di TONI NEGRI [English]

Il Manifesto per una Politica Accelerazionista (MPA) comincia con un’ampia constatazione della drammaticità della crisi attuale – cataclisma … ma anche negazione del futuro, imminente apocalisse. Non spaventatevi, qui non c’è davvero nulla di teologico-politico. Chiunque ne sia attratto non si metta a questa lettura. E non c’è neppure un altro dei scibolet attuali – meglio, è solo accennato: il collasso del sistema climatico del pianeta: importante, sì, ma del tutto subordinato alle politiche industriali e affrontabile solo sulla base della critica di queste. Essenziale invece è “la crescente automazione dei processi produttivi” – incluso il “lavoro intellettuale” – ciò proverebbe la crisi secolare del capitalismo. Catastrofismo? Uso indebito delle categorie della caduta tendenziale del saggio di profitto? Non direi. La realtà della crisi è piuttosto qui riconosciuta nell’aggressione che il neoliberalismo ha sviluppato contro l’intera struttura dei rapporti di classe organizzati nello Stato sociale del XIX e del XX secolo; la causa della crisi nel blocco delle capacità produttive – necessità questa derivata dalle forme del comando capitalistico contro la nuova figura del lavoro vivo. Segue una critica durissima alle forze di destra governative e insieme a buona parte di quello che rimane della sinistra – quest’ultima spesso imbrogliata (nel migliore dei casi) da nuove impossibili ipotesi di resistenze keynesiane, e comunque incapace di immaginare un’alternativa radicale. Ciò che è stato cancellato in questa condizione è il futuro; ciò che è stato imposto è una vera e propria paralisi dell’immaginario politico. Non si uscirà da questa condizione spontaneamente. Solo un approccio di classe sistematico alla costruzione di una nuova economia e a una nuova organizzazione politica dei lavoratori potrà ricostruire un’egemonia per mettere mani proletarie su un futuro possibile.

C’è ancora spazio per un sapere sovversivo!

Questa apertura è adeguata al compito comunista come si presenta oggi. Costituisce un salto in avanti, deciso e decisivo, se si vuole assumere un terreno di riflessione rivoluzionaria: ma soprattutto dà “forma” nuova al movimento, intendendosi per “forma” quel dispositivo costitutivo e ricco di potenza predisposto a rompere con l’orizzonte statuale gerarchico e repressivo che oggi dà senso al potere capitalista. Non si tratta di un rovesciamento della “forma-Stato” – è un richiamo alla potenza contro il potere, alla biopolitica contro il biopotere. È qui, in questa premessa, in cui si oppone radicalmente al presente del dominio una possibilità di futuro emancipativo, che si sperimenta quell’ “Uno diviso in due” che costituisce oggi (piuttosto che una conclusione) la sola premessa razionale della prassi sovversiva.

Ma veniamo al seguito, a come si svolge la teoria. L’ipotesi MPA è che si tratti di liberare dentro l’evoluzione del capitale, la potenza del lavoro contro il blocco che il capitalismo determina; che si tratti di inseguire la costante crescita economica e l’evoluzione tecnologica (accompagnate da crescenti diseguaglianze sociali) provocando un completo interno rovesciamento del rapporto di classe. Si riprende dunque il “dentro-contro”, refrain della tradizione operaista. Il processo di liberazione non può darsi che accelerando lo sviluppo capitalistico, senza tuttavia (la cosa è importante) confondere “accelerazione con velocità”: perché qui l’accelerazione ha tutte le caratteristiche di un dispositivo-motore, di un processo sperimentale di scoperta e di creazione, all’interno dello spazio di possibilità determinate dal capitalismo stesso. Il concetto di “tendenza” marxiano si accoppia qui all’analisi spaziale dei parametri dello sviluppo – a quell’insistenza sulla “terra” (territorializzazione e/o deterritorializzazione) che fu propria di Deleuze e Guattari. E vi è un ulteriore elemento fondamentale: la potenza del lavoro cognitivo che il capitalismo determina ma reprime, che esso costituisce ma riduce dentro la crescente automazione algoritmica del dominio, che valorizza ontologicamente (crescente produzione di valore) ma devalorizza dal punto di vista monetario e disciplinare (non solo nella crisi ma nell’intera vicenda dello sviluppo, ed in particolare attraverso la sua gestione della “forma-Stato) – bene, questa potenza, con buona pace di tutti coloro che ancora buffamente si agitano nel sostenere che le possibilità rivoluzionarie debbono essere legate alla rinascita di una classe operaia novecentesca, chiarisce che qui c’è una classe, ma ben diversa, con una potenza ben superiore, ed è la classe del lavoro cognitivo – è questa classe che va liberata, è questa che deve liberarsi.

Il recupero del concetto marxiano e leninista di tendenza è qui completo. E, per così dire, è qui tolta ogni illusione “futurista”, laddove è la lotta di classe che determina non solo il movimento ma la capacità di rovesciarne la più alta astrazione in una solida macchina di lotta.

Su questa capacità di liberare le forze produttive del lavoro cognitivo si basa l’intero discorso del MPA. Bisogna togliere di mezzo l’illusione di un ritorno al lavoro fordista, bisogna cogliere definitivamente il passaggio dall’egemonia del lavoro materiale a quella del lavoro immateriale e quindi, considerando il comando capitalistico sulle tecnologie, occorre attaccare “l’approccio sempre più retrogrado del capitale alla tecnologia”. Le forze produttive vengono limitate dal comando capitalistico. Il tema fondamentale diviene allora quello di liberare le forze produttive latenti, così come il materialismo rivoluzionario ha sempre fatto. È su questa “latenza” che bisognerà ora soffermarsi.

Ma prima di farlo dobbiamo chiederci come, non a caso, l’attenzione insistente del MPA si volga a questo punto verso la tematica organizzativa. È qui sviluppata una forte critica contro ogni concezione organizzativa “orizzontale”, “spontanea” dei movimenti, contro ogni concezione della “democrazia come processo”: si tratta, secondo MPA, di pure e semplici determinazioni feticistiche (della democrazia) che non hanno alcuna conseguenza effettuale, destituente e/o costituente, rispetto alle istituzioni capitalistiche del comando. Quest’ultima affermazione è forse eccessiva, a fronte dei movimenti attuali che pur si pongono con forza (e senza alternative né attrezzi adeguati) contro il capitale finanziario e le sue produzioni istituzionali. Ma è certo che non si può togliere di mezzo un passaggio istituzionale forte, più forte di quanto l’orizzontalismo democratico potrà mai proporre, quando si parla di trasformazione rivoluzionaria. Pianificare bisognerà, prima o dopo il salto rivoluzionario, trasformare l’astrazione del conoscere la tendenza, nella potenza costituente di istituzioni future, post-capitaliste, comuniste. Una “pianificazione” dunque, che – secondo MPA – non è comando verticale dello Stato sulla società operaia, ma deve oggi essere convergenza nella Rete di capacità produttive e direzionali – questa è l’indicazione che deve essere assunta e il compito da sviluppare : pianificazione delle lotte prima della pianificazione della produzione. Ma di ciò si parlerà ancora.

Torniamo a noi. Prima di tutto si tratta allora di liberare la potenza del lavoro cognitivo, di strapparla alla sua latenza. “Sicuramente non sappiamo ancora cosa un corpo tecno-sociale moderno può”! Due elementi vengono qui insistiti. L’uno è quello che altri chiamano “appropriazione del capitale-fisso” e conseguente trasformazione antropologica del soggetto lavorativo; l’altro elemento è quello socio-politico e cioè la considerazione che questa nuova potenzialità dei corpi è essenzialmente collettiva, politica. In altri termini si può dire che il surplus, il valore aggiunto nella produzione e nel tendenziale sviluppo delle potenzialità costituite dall’appropriazione di capitale fisso, deriva essenzialmente dalla cooperazione produttiva sociale. Probabilmente questo è il passaggio fondamentale del Manifesto. Con un atteggiamento che attenua e certe volte rende inessenziali le determinazioni umanistiche della critica filosofica, MPA insiste sulle qualità materiali e tecniche della riappropriazione corporea del capitale fisso. La quantificazione produttiva, la modellizzazione economica, le analisi big data, i modelli cognitivi più astratti, etc. : bene, tutto questo viene appropriato attraverso l’educazione e la rielaborazione scientifica che ne fanno i soggetti-lavoratori. Che i modelli matematici e gli algoritmi siano al servizio del capitale non è una loro qualità, non è un problema della matematica – è solo un problema di forza.

Che vi sia qui un certo ottimismo, è fuori dubbio: quella percezione non può essere ad esempio molto utile alla critica del rapporto uomo-macchina (talora ben più complesso); e tuttavia, anche assunta questa critica, quel Machiavelli ottimista ed un po’ aurorale aiuta a gettarsi a capofitto nella discussione sull’organizzazione. Oggi urgentissima. Dunque, se il discorso è riportato sulla forza, esso conduce direttamente a quello sull’organizzazione. MPA: la sinistra deve sviluppare un’egemonia socio-tecnologica – “le piattaforme materiali della produzione, della finanza, della logistica e del consumo possono e devono essere riprogrammate e riformattate verso fini post-capitalistici”. Vi è indubbiamente qui un forte affidamento all’oggettività, alla materialità, si direbbe al Dasein dello sviluppo – e quindi una certa sottovalutazione degli elementi sociali, politici e cooperativi, della convenzione assunta quando si è aderito al protocollo di base: l’“Uno si è diviso in due” – ma questa sottovalutazione non deve impedirci di comprendere l’importanza dell’acquisizione delle tecniche più alte del comando capitalistico, dell’astrazione del lavoro per riportarle a quell’amministrazione comunista che si vuole condotta “dalle cose stesse”. Intendo questo passaggio, a questo modo: bisogna maturare l’intero complesso delle possibilità produttive del lavoro cognitivo per proporre nuova egemonia. Ed è qui che di nuovo il tema dell’organizzazione propriamente si propone. Propone – lo abbiamo già detto – contro l’orizzontalismo estremista una nuova riconfigurazione del rapporto tra rete e pianificazione; contro ogni pacifica concezione della democrazia come processo, un’attenzione spostata dai mezzi (voto, rappresentanza, Stato di diritto, etc.) ai fini (emancipazione collettiva ed autogoverno). Che qui non sorgano nuove illusioni centraliste e vuote reinterpretazioni della “dittatura del proletariato” è evidente. Ma il MPA coglie la necessità di spingere avanti la chiarificazione, proponendo una sorta di “ecologia delle organizzazioni”, insistendo cioè su un quadro plurimo di forze che entrino in risonanza fra loro e che così riescano, oltre ogni settarismo, a produrre motori di decisione collettiva. Si possono nutrire dubbi su questa proposta, vi si possono riconoscere difficoltà più grandi delle opzioni felici che presuppone – eppure è questa una strada da percorrere, tanto più evidente oggi, al termine di quel ciclo di lotte iniziato nel 2011 che, assieme ad una grande forza ed alla proposta di nuovi contenuti sinceramente rivoluzionari, ha tuttavia mostrato limiti insuperabili – mantenuta quella forma di organizzazione – nello scontro con il potere.

MPA propone tre urgenti obiettivi – decisamente appropriati e realistici. Innanzitutto di costruire una specie di infrastruttura intellettuale che costruisca un nuovo progetto ideale e studi nuovi modelli economici. In secondo luogo, una forte iniziativa sul terreno dei mezzi di comunicazione mainstream: internet e le reti sociali hanno indubbiamente democratizzato la comunicazione e possono essere utilissime nelle lotte, ma la comunicazione resta ancora del tutto subordinata alle più forti forme tradizionali di comunicazione. Si tratta di concentrare ingenti mezzi e tutte le energie possibili allo scopo di mettere le mani su mezzi di comunicazioni adeguati. In terzo luogo, si devono riaccendere le capacità di costruire tutte le possibili forme istituzionali (transitorie o permanenti, politiche e sindacali, globali e locali) di potere e di classe: una costituzione unitaria del potere di classe sarà possibile solo attraverso l’assemblaggio e l’ibridazione di tutte le esperienze sin qui sviluppate e di altre da inventare.

Il futuro ha bisogno di essere costruito: questa istanza illuminista corre attraverso tutto il MPA. Ed anche una politica prometeica, umanista, vi è completamente inclusa – un umanesimo che tuttavia, proponendosi di andare oltre i limiti imposti dalla società capitalistica, si apre al post-umano, all’utopia scientifica, fra l’altro riprendendo per esempio i sogni spaziali del XX secolo, oppure, sempre per fare esempi, costruire muraglie sempre più insuperabili contro la morte e tutti gli accidenti della vita. L’immaginazione razionale deve accompagnarsi alla fantasia collettiva di nuovi mondi, organizzando un’”auto-valorizzazione” forte del lavoro e del sociale. L’epoca più moderna che abbiamo vissuto, ci ha mostrato che non c’è altro che un Dentro della globalizzazione, che non c’è più un Fuori – oggi tuttavia, ponendoci nuovamente il tema della costruzione del futuro, abbiamo la necessità, e senza dubbio la possibilità, di portare Dentro anche il Fuori, di dare al Dentro un respiro possente.

Che dire di questo documento? Alcuni di noi lo sentono come un “complemento” post-operaista, nato sul terreno anglo-sassone, meno disponibile a riedizioni dell’umanesimo socialista, più capace di sviluppare un umanesimo positivo. Il nome “accelerazionismo” è senz’altro infelice, dà un senso “futurista” a quello che futurista non è. Il documento ha indubbiamente un sapore di attualità, non solo nella critica del socialismo e della social-democrazia “reali”, ma anche nell’analisi e nella critica dei movimenti 2011 e seguenti. Pone con estrema forza il tema della tendenza dello sviluppo capitalistico, della necessità di una sua riappropriazione e della sua rottura: insomma, su questa base, propone la costruzione di un programma comunista. Tutto questo dà gambe forti per andare avanti.

Qualche critica forse utile per riaprire la discussione e spingere avanti il ragionamento e l’accordo. La prima è che ci sia un po’ troppo determinismo, non solo tecnologico ma anche politico, in questo progetto. Il rapporto alla storicità (o se si vuole alla storia, all’attualità, alla praxis) rischia di essere falsato da qualcosa che non si vorrebbe chiamare teleologia ma che però sembra tale. Il rapporto alle singolarità e, dunque, alla capacità di considerare la tendenza come virtualità (che coinvolge le singolarità) e la determinazione materiale (che promuove la tendenza stessa) come potenza di soggettivazione, mi sembra sottovalutato: la tendenza non può essere definita se non come rapporto aperto, come relazione costitutiva, animata da soggetti di classe. Si può obiettare che questa insistenza sull’apertura può determinare effetti perversi e cioè, ad esempio, un quadro tanto eterogeno da potersi definire caotico e quindi irresolubile; una molteplicità ingigantita al punto da costituire un cattivo infinito. È indubbiamente quanto il post-operaismo, o anche i Mille plateaux, possono talora far pensare. È questo un punto difficile, cruciale: scaviamolo ulteriormente.

È vero che – a questo scopo – il MPA è armato di una buona soluzione quando – proprio al centro del rapporto fra soggetto e oggetto (che noi, abituati ad altre terminologie, chiameremmo rapporto fra composizione tecnica e composizione politica del proletariato) – quando pone a decidere su questo incrocio un’antropologia trasformativa dei corpi dei lavoratori. È così che le derive del pluralismo potrebbero essere evitate. Ma è anche vero che, se si vuol procedere su questo terreno – che noi riteniamo utile, meglio, decisivo – si deve anche rompere da qualche parte quella implacabile progressione della tensione produttiva che il MPA indica: bisogna determinare delle “soglie” nello sviluppo – soglie che consistono in consolidamenti – direbbero Deleuze e Guattari – degli agencements collectifs nella riappropriazione di capitale-fisso e della trasformazione della forza-lavoro, di antropologie e linguaggi e attività. Queste soglie sono quelle che si determinano nel rapporto tra composizione tecnica e composizione politica del proletariato e si fissano storicamente. Senza questi consolidamenti un programma – per quanto transitorio – è impossibile. Ed è proprio perché oggi non riusciamo a definire con precisione un tale rapporto, che talora ci troviamo metodologicamente inermi e politicamente impotenti. Di contro, è la determinatezza di una soglia storica, e la presa di coscienza di una modalità specifica del rapporto tecnico-politico, che permette la formulazione di un processo organizzativo e la definizione di un programma adeguato.

Si badi bene: quando si pone questo problema, si pone implicitamente (accettando la progressività della tendenza produttiva) il problema di definire meglio il processo nel quale si forma e si consolida il rapporto tra singolarità e comune. Abbiamo bisogno di specificare quanto comune sta in ogni connessione tecnologica, sviluppando un approfondimento specifico dell’antropologia produttiva.

Sempre su questo argomento della riappropriazione di capitale fisso. Si è già detto che nel MPA la dimensione cooperativa della produzione (e tanto più la produzione di soggettività) sia sottovalutata a fronte dei criteri tecnologici, dell’importanza degli aspetti materiali che costituiscono – oltre che i parametri della produttività – anche le trasformazioni antropologiche della forza-lavoro. Insisto su questo punto. È sull’insieme di linguaggi e di algoritmi, di funzioni tecnologiche e di know how, dentro il quale è costituito l’attuale proletariato, che l’elemento cooperativo diviene centrale e rivelatore di possibile egemonia. Quest’affermazione deriva dalla notazione che la struttura stessa dello sfruttamento capitalistico si è ormai modificata. Il capitale continua infatti a sfruttare ma in forme paradossalmente limitate rispetto alla sua potenza di estrazione di plus-lavoro dalla società intera. Quando si prenda coscienza di questa nuova determinazione, ci si rende conto che il capitale fisso, e cioè la parte del capitale implicata direttamente nella produzione di plus-valore, si riferisce, meglio, si instaura essenzialmente nel surplus determinato dal cooperare, cioè su quel qualcosa di incommensurabile che, come diceva Marx, non consiste nella somma del plus-lavoro di due o più lavoratori ma nel plus che deriva dal fatto che essi lavorano insieme (il plus, insomma, che sta oltre la somma). Se si assume la preminenza del capitale estrattivo su quello che sfrutta (comprendendo naturalmente il secondo nel primo) si può giungere a conclusioni assai interessanti. Qui ne sottolineo una. Una volta si descriveva il passaggio dal fordismo al post-fordismo, qualificandolo con l’applicazione dell’”automazione” nella fabbrica e con la gestione dell’”informatizzazione” del sociale. Quest’ultima ha grande importanza nel processo che conduce alla sussunzione completa (reale) della società nel capitale – l’informatica interpreta e conduce la tendenza – è, per così dire, più importante dell’automazione che solo difficilmente, in quel passaggio, riesce investendo parzialmente e precariamente il modo di produzione – a caratterizzare la nuova forma sociale. Oggi, come il MPA ben chiarisce e come l’esperienza garantisce, siamo ben oltre quel passaggio. La società produttiva appare non solo globalmente informatizzata ma questo mondo sociale informatico è esso stesso riorganizzato in termini automatici secondo nuovi criteri nella divisione del lavoro (nella gestione del mercato del lavoro) e da nuovi parametri gerarchici nella gestione della società. Insomma, quando la produzione si generalizza socialmente – attraverso il lavoro cognitivo, attraverso il sapere sociale – l’informatizzazione rimane indubbiamente il capitale-fisso più pregiato dal capitalismo ma l’automazione (chiamiamo così la strutturazione tecnologica del comando produttivo diretto che interviene non più semplicemente all’interno della fabbrica, ma nell’attività sociale dei produttori) diviene il cemento dell’organizzazione capitalista che piega a sé sia l’informatica – facendone un utensile – sia la società informatizzata, tentando di farne la protesi macchinica del comando produttivo. Le tecnologie informatiche vengono così subordinate all’automazione. Il comando degli algoritmi capitalisti segna questa trasformazione del comando sulla produzione. Siamo ad un livello superiore nella sussunzione reale. Di qui l’enorme importanza della logistica che – quando sia automatizzata – comincia a configurare ogni dimensione territoriale del comando capitalistico, a stabilire confini interni e gerarchie dello spazio globale. Come di tutte le macchinazioni algoritmiche che concentrano e comandano, per gradi di astrazione e settori di conoscenza, con frequenti e funzionali varianti, quel complesso di saperi, altrimenti chiamato General Intellect. Ora, se il capitalismo estrattivo allarga “estensivamente” la sua capacità di sfruttare ad ogni infrastruttura del sociale e si applica “intensivamente” ad ogni grado di astrazione della macchina produttiva, cioè ad ogni livello dell’organizzazione del modo di produzione finanziario globale, si tratterà a questo punto di riaprire il dibattito sull’appropriazione del capitale-fisso su questo intero spazio teorico e pratico. La costruzione delle lotte va commisurata a questo spazio. Il capitale-fisso può infatti essere potenzialmente riappropriato dai proletari. È questa potenza che si deve liberare.

Un ultimo tema, sottaciuto nel MPA, ma del tutto coerente con la teoria ivi sviluppata – la moneta del comune. Non sfugge certamente agli autori del MPA che il denaro ha oggi assunto – in quanto macchina astratta – la singolare funzione di misuratore supremo dei valori estratti dalla società nella sussunzione reale di questa nel capitale. Ora, lo stesso schema che conduce verso l’estrazione/sfruttamento del lavoro sociale nella sua massima espressione, ci fa lì riconoscere il denaro – denaro misura, denaro gerarchia, denaro piano. Ma questa astrazione monetaria, in quanto risultato tendenziale del divenire egemone del capitale finanziario, allude alla potenzialità di forme di resistenza e di sovversione allo stesso altissimo livello. È su questo terreno che il programma comunista per il futuro post-capitalista va elaborato, non solo proponendo la riappropriazione proletaria della ricchezza ma costruendone la capacità egemonica – lavorando cioè sia a quel comune che sta alla base della più alta estrazione-astrazione del valore del lavoro quanto della sua universale traduzione in denaro. Questo significa oggi “moneta del comune” – nulla di utopico ma piuttosto un’indicazione paradigmatica e programmatica di come prefigurare nella lotta l’attacco alla misura del lavoro imposta dal capitale, alle gerarchie dell’articolazione fra lavoro necessario e plus-lavoro (imposta dal padrone diretto) ed alla generale distribuzione sociale del reddito, comandato dallo Stato capitalista. È su questa prospettiva che si dovrà ancora molto lavorare.

Per finire davvero (ci sarebbero tante di quelle cose sulle quali ancora tornare!): che cosa vuol dire percorrere fino in fondo la tendenza e battere il capitale in questo processo? Un solo esempio: significa oggi rinnovare la parola d’ordine del “rifiuto del lavoro”. La lotta contro l’automa algoritmico deve cogliere positivamente l’aumento di produttività che esso determina e quindi imporre riduzioni drastiche del tempo di impiego disciplinato e/o controllato da/dentro le macchine per ogni lavoratore – e aumenti di salario consistenti, sempre più consistenti. Da un lato, il tempo di servizio all’automa dovrà esser regolato in maniera eguale per tutti (nell’epoca post-capitalista – ma questo significa da subito formulare in questo senso gli obiettivi di lotta). Dall’altro, un reddito di cittadinanza cospicuo dovrà tradurre ogni figura di servizio lavorativo nel riconoscimento dell’eguale partecipazione di tutti alla costruzione della ricchezza collettiva. Così ciascuno potrà sviluppare liberamente ed al meglio la sua gioia di vivere (ripetendo qui l’apprezzamento marxiano per Fourier). Anche questo va richiesto subito con la lotta. Ma qui si dovrebbe aprire ad un altro tema, quello della produzione di soggettività, quello dell’uso agonista delle passioni e della dialettica storica che esso apre contro il comando capitalista e sovrano.

Toni Negri, 7 febbraio 2014

→ Leggi il Manifesto per una Politica Accelerazionista di Alex Williams e Nick Srnicek, pubblicato su Euronomade il 20 dicembre 2013.

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