di GIOVANNA ZAPPERI.

La recente scomparsa di Carla Accardi ha riportato l’attenzione su una delle figure più interessanti del panorama artistico italiano del secondo dopoguerra, tra le pochissime artiste della sua generazione ad essersi imposta all’interno di un contesto fortemente maschile. Accardi è stata anche una delle protagoniste del neo-femminismo italiano insieme a Carla Lonzi, alla quale fu legata da uno straordinario sodalizio durato circa un decennio. È lei infatti l’unica donna a prendere la parola in Autoritratto, libro basato sul montaggio di conversazioni con artisti, che segna il culmine della traiettoria di Lonzi come critica d’arte. Il libro si conclude proprio con le parole dell’amica pittrice che segnalano sia l’imminente passaggio al femminismo che il filo rosso che lega le due donne: «(…) voglio che ci sia questo problema, donna-uomo, e basta. Un giorno uno mi dice ‘non c’è tanto’. No, no, no… io la mattina dopo mi rialzo e il problema c’è (…), perché una donna deve sempre tenere presente il fatto che sta lottando, però, per poter godere di una parte di felicità».

Soggettività in cammino

Il resto è storia: nel 1970 Lonzi e Accardi, insieme ad altre donne, danno vita a Rivolta femminile, uno dei primi gruppi femministi in Italia, fondato sul separatismo e sulla pratica dell’autocoscienza. Il fatto che Rivolta sia nata proprio dalla relazione tra due donne così fortemente coinvolte nell’arte è uno degli elementi più singolari e anche meno studiati della nascita del neo-femminismo italiano. L’importanza di questo fatto è affermata da Lonzi stessa in vari passaggi del suo diario, ad esempio quando scrive: «Rivolta Femminile è nata appunto da due persone, (Carla) e io, che si erano interrogate sulla soggettività maschile proprio perché ci eravamo poste come soggetti: (Carla) in quanto artista, io in quanto coscienza di un’identità ‘diversa’».

Lonzi e Accardi si erano conosciute all’inizio degli anni Sessanta, quando la prima cominciava la sua attività di critica d’arte e la seconda era già una pittrice affermata, con alle spalle esperienze importanti sui piani intrecciati dell’arte e della politica. La vicenda del loro sodalizio si dispiega per tutti gli anni Sessanta fino alla rottura avvenuta attorno al 1973, quando l’amicizia si spezza in seguito ad una serie di conflitti e incomprensioni che ruotavano attorno alla difficile convivenza dell’arte con il femminismo.

Lonzi, che aveva operato un taglio netto con mondo dell’arte, considerava l’attività artistica dell’amica come un’imperdonabile compromissione con la cultura patriarcale. La rottura tra le due tuttavia non sarà affatto netta, come attestano le numerose occorrenze in cui Lonzi torna sulla loro relazione nelle pagine del diario redatto tra il 1972 e il 1977, sottolineandone il carattere fondativo sia sul piano del proprio divenire soggetto che su quello del pensarsi all’interno di una soggettività collettiva: «La fiducia che (Carla) ha avuto in me mi ha dato molta forza, e quasi un benessere fisico. Questa fiducia (…) mi ha permesso di cominciare il femminismo (…)».

Delle ragioni della crisi tra le due e dei sentimenti contrastanti che caratterizzavano questa intensa relazione femminile conosciamo bene il punto di vista di Carla Lonzi che ha analizzato in profondità la fine del rapporto con l’amica. Il punto di vista di Carla Accardi risulta invece più sfumato, affidato a poche dichiarazioni, spesso molto posteriori, quando considerava conclusa quella fase della sua vita.

Meno a suo agio con la parola scritta, Accardi preferiva esprimersi visivamente, e molti dei suoi lavori realizzati a cavallo tra gli anni sessanta e settanta portano le tracce del suo interesse per
i temi femministi. Gli interventi di Accardi all’interno di Autoritratto ruotano spesso attorno ai temi dei rapporti uomo-donna, della condizione femminile e delle diverse forme di oppressione, con un interesse particolare per le lotte per i diritti civili degli afro-americani. L’attenzione per questi problemi attesta dell’intensa fase di gestazione che sfocerà nel femminismo e che è possibile cogliere anche in alcuni dei lavori di questi anni.

Forme ibride

Gli ambienti e le tende – → Tenda, 1965–66, → Ambiente arancio, 1966–68, → Triplice tenda, 1969–71 –, nei quali Accardi dialoga con le esperienze più radicali e innovative del design e dell’architettura italiani, costruiscono degli spazi nomadi e anti-istituzionali, delle «stanze tutte per sé» che riecheggiano la necessità di creare uno spazio separato, precondizione alla pratica femminista dell’autocoscienza. Questi lavori non sono soltanto delle forme ibride in cui si intrecciano pittura, scultura e architettura, ma si configurano come degli spazi dell’esperienza che presuppongono una partecipazione attiva per chi guarda. Non è un caso se nella loro discussione del 1966 attorno alla Tenda dello stesso anno, Lonzi e Accardi elaborino insieme una lettura proto-femminista dell’opera, che rimanda secondo Lonzi ad «una fenomenologia femminile (…) un atteggiamento che comincia a rivelarsi molto idoneo nell’attuale tendenza a smitizzare le operazioni umane». Il dialogo tra le due donne va ben oltre una lettura puramente formale, che appare infatti inadeguata a cogliere il significato politico e il coinvolgimento di questi lavori nelle trasformazioni che stavano sconquassando l’arte e la società in quel momento.

carla_accardi_matericoLa rottura con Carla Lonzi era essenzialmente dovuta alla difficoltà di pensare la creatività femminile al di fuori del coinvolgimento con l’ordine patriarcale. Nel programma di deculturazione radicale proposto da Rivolta femminile, l’arte era infatti considerata come un’attività troppo compromessa con le strutture dell’oppressione femminile e se nell’effervescenza dei primi anni del gruppo le tematiche artistiche non erano le più urgenti, il problema del nesso tra l’arte e il femminismo si pose immediatamente. All’inizio infatti Lonzi e Accardi si confrontano nella ricerca di una creatività diffusa e «non patriarcale», ovvero non più fondata sulla separazione verticale tra artista e spettatore, ma sull’orizzontalità dell’autocoscienza. Gli inizi del movimento femminista corrispondono per Lonzi alla possibilità di «una identificazione di me fino allora lasciata sospesa e nella cui impossibilità avevo consumato un’infinità di energie», e si traducono anche nel tentativo di riformulare l’idea stessa di creatività nei termini di una pratica trasformativa che investa il soggetto femminile all’interno di una dinamica collettiva.

Per Lonzi la creatività così come emerge dalla storia dell’arte trova il suo fondamento nell’esclusione della donna ed è dunque intrinsecamente patriarcale, proprio perché fondata su quell’asimmetria tra l’unicità del soggetto maschile (l’artista) e il suo altro passivo che è la donna. Per questo il termine di creatività in Lonzi affiora in modi così complessi e contraddittori, nella misura in cui andrebbe ripensato ciò che si intende per creatività a partire da un divenire soggetto in cui l’altra è parte attiva e vitale di questo processo.

Genealogie sconosciute

Le posizioni di Lonzi erano sempre più difficili da accettare per chi come Accardi rivendicava un’identificazione come artista all’interno di una pratica femminista. La sua fuoriscita dal collettivo, insieme alle altre artiste che vi partecipavano – Suzanne Santoro e Anna Maria Colucci – segna un divario insanabile riguardo alla possibilità stessa di pensare l’arte come una pratica che possa articolarsi all’interno di un programma di liberazione. Le artiste che lasciano Rivolta daranno vita, assieme ad altre, alla Cooperativa di via del Beato Angelico, una delle più significative esperienze artistiche femministe in Italia.

Nell’ambito di questo progetto collettivo, nel maggio del 1976, Carla Accardi allestisce la mostra Origine, che rappresenta una sorta di risposta e di elaborazione a posteriori dei temi discussi all’interno del gruppo. Origine ruota attorno ai temi della memoria personale e delle geneaologie femminili, attraverso l’installazione di una tenda di sicofoil trasparente che serve da supporto ad una serie di fotografie in cui l’artista costruisce una narrazione non-lineare delle relazioni femminili all’interno della sua storia famigliare.

Questa mostra, in cui si intrecciano i temi dell’archivio, della soggettività femminile e delle relazioni affettive, se da una parte dialoga con le esperienze più innovative di quegli anni su scala internazionale, allude anche ai temi affrontati da Accardi negli anni Sessanta, quando era alla ricerca di modalità che le consentissero di pensarsi come artista all’interno di un contesto che la escludeva a priori. «L’arte – afferma Accardi nella conversazione del 1966 – è sempre stata il reame dell’uomo. Noi, nello stesso momento in cui entriamo in questo campo così maschile della creatività, il bisogno che abbiamo è di sfatare tutto il prestigio che lo circonda e che lo ha reso inaccessibile».

questo testo è stato pubblicato sul “manifesto” l’8 marzo 2014

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