucraina. Capire le cause profonde, dirette e indirette (nel tempo e nello spazio) di questo conflitto mondiale è l’unica cosa che ci permetterà di agire collettivamente in maniera efficace[1], tanto per contribuire a forzare un cessate il fuoco sui fronti della guerra quanto per un’uscita transnazionale emancipatrice dal corso catastrofico che, dal centro del sistema euro-asiatico, la storia mondiale ha intrapreso con risolutezza. Questo ci permetterà, nel terzo capitolo, di esporre le chiavi e le implicazioni principali dell’escalation militarista del sistema-mondo a partire dalla congiuntura dell’economia politica ed ecosistemica della globalizzazione capitalista, e affrontare le alternative non utopiche alla guerra, alla dittatura, alla devastazione ecologica e al fascismo crescenti.

Chi, da una parte, affermano che Putin è un personaggio autoritario e che la Russia è un regime filonazista, e chi, dall’altra, sostengono che l’obiettivo dell’invasione russa è una de-nazificazione dell’Ucraina e un far fronte all’avanzata imperialista della NATO verso Est, condividono l’idea che questa guerra in Ucraina abbia molti elementi di continuità con la Seconda Guerra Mondiale. Secondo me, invece, l’invasione russa dell’Ucraina ha più a che vedere, nonostante vi siano differenze incolmabili, con il quadro politico e militare della Prima Guerra Mondiale.

Perché? Perché tanto la Prima Guerra Mondiale quanto l’attuale guerra in Ucraina hanno condizioni simili nel contesto europeo: in termini di lotta tra imperi, di Stati cardine in conflitto, e in uso di minoranze e nazioni senza Stato come casus belli. In entrambi i momenti, inoltre, si produce un notevole salto evolutivo nello sviluppo tecnologico delle macchine da guerra (e nel caso della guerra in Ucraina si stanno sviluppando come mai prima d’ora e presentano tutte le caratteristiche di una guerra senza limiti, ibrida, non lineare, e cibernetica, per citare i focus di analisi più comuni della guerra contemporanea).

Nella Prima Guerra Mondiale il cambiamento avvenne con l’avvento dei macchinari e delle strategie di guerra che avrebbero dominato i campi di battaglia del XX secolo.

L’elemento fondamentale che lega la Prima Guerra Mondiale con la guerra in Ucraina e che, allo stesso tempo, allontana entrambe dalla Seconda Guerra Mondiale consiste nel fatto che se durante la Prima Guerra Mondiale si creano le condizioni affinché nascano le passioni e i linguaggi della rivoluzioni conservatrici e dei fascismi delle decadi del 1920 e 1930, quando comincia la Seconda Guerra mondiale il fascismo ha già conquistato (con la complicità delle oligarchie industriali e finanziari italiane, austriache, tedesche e spagnole) il centro di gravità e la struttura politica e militare di vari Stati (attraverso i quali scatenerà il suo progetto genocida).

L’attuale guerra in Ucraina non ha Stati fascisti in lizza: si tratta di formazioni imperialiste (ultraconservatrici, ultranazionaliste nel caso del blocco russo) e di egemonie antagoniste nel sistema-mondo (Cina versus Stati Uniti) le cui dispute, retoriche e logiche stanno, come nella Prima Guerra Mondiale, generando il quadro e i processi politici e soggettivi che rendono fattibili e probabili di nuovo varianti fasciste come forme di governo e di potere di comando. È sufficiente vedere come gli elementi fascisti, coloniali e patriarcali stiano acquistando peso, sia narrativamente che politicamente e militarmente, nei casi russo e ucraino, ma anche nella narrativa del regime di guerra europeo, man mano che la situazione si aggrava.

Per cristallizzarsi come nel periodo tra le due guerre (con i casi italiano, tedesco, austriaco e spagnolo come esempi più eclatanti, e con le varianti ucraina e nazional-bolscevica in un secondo piano) il fascismo come soggettività e “movimento” ha bisogno almeno di sei matrici generative e/o trasformative[2] a partire dalle quali prende consistenza operativa: a) l’esperienza (Erlebnis) fondante della guerra; b) il pathos della nazione come comunità destinale; c) il casus belli del tradimento e della pugnalata alle spalle del nemico interno; d) l’antagonismo nei confronti della lotta di classe e di genere intesa come cospirazione contro l’unità della nazione o del continente patriarcale e suprematista, ovvero l’anticomunismo, la misoginia e la transfobia; e) il pathos vendicativo e senza radici della soggettività ex-combattente; e last but not least, f) una relazione specifica con le macchine da guerra come vettore di distruzione, morte e buco nero. A mio avviso, con la guerra in Ucraina, si sta abbandonando il terreno per una generazione e una intensificazione di nuove varianti fasciste a partire da nuove combinazioni delle sei matrici fondamentali.

Questo è possibile, in parte, perché il capitalismo non è solamente un meccanismo di ottenimento di plusvalore attraverso lo sfruttamento del lavoro: va al di là del sistema di accumulazione che integra questa dialettica. Infatti, la sua principale miniera di estrazione di ricchezza è composta dall’insieme di relazioni che si danno nelle moltitudini di lavoro vivo e negli ecosistemi umani.

A partire dalla lunga crisi che inizia negli anni Settanta del secolo scorso, l’incapacità del capitale nel riprodurre il tasso di profitto fa sì che i centri di gravità si spostino gradualmente verso un “momento populista di destra” in Europa (tendenzialmente oscillante verso l’autoritarismo e persino verso il fascismo); la politica di guerra in Ucraina (l’attivazione di un conflitto tra formazioni imperialiste, nazioni e Stati cardine) fa parte dello stesso schema. L’Ucraina, una zona che storicamente funge da cerniera del sistema euroasiatico, di alta e bassa intensità, con brevi interruzioni, durante il XX secolo e fino a questi anni del XXI secolo.

Per questo motivo, il conflitto attuale può essere capito solamente analizzando la genealogia locale ed europea dei movimenti reazionari, autoritari, stalinisti e fascisti, a partire dai regimi autoritari o dittatoriali, e dalle frontiere arbitrarie, gli eserciti e le guerre.

È un territorio devastato dal capitalismo, dalla guerra, dal fascismo, dall’antisemitismo, dallo stalinismo e dall’energia nucleare. E sempre prendendo di mira le minoranze nazionali o linguistiche, le comunità rom e i disertori, le donne e le persone LGBTQI, perché anche qui il dispositivo di questo tipo di guerra prevede un’agenda di guerra sessuale, in cui i soldati sono motivati attraverso l’impunità per esercitare la violenza sessuale contro le donne e le minoranze di genere.

La guerra non solo si prende letteralmente vite, ecosistemi, guadagni e diritti (a seconda della maggiore o minore implicazione nel conflitto): si prende sempre vite, libertà, sicurezza e diritti del proletariato sessuale e di genere. Da qui il riferimento costante al rifiuto della guerra moderna – oltre al punto di vista degli interessi di tipo economico ed ecosistemico della moltitudine, che è sempre carne da cannone, che vede distrutte le sue città e i suoi biotopi, e che è mobilitata nello sforzo di produzione bellica – è il punto di vista dei proletari di genere e sessuali. Questa guerra in Ucraina non è un’eccezione: entrambe le parti militari agiscono con l’aspettativa di riscuotere il loro salario libidinale/sadico delle truppe sul nemico catturato e sulla popolazione civile.

Alla luce di questa realtà, i posizionamenti a favore di una parte o dell’altra nello spazio politico europeo sono un errore tragico legato, da una parte, alla mancanza di strumenti teorici per comprendere il conflitto nelle sue molteplici dimensioni e conseguenze funeste e, dall’altra, con il carattere di mobilitazione totale, e di polizia di pensiero, che ha assunto un conflitto che ha evidenti tratti di conflagrazione mondiale.


[1] Una delle conseguenze immediate e inevitabili di questa guerra in cui l’informazione sul conflitto è soggetta alla censura primaria degli Stati Maggiori, alla censura secondaria delle multinazionali dei media, e alle casse di risonanza e propaganda dei social network è che qualsiasi aderenza ai fatti garantisce solo gradi variabili di certezza, gradienti di probabilità. La difficoltà è enorme anche se guardiamo alle narrazioni di guerra delle parti in conflitto. Tuttavia, è necessario fare un lavoro critico di smontaggio e confutazione, moltiplicando i problemi e mostrando le inconsistenze e le falsità delle narrazioni egemoniche. Questa critica preliminare è necessaria per una comprensione della guerra in Ucraina che sia compatibile con le tendenze reali del sistema-mondo.

[2] Generative nel senso della sintassi generativa di Noam Chomsky: la proliferazione di proposizioni grammaticali dalla matrice sintattica elementare del linguaggio umano. Trasformative nel senso che, in determinate condizioni di intensità e di “alte energie” politiche, dal prodotto combinato delle sei o altre matrici emerge una nuova trasformazione (piuttosto che un risultato) fascista, difficilmente classificabile tra le varianti precedenti. Tra i fenomeni che vanno in questa direzione problematica ci sono, ad esempio, le femministe radicali trans-escludenti (TERF) o i fenomeni di fascismo (senza metafore o appellativi) che nascono nell’occupazione israeliana della Palestina e che si riconoscono e si alleano con antisemiti e nazisti.

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