di EMANUELE BRAGA.

Occupare l’immaginario!

Poco dopo che entrammo, Antonio Caronia si sedette su un gradino basso, in una nicchia fra la tromba in cemento armato dell’areazione e le quattro porte d’alluminio degli ascensori di Torre Galfa. Come al solito, si mise a filosofeggiare difronte ad una piccola folla di persone che entrando nel torracchione trovavano lui appena salite le scale, a sganciare parole una dopo l’altra, come parte di un discorso che durava da tutta la vita. Mentre eravamo impegnate/i a fare discorsi sulla gentrification, le condizioni lavorative del cognitariato, la crisi del modello istituzionale… Caronia aveva l’urgenza, in quei giorni, di dire un unico concetto che mi sento di riassumere in modo estremamente semplice e banale: l’industria culturale si basa sulla produzione di immaginario. Produrre vite libere, significa saper occupare quello stesso campo, occupare prima di tutto l’immaginario.
All’interno di Macao, a due anni di distanza, portiamo a termine l’analisi di migliaia di foto scattate dal pubblico dell’evento del Fuorisalone del 2013, scaricate dal social network Instagram, grazie alla collaborazione dell’Istituto di Etnografia Digitale della Statale di Milano: un modo per studiare che tipo di produzione di immaginario attiva il pubblico su un grande evento come il Fuorisalone. Cercando di analizzare alcuni aspetti fondamentali. Il primo, la centralità del pubblico non tanto come utente visitatore, ma come produttore di informazioni che vanno a comporre la comunicazione dell’evento, considerando questo come principale indice di valorizzazione economica. Il secondo: che tipo di soggetto è il pubblico di un grande evento, che processo di soggettivazione si innesca per le persone che lo compongono? In terzo luogo, che tipo di spazio urbano ne risulta, che tipo di rapporto fra città e persone si crea?

fare_pubblici1L’antefatto
(a destra: foto scattata durante il Fuorisalone 2013)

Perché iniziamo a fare questa inchiesta? Perché in una città come Milano, dove si passa da Salone del mobile e Fuori Salone del Mobile alla Settimana della Moda a bookcity….fino ad arrivare a Expo2015, la giostra dei grandi eventi artistici e alla moda è evidente essere il centro pulsante della proposta culturale e della vita economica. Poco prima cercammo di comprendere quanti soldi venivano raccolti per produrre uno di questi eventi, il Fuori Salone, e arrivammo a stimare 250 milioni di euro per una settimana di evento, naturalmente accumulati in poche agenzie che stavano controllando l’evento, e mal redistribuite tra la forza lavoro. Quel che più ci aveva impressionato era che l’enorme cifra di denaro veniva raccolta non sulla base di prodotti offerti in termini di location, spettacoli o pubblicità, ma sulla base di un indicatore principale: il numero di pubblico che gli organizzatori erano in grado di garantire. Quanto pubblico viene, quanto pubblico “clicca”, quanto pubblico cita nei social network. Questo è il principale indice che accredita il finanziamento.
La seconda domanda fu: ma il pubblico lo sa? Ovvero, il pubblico sa di essere il principale produttore dell’evento? In termini di informazione, di comunicazione, di recensione, sa di essere il principale fornitore di contenuti e di valore dell’evento, sa di non essere solo un ospite curioso ma il produttore di ciò che vede? E, soprattuto, cosa vede? Cosa dice, il pubblico, nel recensire, immaginare, narrare, produrre l’evento?

Le lunghe notti del tagging

In un gruppo eterogeneo di 15 persone all’interno di Macao abbiamo portato avanti un’azione di tagging per suddividere in diverse categorie, un campione di 2mila foto scattate e condivise dal pubblico di Fuorisalone attraverso Instagram. Ci siamo ritrovati a osservare le foto che i visitatori del Fuorisalone avevano scattato, e abbiamo cominciato a rintracciare quali atmosfere, quali elementi ricorrenti, e quale il ruolo che il soggetto si ritagliava durante lo scatto.
Al di là che il Furoisalone ha come tema il design e il design d’interno in particolare, la gran parte di soggetti aveva scattato foto con l’intenzione di ricreare gli elementi di un proprio abitare possibile: il tono della luce (atmosfera), l’utilizzo dell’autoritratto (un luogo fatto per me), l’elemento del cibo (un luogo conviviale) e la riproduzione di location (un luogo definito e dotato di confini). L’immaginario che ne esce è quello di una casa possibile, una casa desiderata, il Fuorisalone come un’occasione per ricomporre il proprio ambiente domestico e intimo, come luogo in cui vi sono, disseminati, gli elementi di uno spazio personale possibile.
(sotto: notte di tagging a Macao, novembre 2013)

fare_pubblici2Da una parte è giusto rilevare che se i pubblici diventano produttivi, i beni di consumo diventano i mezzi di produzione e che se la produzione di informazione, attraverso il web, i social network e la partecipazione fisica dei corpi nella città, diventa il principale canale comunicativo dell’evento e unità di misura della sua valorizzazione economica, si è portati a pensare che l’evento sia comunicato e costruito come lo vuole la gente e che sia a misura di una base allargata di cittadine/i. Dall’altra parte, è importante notare come la sinergia tra dispositivo tecnologico e distribuzione spaziale nella città delle location, formi e condizioni un certo tipo di partecipazione. Si crea cioè un incontro implicito tra formazione del desiderio del pubblico e comunicazione dell’evento da parte dei gestori proponenti. Questo è quello che ci interessa in questa ricerca. Attorno quali cardini il desiderio di partecipazione crea esattamente l’interesse del gestore dell’evento. In altre parole, quale la genesi di questa economia estrattiva, basata sull’impiego di tempo di vite messe al lavoro.
E se gli indici più ricorrenti delle foto analizzate parlano del desiderio di abitare e di trovare un posto a propria misura, gli indici dove abbiamo cercato di definire il livello di interazione prodotto/persona, e il livello di passività/criticità con l’oggetto ritratto, parlano di un pubblico decisivamente poco interattivo e poco critico nei confronti di ciò che visita.
L’identikit è quello di un pubblico che si autoritrae individualmente in una ipotetica casa, di cui non tocca troppo gli elementi, e di cui non ha una visione né critica né ironica.

Sono stato ovunque! Il corpo nell’epoca dell’isteria del controllo

Dobbiamo tenere presente che se, da una parte, la produzione di immagini del pubblico fa emergere questa figura di individuo solo (raramente il soggetto si ritrae circondato da altre persone o si trova in mezzo alla folla) che cerca conforto in un ambiente domestico su misura di cui non tocca gli elementi e con cui non stabilisce una distanza critica, dall’altra, questa attitudine è fortemente in contrasto con la geolocalizzazzione delle foto e il ritmo di spostamento della persona nella città. Abbiamo rilevato che il ritmo di spostamento fra una location e l’altra è così frenetico che non contempla la creazione di zone di sosta o di sospensione. La situazione è simile a quella di non sentirsi mai appagati in nessun posto, appena arrivati ad una destinazione/location si riparte con l’ansia di non riuscire a raggiungere la prossima meta che chissà quali sorprese riserva più di questa: la fretta dell’essere ovunque per poter dire di aver visto tutto, di esserci stati. Lo spazio che si crea è uno spazio in transito, di deflusso, dove quando qualcuno arriva già si organizza per ripartire.
(a destra: foto scattata durante il Fuorisalone 2013)fare_pubblici3
Riconoscere il carattere di questa macchina del controllo è sicuramente l’interrogativo principale. Da un parte, c’è il controllo delle agenzie che propongono l’evento nei confronti dei flussi che lo attraversano. È un controllo mimetico, non disciplinare. Il dispositivo tecnologico dei social network fa produrre al pubblico gran parte della comunicazione dell’evento. Il pubblico si diverte “inconsapevolmente” a promuovere e sostanziare l’evento nella sua produzione di informazioni (immagini, twitt, messaggi, pagine web, blog, passaparola), il rapporto tra pubblici e comunicazione dell’evento è quindi ribaltato e intimo allo stesso tempo. La comunicazione dell’evento si autoreplica sulla base di una rapporto personale che il soggetto produce con l’evento. Il gestore dell’evento non “organizza” il grosso della comunicazione, questa avviene dal basso, fluida e capillare in una modalità più simile al crowdsourcing: in qualche modo il gestore non produce la comunicazione ma incentiva che sia prodotta in modo disperso. Solo in un secondo momento analizza i dati e li mette a valore in tabelle di ranking che fanno da indicatori per raccogliere contributi finanziari in cambio di visibilità. L’agenzia che promuove l’evento, lascia che l’evento si crei attraverso questa libertà dal basso di produrre una personale interpretazione dello spazio. Dal punto di vista comunicativo, ciò cui si deve predisporre sono l’apertura dei dispositivi digitali (pagina web, social network, …) e la visualizzazione di una mappa delle location che riorganizzi la città attorno a percorsi in cui incanalare i flussi.

Quindi se da una parte si concatena una produzione gratuita e spontanea di contenuti nel contesto di un processo di valorizzazione finanziaria centralizzato e non redistribuito, dall’altra, una questione altrettanto importante è il tipo di relazione che il soggetto instaura con la personale produzione di immagini. Questa relazione sembra infatti segnata da una specie di isteria del controllo che si esplicita nel desiderio di esserci e di non perdersi qualcosa che potrebbe essere migliore da un’altra parte. Il desiderio di controllo dal punto di vista soggettivo è dunque molto forte e obbliga a una gestione del tempo schizofrenica. L’avere tutto sotto controllo, rimanendo nella posizione di impotenza ad agire, impotenza a creare relazione e a realizzare spazio, e quindi ad avere un vero controllo del proprio tempo. Questo controllo schizofrenico coincide con la disattesa e l’insoddisfazione continua, con un non controllo di fatto, con la superficialità della mappa con cui il pubblico è ingaggiato. Il desiderio implicito è confermare soggettivamente la mappa di tutti gli eventi, o uscire dalla mappa per esaurimento fisico.

fare_pubblici4(a sinistra: foto scattata durante il Fuorisalone 2013)
Inutile dire che il concatenamento macchinico che regola questo tipo di flusso non promuove che i soggetti possano avere il desiderio di non andare in alcune delle location, la costruzione di zone di sosta, di gioco e di relazione che non siano previste nella mappa, l’attraversamento di luoghi della città in cui non vi sono location.
È quindi interessante stabilire una linea di ricerca sul rapporto tra gestione del corpo nello spazio urbano e nuove tecnologie digitali nell’economia dell’evento. Se la persona costruisce e si riproduce all’interno del mezzo tecnico digitale in questa figura di produttore e consumatore che tipo di uso del corpo ne consegue? Come si sposta e si relaziona allo spazio urbano? Quali rapporti di valorizzazione economica sono sottesi? Quali sono le rappresentazioni del corpo che ne derivano?

Dividere, viralizzare, autorganizzare

Nel seminario che si è tenuto a Macao il 12-13 aprile 2014 dal titolo Fare Pubblici. Forme di rappresentazione e nuove cartografie delle città-esposizione, è emersa l’urgenza di trovare modalità efficaci per spaccare, articolare e trasformare questo dispositivo dei pubblici, dal momento che avrà sempre più un’importanza strategica nella cattura di immaginari e flussi economici.

A questo riguardo porto un esempio concreto in cui Macao ha tentato di dividere il pubblico di Fuorisalone, provocando anche un fuoriuscita da quella cattura sopra descritta. Durante l’edizione del Fuorisalone nel 2013, abbiamo creato un canale twitter che attraverso hashtag che richiamavano gli hashtag ufficiali dell’evento, si è inserito nelle comunità di visitatori del Fuorisalone. Con questo canale abbiamo cominciato a sollecitare il pubblico giocando con domande sempre più stonate, fino ad arrivare a provocare una discussione critica su alcune modalità di fruizione e gestione del Fuorisalone e intorno alle condizioni dei lavoratori dell’evento. In due giorni siamo arrivati ad avere un cluster, un aggregato di flusso in rete legato al nostro account, potente quasi quanto gli account delle agenzie ufficiali. L’operazione è servita come uno strumento di inchiesta e, allo stesso tempo, come dispositivo di destabilizzazione del flusso convenzionale di produzione di contenuti del pubblico. Andando a toccare un soggetto così importante per l’economia dell’evento, come il suo stesso pubblico virtuale, il nostro account è stato chiuso nel giro di 48 ore, in seguito a una probabile pressione delle agenzie ufficiali.

Il secondo esempio che voglio portare riguarda invece il concetto di virale. Oltre che provocare il pubblico ad una discussione non omologante, è importante riconoscere il potere imprevedibile che ha lo scambio di contenuti tra persone nella rete. Questo il caso di due campagne di Macao: Exponiti2015 e Turisti che danno i numeri. Nella prima, in occasione dell’inaugurazione di Expo2015 alla Villa Reale di Monza, nel giungo 2013, con tutti i governati e gli amministratori che scommettevano sul rilancio economico italiano a partire dall’esposizione universale, abbiamo giocato sulle promesse (mancate) che hanno consentito alla città di Milano di vincere l’assegnazione dell’evento. I progetti erano tre e di alto impatto simbolico: riattivare le vie d’acqua dei navigli sommersi o in secca rendendoli canali navigabili, riaprire le numerose cascine abbandonate che segnano un cerchio attorno alla città per una nuova idea di agricoltura urbana, rafforzare le linee metropolitane per una mobilità più sostenibile. Questi progetti non sarranno realizzati, o in modo molto parziale, perché le risorse a disposizione sono state sprecate in appalti truccati e interessi sulla rendita che riguardano il territorio regionale pedemontano e le aree in cui sorgeranno i padiglioni. Così la narrazione ufficiale di Expo2015 ha “ripiegato” sul concetto di realtà aumentata: nei video ufficiali si raccontano infatti le comodità di una città a misura di carta di credito e di sensori di riconoscimento, e le virtù di occhiali speciali (i google glass) attraverso cui poter vedere le ricchezze del territorio. Un modo per incrementare efficacemente sia i consumi sia il controllo degli spostamenti dei flussi. Così abbiamo indossato degli occhialoni e ci siamo ritratti nello spazio urbano supponendo di vedere cose magnifiche, e abbiamo lanciato queste immagini nei social network. Questo ha generato una vasta produzione di immagini attorno a questi temi da parte della comunità virtuale e quindi, di nuovo, ad avere un account twitter con un cluster molto forte rispetto agli account ufficiali e alla censura/chiusura immediata.
fare_pubblici5(a sinistra: Exponiti 2015!, Macao, giugno 2013)
Nel settembre successivo, in occasione di un convegno dal titolo Diritto alla Città tenutosi al Teatro Valle Occupato di Roma, Macao ha tenuto un workshop dove, insieme ai partecipanti e ai movimenti della città, si è costruita una campagna contro Caltagirone. In quegli stessi giorni, per opera delle principali testate cittadine di proprietà di Caltagirone, primo fra tutti il Messaggero, si stava compiendo un forte attacco ai danni del Teatro Valle. Caltagirone è il più grande proprietario immobiliare di Roma, enorme speculatore e titolare di numerosi immobili sfitti che basterebbero a soddisfare i bisogni dei cittadini in mobilitazione per il diritto alla casa. Abbiamo creato alcuni account sui social network che stimolassero una nuova tendenza nelle comunità on-line di turisti stranieri: la produzione di immagini di poser davanti a luoghi degradati di proprietà di Caltagirone. Una orda turistica che posasse come in una cartolina nei canteri immobili o abbandonati. Anche in questo caso la pratica si è diffusa, è stata reinterpretata e riprodotta senza che noi ne avessimo il controllo, generando una mappatura “altra” della città.fare_pubblici6
a destra: immagine presa dalla rete)
L’inverno successivo, a Milano, il gruppo di cittadine/i No Canal, in difesa del parco delle Cave, contro l’apertura di un canale di cemento in funzione dell’area dei padiglioni di Expo2015, hanno trasformato il cantiere in una giornata di Olimpiadi (No Canal), ritraendosi in posizioni ironiche e non convenzionali con gli oggetti del cantiere. Un segno di come il gioco di produzione di altro immaginario, in processi in cui si affermando i propri diritti, può essere frutto di un contagio virale nella produzione di linguaggio, e quindi di diffusione e conoscenza, senza limiti di spazio e di tempo.

Abbiamo inteso questo campo dei pubblici come il luogo di quella produzione diffusa, la cui unità minima di valore non è definibile, fonte di una grande estrazione di valore. La caratteristica di questa produzione è di non avere una unità di valore, di essere scivolosa. Non più una catena di montaggio in cui il pezzo prodotto e il tempo impiegato possono essere misurati come unità di valore. Il meccanismo estrattivo di cui si parla, gioca con una materia più indefinita, e con un tempo che va sempre più a coincidere con i tempi di vita. In questo paradigma ci siamo chiesti che possibilità di sciopero ci rimane. A chi può importare, infatti, se un gruppo di visitatori non twitta o non pubblica alcuna immagine? A nessuno. Altro conto è se all’interno del flusso di produzione di informazioni si creano modalità altre, che cominciano a incrinare il processo di estrazzione di valore. Si può solo intuire che i pubblici possano divenire il corpo da cui una nuova forma di dissenso può ricomporsi, attraverso forme reticolari di organizzazione.
Per questo motivo, molta della nostra attenzione è volta a costruire infrastrutture di altro networking. In sostituzione alle piattaforme social proprietarie, dobbiamo pensare alla costruzione di infrastrutture digitali e reali, che non siano il luogo di queste logiche di accumulo. Ci si può dotare di forme di organizzazione comuni? Per questo motivo abbiamo aperto una riflessione sulla produzione di una piattaforma on-line che possa essere il punto di incontro di un’altra modalità di produrre, scambiare e condividere, che includa in sè strumenti di discussione e decisione collettiva, strumenti economici basati sul valore d’uso e sulla messa in comune dei mezzi di produzione (#apparecchioperapriredaldisotto). All’interno di questa riflessione, stiamo ragionando sul concetto di nuova moneta digitale del comune. È possibile creare una moneta che sia basata sul valore d’uso e costruzione di reddito?
(sotto: Turisti che danno i numeri, Vela incompiuta di Calatrava a Tor vergata, sett 2013)
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In un contesto metropolitano nel quale il principale motore economico è basato sulla produzione di immaginario nella logica del grande evento, questa inchesta di Macao vuole sottolineare che c’è un capitale finanziario che viene estratto e non redistribuito, e che il principale produttore e valorizzatore di questo capitale sono i pubblici. I pubblici intesi come produzione diffusa di immaginario che accredita l’evento. Abbiamo allora cercato di comprendere quali fossero i meccanismi di cattura di questa produzione diffusa in una caso studio come quello del Fuorisalone.
Questa forma di inchesta non può essere disgiunta dalle pratiche e dai corpi. Crediamo che da qui si possa aprire la possibilità per una fuga all’interno: in questi spazi di costruzione dobbiamo creare e organizzare altri strumenti di produzione.
È importante riuscire a radicare questi strumenti in un nuovo concetto di cittadinanza che si fondi sulla condivisione delle risorse, su una autoderminazione delle regole di accesso e su una nuova produzione di reddito.
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