Intervista a TREBOR SCHOLZ (a cura di TIZIANA TERRANOVA)

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Tiziana Terranova: Trebor, in Italia come altrove immagino, stiamo discutendo cosa sta succedendo a forme tradizionali di organizzazione del lavoro come i sindacati e di nuove forme di sperimentazione che potremmo definire di ‘sindacalismo sociale’. Ci interessa la relazione tra nuove forme di sindacalizzazione e la loro relazione con lotte più ampie e meno definite. Pensiamo per esempio alle lotte ambientali, a lotte informali nella città attorno al precariato ecc, che confondono la relazione tra vita e lavoro. Tu d’altro canto stai seguendo da vicino le trasformazioni del sindacalismo negli Stati Uniti, ma anche l’impatto globale della riorganizzazione del lavoro indotto dall’uso di Internet come infrastruttura lavorativa. Hai notato un ritorno di sindacalismo in luoghi di lavoro in cui è stato tradizionalmente molto difficile organizzarsi come l’industria del fast food o grandi magazzini come Walmart. Ma quello che sembra preoccuparti di più, però, è la sfida di organizzare quello che chiami lavoro digitale e in particolare il crowdsourcing che hai ribattezzato crowdmilking (la mungitura delle folle). Qui ‘lavoratori anonimi’ incontrano ‘datori di lavoro’ anonimi. Ci puoi parlare un po’ di questo nuovo modo di organizzare la produzione e la sfida che pone alla sindacalizzazione?

Trebor Scholz: Ciao Tiziana e grazie per il tuo invito a parlare del futuro dei sindacati tradizionali e di nuove forme emergenti di solidarietà e mutuo soccorso. Facciamoci una camminata nei campi del lavoro e per non perderci, stabiliamo prima i termini. Voglio essere chiaro che sono concentrato soprattutto sugli Stati Uniti e specialmente su quello che io chiamo il ‘lavoro digitale’ e in questo vasto labirinto di pratiche diverse, discuterò dei lavoratori più poveri e sfruttati nell’industria del crowdsourcing. Continuo ad usare il termine lavoro in questo contesto sebbene sia problematico e abbastanza difficile da definire. Voglio mantenere il linguaggio del lavoro perché non voglio perdere la connessione con gente come la giovane femminista e attivista del lavoro Karen Silkwood che perse la vita per svelare i segreti sulle violazioni della sicurezza nella fabbrica di plutonio Kerr-McGee nel 1974. Magari ti ricordi del film Silkwood in cui Meryl Streep impersonava questa coraggiosa attivista. O, pensa allo sciopero del tessile di Lawrence Massachussets nel 1912, quando migliaia di operaie mandarono i figli a New York City prima di iniziare questo sciopero militante con il sostegno del IWW. Le rivolte di Haymarket, le enormi proteste contro le fabbriche a seguito dell’incendio nelle fabbrica Triangle Shirtwaist… questa eredità si perde se smettiamo di parlare di lavoro.

Nel pensare all’urgenza di organizzare il lavoro, specialmente in relazione a pratiche facilitate da Internet, vorrei evidenziare due aree. Nel campo del lavoro non pagato, negli Stati Uniti almeno, il caso più cocente è quello dei tirocini non pagati. Poi c’è una discussione un po’ più alla moda, ma secondo me secondaria, sulla ‘mezzadria ambientale’: la raccolta, analisi, e vendita di Big Data presi dai servizi di social networking. Mi preoccupa specialmente a causa delle rivelazioni post-Snowden che dimostrano come le compagnie di telecomunicazioni facciano milioni di dollari vendendo i nostri dati al governo.

Nel campo del lavoro digitale pagato (e nota come uso i termini ‘labor’ e ‘work’ in maniera intercambiabile che sarebbe il soggetto di tutta un’altra conversazione), il problema più urgente è quello dei lavoratori più poveri nell’industria del crowdsourcing, che svolgono i lavori più umili, pagati regolarmente tra due e tre dollari all’ora, sostenuti dalla mancata imposizione del National Labor Standards Act che ritiene queste pratiche illegali. Quindi non mi riferisco a tutto il lavoro nell’industrial del crowdsourcing come ‘mungitura delle folle’, ma ho introdotto questo termine per evidenziare il segmento più disperato di quest’area del lavoro, dove c’è bisogno disperatamente di cambiamenti. Una società che si definisce una democrazia non dovrebbe tollerare questi ambienti lavorativi.
Ma prima di procedere, fammi riassumere alcuni recenti momenti di promettente organizzazione del lavoro.

La città in cui vivo, New York City, ha appena introdotto una legge che introduce il pagamento delle assenze per malattia e sempre qui a New York City i tassisti, a cui è proibito legalmente di formare un sindacato, hanno creato una associazione di tassisti. Lo stato della California ha introdotto i permessi di maternità e paternità pagati e la città di Seattle ha appena stabilito un salario minimo di 15$ (all’ora n.d.t.)

L’anno scorso abbiamo anche visto il primo ‘sciopero prolungato’ con almeno 500 impiegati nella vendita al dettaglio del grande magazzino Walmart. Il 15 Maggio del 2014, i lavoratori dei fast food da New York City a Mumbai, da Parigi a Tokyo, hanno organizzato uno sciopero globale picchettando luoghi di lavoro come McDonald’s, Burger King e Pizza Hut. I lavoratori obiettavano all’essere intrappolati in McLavori senza benefici garantiti, malattie pagate, e ferie pagate. Anche in Cina, i lavoratori non stanno più semplicemente accettando tutto. Appena qualche mese fa, circa 40,0000 operai alla Yue Yue Industrial Holdings non sono tornati alla catena di montaggio per due settimane, quindi seriamente ritardando la produzione di scarpe da ginnastica per Adidas e Nike. Molti di questi sviluppi sarebbero stati impensabili tre anni fa.

Anche se apprezzo questi sviluppi, io vedo il lavoro digitale come parte di un più ampio sviluppo che include processi di globalizzazione, anti-sindacalismo, deregolamentazione, precarizzazione, la proletarianizzazione delle professioni e molto ancora. Il lavoro digitale sposta l’orologio indietro per il lavoro organizzato fino alla seconda metà dell’Ottocento quando la settimana lavorativa di ottanta ore era ancora la norma. E’ essenziale capire quanto sia grande questa forza lavoro di cui stiamo parlando adesso. Ed è molto difficile avere i numeri perché aziende come CrowdFlower e CrowdSpring stanno nascondendo esattamente quanti operai americani lavorano per loro. Enfatizzo gli operai americani qui solo a causa del National Labor Standards Act, che stabilendo un salario minimo dovrebbe proteggerli. Il fatto che questa partita si stia giocando sul terreno degli Stati Uniti pure è importante perché gli intermediari, le aziende reali dietro questo lavoro, sono collocate per lo più negli Stati Uniti e quindi cadono sotto la sua giurisdizione legale. Alcune stime preliminari parlano di una forza lavoro internazionale di sei milioni di persone.

Come hai detto, molte aziende attive nel crowdsouring incluso il Turco Meccanico di Amazon, operano in modo anonimo – anonimità del lavoratore e anonimità del ‘datore di lavoro’. Se prendi in considerazione che quest’ambiente che è caratterizzato da anonimità è anche transazionale, allora la sfida ai sindacati tradizionali diventa chiara. Anche l’automazione è parte di questo quadro. Dai cuochi in Cina alle macchine che si guidano da sole, il futuro del lavoro potrebbe anche essere che non ce ne sarà. Oggi, non ci sono più le mense o i cancelli delle fabbriche dove i sindacalisti potevano distribuire il loro materiale. Ci confrontiamo con una forza lavoro altamente individualista, culturalmente diversa, internazionale e temporanea che sembra quasi impossibile da sindacalizzare. Ma lo stesso si poteva dire degli sforzi di Cesar Chavez quando ha cercato di sindacalizzare i lavoratori contadini migranti e con l’aiuto del boicottaggio dei consumatori, ci è riuscito anche se solo per un periodo limitato di tempo.

Fammi arrivare al punto. Io non penso che il ‘lavoro digitale’ sia al centro dell’economia e che tutto il lavoro andrà in quella direzione nei prossimi cinque anni. Ci sono cambiamenti significativi dei mercati del lavoro verso Internet, ma è solo una parte dell’economia. Ma se aggiungi tutta l’area dei professionisti ad hoc e i freelance allora diventa una parte molto significativa della popolazione. Il sindacato dei Freelance negli Stati Uniti per esempio ha 225,000 membri ed è il sindacato che sta crescendo più velocemente nel paese. Sto indicando tutti questi processi per chiedere se i sindacati tradizionali saranno sempre irrilevanti alla maggioranza della forza lavoro in 20 o 30 anni. Questo è sicuramente vero per i milioni di persone la cui pratica quotidiana può essere solo descritta come lavoro digitale.

Mi chiedi che cosa rimanga ai lavoratori se accettiamo il fallimento dei sindacati tradizionali nel proteggere segmenti sempre più ampi della popolazione. Io penso che qualsiasi associazione di lavoratori che ha il potenziale di portare a una politicizzazione dovrebbe essere benvenuta. Ci sono i forum dei lavoratori online: per il Turco Meccanico ci sono CloudMeBaby e TurkerNation per esempio. C’è un intervento di design che ti chiama Turkopticon che permette agli operai di Mechanical Turk di valutare i loro ‘datori di lavoro’ anonimi, identificare le pecore nere o aziende cha pagano spesso tardi o non pagano proprio. E si c’è il sindacato dei freelance e mentre il loro potere di lobby è molto limitato e il loro bene centrale, assistenza sanitaria a prezzi sostenibili, è stato appena svuotato dall’Obamacare, penso ancora che quella organizzazione di lavoratori può arrivare a situazioni di mutuo soccorso. Il mio suggerimento dunque è di pensare fuori dagli schemi del modello del sindacato storico e cercare di trovare modelli sperimentali che possano non sembrare affatto sindacati. Penso all’associazione dei tassisti a New York City o il plug-in di Firefox Turkopticon. La collaborazione tra queste associazioni, i movimenti sociali e le cooperative di lavoratori potrebbe essere un’altro aspetto da esplorare così come la crescente arena degli spazi di co-lavoro. La lotta per i diritti del lavoro, come suggerisce la parola, richiede un senso di antagonismo ma possiamo anche invocare la sperimentazione con nuove forme di mutuo soccorso. Troviamo in giro un certo linguaggio che parla di ‘nuovi collettivi’. Ma questi nuovi collettivi sono tipo la gente che si affitta le proprie camere in più l’un l’altro oppure dobbiamo pensare ai ‘nuovi collettivi’ nella tradizione dei gruppi di resistenza con Billy Bragg che canta ‘Da che parte state ragazzi, da che parte state?’. O rifletti se vuoi (e qua non sono solo i ‘ragazzi’) sugli Zapatisti che, solo due decenni fa, hanno usato i media tattici nella loro guerra contro il governo messicano che aveva firmato l’accordo NAFTA. La loro risposta è stata la formazione di alleanze locali impegnate nella autosufficienza.

TT: Perchè sei così critico della cosiddetta ‘sharing economy’ o economia della condivisione? Come leggi l’impatto di nuove applicazioni come Airbnb, Taskrabbit e simili sui modi in cui la gente sceglie di guadagnarsi da vivere, ma anche in termini della svolta più ampia verso l’austerity e l”ipermeritocrazia’?

TS: Cercherò di darti una risposta più breve della prima. Sono stato a molti eventi sull’ ‘economia della condivisione’ ultimamente. Il rivoltamento ideologico del linguaggio della condivisione attorno a questo fenomeno della ‘sharing economy’ mi fa impazzire. C’è uno sforzo coordinato di mettere insieme modelli genuini di condivisione di gruppo con pratiche aziendale che sono meramente l’espressione del sopravvento di una industria emergente su una più vecchia. Siamo abbastanza vecchi da ricordarci la macchina ideologica del paradigma del Web 2.0 che si è appropriata di alcuni fenomeni all’inizio e metà degli anni duemila e ci ha aggiunto il francobollo rosso di novità e persino di rivoluzione per accendere l’entusiasmo degli investitori. Airbnb e Uber sono aziende che hanno un successo straordinario ma per favore non le confondete con la prossima Wikipedia o con il Progetto Gutenberg. Airbnb ha così tante stanze quante la catena di alberghi Hyatt, quindi puoi dire che l’industria alberghiera ha alcuni nuovi miliardari. Questo dovrebbe essere davvero chiaro quando parliamo della ‘sharing economy’. Dobbiamo anche aver chiaro che ciò che è spesso etichettato come ‘sharing’ o ‘condivisione’ è in realtà affittare e che alcune delle cose che stiamo affittando sono risorse pubbliche, non solo le nostre. Penso per esempio a un’azienda di San Francisco, che si chiama Monkey Parking, che permetterebbe ai guidatori che stanno uscendo da un parcheggio pubblico di usare l’app dell’azienda per vendere quel parcheggio a chi lo cerca. Puoi pensare all’estrazione della rendita di cui parla Vercellone, che è quello che ho sempre pensato in relazione a Google e ai commons online, ma forse puoi anche pensarci in relazione allo spazio pubblico, o spazio degli incontri (o della carne) come lo chiamano.

Oltre a questa impostazione ideologica del linguaggio della ‘sharing economy’, della rendita contro la condivisione – e non ho nemmeno menzionato l’ideologia californiana in azione… le meditazioni, gli abbracci di gruppo, i discorsi aziendali – sono anche preoccupato del ruolo che aziende come TaskRabbit, Airbnb, e Uber giocano nella più ampia scommessa neoliberale. Parliamo della visione sociale dietro ai passaggi al lavoro digitale, una che con successo elimina dalla società le classi medie. Per esempio, l’ultimo libro, Average Is Over (La media è finita) dell’economista e ideologo dei fratelli Koch, Tyler Cowen, in cui predice che ci sarà una superclasse, una ‘ipermeritocrazia’ dal 10 al 15% che guadagna più di un milione di dollari l’anno e il resto della popolazione dovrà accontentarsi di salari annui di 5-10,000 dollari. Quando gli hanno chiesto chi accetterebbe questa cosa, Cowen ha risposto: hey, un sacco di gente in Messico è felice facendo anche meno soldi. ‘Non stanno benissimo, ma possono mangiare cibo a buon mercato e hanno case molto economiche. I loro alloggi sono soddisfacenti anche se non spettacolari e naturalmente il tempo più caldo aiuta’. Forse Walter White dovrebbe organizzare una rubrica giornalistica ‘Hunger Games’ su questa linea. In Breaking Bad, Walt, un insegnate di chimica di scuola superiore, trova una soluzione irresistibile per pagarsi i conti delle cure sanitarie: sintetizza cristalli di metamfetamina. Alternativamente, i poveri possono affittare tutti i loro beni attraverso la ‘sharing economy’ e dividersi gli avanzi di cibo con Leftoverswap.com.

TT: Hai anche discusso di nuove possibili tattiche inventive per i movimenti dei lavoratori digitali, guardando a sperimentazioni come le Precarious Workers Brigades e l’ Institute for Precarious Consciousness, ma anche forum su Internet per i ‘crowdworkers’, la possibile ‘gamification’ della sindacalizzazione, la possibilità di copiare il modello wikileaks per situazioni di particolare sfruttamento, e l’uso di apps di social media per mobilizzarsi. Puoi dirci qualcosa di più su questa sperimentazione con l’organizzazione del lavoro digitale?

TS: Si, discuto tutte queste idee nel mio nuovo libro. Ho già risposto ad alcune parti di questa domanda, ma c’è ancora un aspetto che penso sia abbastanza importane. E’ un errore pensare che il lavoro digitale sia immateriale. E’ facile dimenticare il lavoro sudato della gente in Congo, Cina e Taiwan che producono l’hardware che usiamo. E non ci avviciniamo neanche al modo in cui i nostri stili di vita sono fondati sulla loro povertà. Ma anche i corpi dei centinaia di migliaia di lavoratori che hanno faticato per il Mechanical Turk di Amazon negli Stati Uniti sono facilmente dimenticati, sono invisibili. Quando si parla della politica di Internet spesso ci si rassegna ai militanti della rete e del lavoro che pensano a come usare i media sociali per organizzarsi, come possono mettere in grado i lavoratori di esporre i segreti delle aziende attraverso piattaforme tipo Wikileaks, e va tutto bene, ma voglio enfaticamente sottolineare che anche politiche elettorali, proteste di strada e altri interventi fisici sono ancora molto pertinenti. Ecco perché mi piacciono progetti come la Precarious Workers Brigades, che operano soprattutto nel Regno Unito. Spruzzano messaggi nei posti fisici dove si trovano le aziende che offrono tirocini gratuiti.

E’ difficile rispondere alle tue domande molto sintetiche e gradevolmente riassuntive, penso che per un’immagine più completa di alcune di queste idee, dovrete usare il mio libro di prossima uscita.

E di nuovo grazie mille per avermi dato l’opportunità di parlare di questi argomenti e sono molto curiosa sulla tua prospettiva, e oltre a ciò, mi piacerebbe molto imparare dai progetti europei di sperimentazione con la nozione di società di mutuo soccorso.

TT: Grazie a te Trebor della disponibilità e del lavoro che fai su questi argomenti.

 

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