di MOTOKO KUSANAGI.

English version

“Just a whisper. I hear it in my ghost”

Stephen Samuel Gordon alias The Spaceape è un artista, vocalista e autore basato a Londra e di origini giamaicane. Ha scritto e performato i testi di due album, Memories of the Future (2006) e Black Sun (2011), insieme a Kode9, usciti per la pioneristica etichetta londinese di musica elettronica Hyperdub fondata e diretta da quest’ultimo. Suoi sono anche i testi e la voce di Spaceape, un brano incluso nel primo cult album di Burial Burial (2006). Il suo primo album da solista Xorcism, è uscito come → download gratuito in rete nel 2012.

MOTOKO KUSANAGI – Stephen Gordon alias The Spaceape, vorremmo iniziare questa intervista descrivendo ai nostri lettori e lettrici chi sei attraverso quello che hai fatto. Hai iniziato studiando moda a Londra, hai lavorato per un pò nel settore, poi hai deciso di laurearti in media e comunicazioni e diventare un professionista in questo campo. Hai lavorato per il British Film Institute e come ricercatore di immagini per la BBC. Hai anche una vocazione artistica che ti ha portato a sperimentare con il video e la fotografia e in seguito a diventare un musicista. Hai scritto e co-prodotto insieme ad un produttore pioniere della musica dubstep come Kode9 (Hyperdub Record label) due album molto apprezzati, Memories of the Future (2006) e Black Sun (2011).
Adesso hai prodotto il tuo primo album da solista – un bellissimo e perturbante lavoro di poesia sonica e parlata che è accompagnato da un magnifico video autoprodotto. Eppure ci hai detto l’altro giorno che sei riluttante a dire alla gente che sei un musicista, che il tuo primo istinto è dire che lavori come ricercatore per la BBC. Perchè questa esitazione? Perchè tanta riluttanza?

THE SPACEAPE – Come molte persone che lavorano nel settore creativo, ho passato molto tempo sperimentando come artista/musicista mentre mantenevo un lavoro “normale”. In un ambiente di lavoro affamato di pettegolezzi, ho scelto di non svelare “che facevo i fine settimana” perchè sentivo non solo che questo avrebbe potuto danneggiarmi se il mio lavoro in qualche modo non andava bene, ma anche perchè ho sempre sentito che il mio lavoro creativo è qualcosa di personale. Ovviamente, non è personale a tal punto che mi sento incapace di condividerlo o discuterne. Al contrario, non vedo l’ora di uscire con della nuova musica, performare un nuovo pezzo o finire una scrittura. È solo che non mi sono mai sentito a mio agio nel discutere cosa faccio con gente che conosco appena.
Comunque, recentemente ne stavo parlando e forse c’è una ragione più profonda che mi ha fatto “scegliere” di non rivelare la mia vocazione artistica a “chiunque” me lo chiedesse. La prima ragione e la più semplice è che sono una persona molto privata. Ho scelto uno pseudonimo con cui poter scrivere, registrare e performare, perchè mi sentirei molto a disagio nell’usare il mio vero nome.
Ma ho anche pensato alla mia educazione e le aspettative e pressioni a cui sono stato sottoposto in quanto giovane uomo nero cresciuto a Londra negli anni ’80. Ho sempre cercato una valvola di sfogo per la mia creatività, sapendo che avrei sempre forgiato le mie opportunità e eventualmente ne avrei trovato una con cui guadagnarmi da vivere. Retrospettivamente, è questo modo di pensare, una separazione virtuale tra la “responsabilità” e la propria abilità di esprimersi, che la mia educazione tradizionale caraibica mi ha instillato: prepararmi per le dure realtà di una “dura vita davanti”. I miei genitori mi hanno insegnato ad essere orgoglioso ma modesto, perchè loro hanno dovuto esserlo. Fatti una buona educazione (sebbene da una scuola professionale dove le aspettative erano al meglio moderate), un lavoro fisso, un tetto sulla testa e “non ti cacciare nei guai con la polizia”.
Tutto ciò è in molti modi comprensibile dal punto di vista di genitori migranti. Per loro, le opportunità aperte ai loro figli erano molte a paragone del posto da dove venivano e ci si aspettava che ne approfittassimo. Anche se, in realtà, le carte per me, come per molti altri giovani uomini neri, erano truccate contro di noi fin dall’inizio. Crescendo ho sentito la pressione di trovare un equilibrio tra ciò che vedevo come ‘responsabile’ (espressione moderata, soldi che entrano, stabilità) per sostenere il mio lavoro creativo (piena espressione, niente soldi che entrano, instabilità). Questo equilibrismo ha creato una divisione, una vera divisione nella mia identità che ha attraversato tutta la mia vita adulta.

kode9_and_spaceapeMK – Parliamo della tua musica. Il tuo primo album, Memories of the Future, per cui tu hai scritto i testi mentre Kode9 ha curato e prodotto il suono. C’è una lentezza e oscurità ipnotica sia nei testi che nel suono. C’è una specie di fantascienza, una visione del futuro. Ci puoi dire come l’hai scritto, cosa ti ha ispirato?

THE SPACEAPE – Eravamo all’inizio del 2005 ed ero tornato da un viaggio in Giamaica dove ho sentito la pressione crescente dell'”Americanizzazione” dell’isola. Il mio dollaro giamaicano non lo volevano, solo i dollari americani o le sterline parlavano. Eppure, in molti modi, sapevo di esserne complice. Poi ci sono state le bombe del sette luglio a Londra. Ero via in quei giorni e il senso di tensione al mio ritorno era soffocante. Il verso iniziale di Glass, “Ultimamente c’è stato un serio aumento di pressione..” mi è venuto al mio ritorno a Londra. Per me questo periodo chiarificava il senso di grigiore, incertezza e paralisi in cui mi sentivo di vivere.
Il primo brano che ho scritto per Memories of the Future, è stato Kingstown. L’ho scritto mentre ero in Giamaica dopo aver sentito di un omicidio vicino a un vecchio residence coloniale. Quest’isola ricca di luce, bellezze naturali, e soprattutto resistenza, era adombrata dall’oscurità del suo passato coloniale e dalle restrizioni causate da un debito crescente. La violenza è la conseguenza inevitabile di questa difficile transizione “dal machete alla macchina”.
Ho letto le recensioni dell’album e per la maggior parte parlano dei testi come distopici, oscuri etc., ma la verità è che le mie idee erano nel reale. Stavo scrivendo delle mie esperienze reali, cose che avevo letto, sentito, ascoltato, cose che alla fine avevo interpretato a modo mio. La distopia non era un immaginare. Mi sentivo come se stessi vivendo in questo grigio costante, pieno di mezze verità e memorie distorte. Quello che senti nell’album è esattamente questo. Non ci sono risposte alle domande nell’album perché anch’io le stavo cercando.
Sonicamente l’album è abbastanza essenziale e questo è dovuto tanto alla nostra abilità tecnica in quel periodo quanto alla nostra visione. La freddezza tagliente di alcuni brani ovviamente ricorda visioni di futuri sconosciuti offerti da molte scritture e film di fantascienza. Sotto a tutto, trovi questi bassi caldi che ti avvolgono come un piumino. Per me, questo e i testi è quello che mantiene l’album fresco e in molti modi senza tempo.

MK – Il tuo secondo album, Black Sun, è un concept album con un tema molto forte che attraversa tutti i brani: la sopravvivenza sulla terra dopo una catastrofe nucleare. Hai scritto i testi naturalmente. Black Sun è come una sceneggiatura che viene con il suo fumetto. Come ti sei avvicinato a questo tipo di scrittura?

THE SPACEAPE – In quel periodo c’erano un mucchio di cambiamenti che stavano succedendo nella mia vita. Mi avevano diagnosticato un cancro nel 2009 e ci ho convissuto da allora. Ero nel mezzo di vari tipi di trattamenti invasivi, radioterapia, chemioterapia e Dio sa cos’altro. Sentivo l’urgenza di scrivere della mia situazione ma non volevo renderlo qualcosa di personale. Volevo dire qualcosa della mia esperienza ma volevo anche prenderne le distanze perchè era molto doloroso.
Ho cominciato a pensare alla radiazione come un destino di cui tutti potremmo soffrire a un certo punto. Mi sentivo estremamente isolato perché non conoscevo nessuno che potesse veramente capire che stavi passando. Volevo trapiantarmi in un altro tempo, dove altri stavano soffrendo come me. Ho iniziato a scrivere questa storia sulla Terra che viene abbandonata dopo un evento apocalittico non spiegato, lasciando l’atmosfera quasi insopportabile a causa degli alti livelli di radiazione. Le nostre sole opzioni: o assumere “La Cura”, un trattamento artificiale che permetteva a quelli che lo prendevano di tollerare i crescenti livelli di tossicità della terra. O fuggire in una Babylon new age chiamata “Kyron”, un posto che offriva un nuovo sistema di credenze e una possibile salvezza. Queste idee erano essenzialmente un’analogia per quello che mi stava succedendo nella vita. Prendere una mistura tradizionale di sostanze tossiche o fuggire in un mondo alternativo di medicazione olistiche e illuminazione spirituale il cui risultato poteva essere anche più incerto.
Davvero, la realizzazione che potevo morire rese alcune cose molto chiare mentre altre molto meno. Neon Red Sign è stato scritto come risposta alle offerte costanti di preghiera che ho ricevuto da molta gente. Ma non solo offerte, mi dicevano che anch’io dovevo pregare molto. Questo andava contemporaneamente contro le mie credenze e lo trovavo molto difficile da riconciliare. Ero grato della loro preoccupazione e allo stesso tempo mi chiedevo se stavano pregando per me o per se stessi visto che le stesse persone offrivano molto poco d’altro in un periodo in cui avevo bisogno di sostegno pratico non spirituale.
Sono d’accordo che in molti dei testi di Black Sun c’è una specie di fantasma spirituale. Una ambiguità verso sistemi di credenze tradizionali, eppure un forte bisogno di trovare il mio sentiero spirituale. Il verso “poichè c’è un Dio ad ogni angolo che ha reso poco…” in Neon è stata la mia reazione a queste ideologie tradizionali che mi si imponevano. Avevo bisogno di credere e imbrigliare la mia forza interiore. L’idea post-apocalittica era per me un modo di canalizzare alcuni di questi sentimenti senza che l’album diventasse questa tortuosa testimonianza personale.

MKBlack Sun ha anche un uso molto potente di suoni: cose che bruciano, scricchiolii, respiri. Si tratta di una tendenza reale nella musica elettronica, ma perché hai deciso di usare questi suoni?

THE SPACEAPE – Per posizionare l’ascoltatore nel nostro mondo immaginario dovevamo fare qualcosa di più che creare un mucchio di brani. Avevamo bisogno di immergere pienamente il pubblico sia sonicamente che visualmente. Abbiamo prestato un’attenzione specifica al suono come faresti in un film. Come dite, bruciori, scricchiolii, echi, ritardi, volevamo che la gente odorasse le rovine. E poiché sappiamo che la maggior parte della gente ascolta con le cuffiette, sentivamo che questi elementi li avrebbero raggiunti. Poi si tratta di interpretazione individuale e su questo non abbiamo influenza.

MK – Dopo Memories of the Future, hai suonati a molti eventi dal vivo come MC accanto a Kode9 come DJ. Come ha influenzato questa esperienza di suonare live il tuo approccio a Black Sun? Come ti senti quando suoni dal vivo?

spaceape_11152012THE SPACEAPE – Suonare dal vivo è una delle migliori sensazioni che abbia mai avuto nella mia vita. È così immediato. Non è come quando fai uscire la musica e hai questo lento gocciolio di feedback. Suonare dal vivo è istantaneo e scopri abbastanza velocemente come stai andando. Ho avuto delle notti incredibili dove musicalmente io e Steve eravamo in totale sintonia. Ho anche avuto un sacco di serate di merda che è abbastanza normale a dire il vero.
Assieme al nostro set di DJ/MC, abbiamo anche sviluppato un set dal vivo che abbiamo suonato dal 2007. Originariamente si chiamava “bass fiction”. L’idea era di rendere tutto il set prevalentemente senza beats. Volevamo creare un set totalmente immersivo con i bassi e le voci avanti. Il pubblico doveva essere coraggioso e venire con noi, non erano ammessi passeggeri. Quelli che non lo sentivano, se ne andavano a farsi fottere presto e sapevamo che quelli che erano rimasti ci sarebbero stati a lungo. Mentre sviluppavamo il set, abbiamo iniziato ad aggiungere beats, immettendo suoni strani, radio transitorie, una → Buddha box, campioni vocali, tutto canalizzato usando → Ableton Live.
È attraverso i nostri shows dal vivo che è emerso Black Sun. O piuttosto attraverso le prove che prendevano la forma di sessioni improvvisate. Mentre Memories of the Future era costruito in un modo molto ordinato (Steve costruiva la base e io scrivevo i testi o viceversa), Black Sun è stato un processo più sciolto. Molti dei brani erano creati usando queste sessioni improvvisate che registravamo, toglievamo alcune parti che pensavamo si tenevano insieme e costruivamo un brano da lì.
Una cosa che abbiamo imparato dal suonare dal vivo e che ha influenzato molto Black Sun era aumentare l’energia. Nonostante tutti i suoi meriti, Memories of the Future può essere molto pesante. Abbiamo aumentato il tempo sul palco e la risposta è stata incredibile e entrambi abbiamo sentito che volevamo infondere l’album con lo stesso tipo di passaggio di velocità.

MK – Il tuo ultimo lavoro, Xorcism, è un mini-EP che hai scritto e prodotto da solo. È un album sul vodoo, ma c’è una torsione fantascientifica. Perché il vodoo e che significa far diventare il vodoo un tema fantascientifico?

THE SPACEAPE – Beh, → Xorcism non è intenzionalmente fantascienza. Tratta della guarigione. Ho usato il voodoo come un modo di canalizzare i miei sentimenti verso la mia condizione in evoluzione ma a differenza di Black Sun questa volta mi sentivo di aver bisogno di essere esplicito. Avevo bisogno di espellere molti sentimenti che mi stavano soffocando. Mentre entravo ed uscivo dall’ospedale sentivo tantissima musica Haitiana e questo non solo mi permetteva di distanziarmi da quei fottuti ‘quadri sul muro’ ma mi convinceva che poteva essere una forza genuina di guarigione, che naturalmente è un’essenza del voodoo. Sono d’accordo che c’è qualcosa di ultramondano nell’EP ma non lo catalogherei subito come fantascienza. Sì, il brano He Gave His Body parla di un esperimento medico canaglia ma penso che generalmente la sensazione è meno prevedibile. Un mio amico mi ha detto che non poteva sentirlo tutto perché lo trovava troppo doloroso, doloroso perché mi conosceva.
Ogni parola che ho scritto veniva dallo stesso posto, un’anima ferita. Ma un’anima che rimane vitale e generosa. Il giorno che ho fatto uscire l’EP, lo stesso secondo in cui ho premuto invio, un taxi mi stava aspettando per portarmi in ospedale per avere ancora altri trattamenti. Ma durante il mio viaggio di 15 minuti, mi sono sentito più leggero, sollevato dall’avere lasciato andare così tanto peso e questo a sua volta poteva darmi una possibilità in più di guarire.

MK – Grazie Spaceape. Siamo molto grate per il tuo tempo.

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Qui una performance di Stephen Samuel Gordon al Love Rock Hate Racism ’08 Concert contro i fascisti del BNP.

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