Report  del TAVOLO RETI di PASSIGNANO – a cura di TIZIANA TERRANOVA e ROBERTA POMPILI

Il tavolo sulla rete/comunicazione/formazione poneva una doppia sfida. Da un lato, nell’inflazione del termine ‘rete’, doveva confrontarsi col problema della proliferazione e della vaghezza inerenti ormai al termine. La rete infatti è diventata una specie di parola passepartout che può essere e viene usata per descrivere processi fisici, biologici, sociali, economici, politici etc. Che significa parlare di rete in questa situazione? E’ possibile re-inventare da questa vaghezza e onnipervarsività di un termine che sembra incarnare lo zeitgeist un concetto politico capace di indurre e ispirare sperimentazione e organizzazione?

Dall’altro lato il tavolo sulla rete doveva anche confrontarsi con le dinamiche stesse della cooperazione intellettuale, nella misura in cui introdurre il formato dei tavoli in un laboratorio teorico-politico come quello di Passignano implicava anche una rottura della verticalità del formato seminariale, e quindi della divisione netta tra chi parla e chi ascolta, tra il soggetto dell’enunciazione e il suo destinatario. Il proposito era di costruire uno spazio-tempo di confronto e condivisione tra tutt* * present*. Produrre un micro-evento in cui iniziare a sperimentare l’attivazione di processi di confronto/scambio/trasformazione /ibridazione.

I documenti preparatori all’incontro avevano sottolineato due punti: le conseguenze dell’adottare la cornice teorica della relazione capitale fisso/capitale variabile nel discutere la rete; la proposta di distinguere tra Internet in quanto tecnologia, la rete in quanto macchina tecnica e sociale, e la rete in quanto topologia astratta di forme possibili di organizzazione.

Quest’ultimo punto poneva la sfida di pensare a una organizzazione del tavolo in quanto rete caratterizzato dall’orizzontalità della relazione e dalla circolazione del discorso. Assumere la rete come diagramma astratto dell’organizzazione, infatti, non significa assumere che tale orizzontalità sia data a priori e che essa garantisca in qualche modo la radicalità del processo organizzativo. Non è più possibile dire che orizzontale significa fuori dalle relazioni di potere e pensare che soltanto perché si dà una relazione orizzontale essa garantisca automaticamente la partecipazione di tutti. Infatti possiamo considerare i social networks corporativi (Facebook, Twitter etc) come reti la cui capacità di auto-organizzazione è severamente limitata e e canalizzata dunque verso la captazione del valore del capitale.

Se la rete  in qualche modo permette o induce auto-organizzazione, cioè formazione, essa è in qualche modo organizzazione che va preparata, stimolata, messa in grado di auto-porsi nella nonlinearità delle interazioni fra nodi autonomi. Una rete è in primo luogo un processo di individuazione di un insieme di singolarità che nella circolazione delle idee e degli affetti si mescolano e compongono qualcosa che appartiene a tutti ed a ciascuno. Fare rete significa non solo sommare dei punti di vista individuali, ma diventare qualcos’altro proprio attraverso la circolazione. In quanto tale, possiamo porre l’ipotesi che nella figura topologica della rete si dà il problema dell’organizzazione e dell’invenzione neo-istituzionale del comune.

Partendo dall’idea che la rete così come ci viene data nella tecnologia Internet ha assunto l’auto-organizzazione della comunicazione sociale solo per limitarla e indirizzarla nelle direzioni di una migliore captazione del valore, abbiamo provato a sperimentare con un processo di formazione di una ‘rete temporaneamente autonoma’ attorno all’esperienza dei tavoli. A tale scopo non bastava semplicemente dare per scontato che la rottura della verticalità della conferenza si realizzasse automaticamente in una cooperazione orizzontale dei tavoli.

Abbiamo pensato di lavorare con due facilitatrici/moderatrici: dei nodi organizzativi che servissero per attivare e seguire il processo dando stimoli e verificando i tempi dei singoli e del lavoro collettivo. Bisognava rompere la tendenza a replicare quella struttura nel formato dei tavoli (cioè evitare che i tavoli si trasformassero in una serie di conferenze individuali) e innestare un meccanismo di concatenamento che permettesse a tutti i presenti di innescare il loro discorso su una corrente di idee in circolazione.

Il meccanismo che abbiamo scelto è stato quello delle parole chiave estratte dalla singolarità del soggetto che prende parola e riprese e ricircolate nell’intervento seguente. Il risultato è un insieme di parole chiave che abbiamo trasformato in un documento collettivo stilato attraverso l’uso di una piattaforma online.  Il lavoro attivato in due pomeriggi, il primo di 3-4 ore, il secondo di 2 ore è stato possibile in tutta la sua ricchezza produttiva anche grazie alla dimensione relativamente piccola del gruppo, 20-25 compagn*, i quali hanno avuto tutt* il tempo e la possibilità di partecipare. Nel riferirsi al tavolo della rete, usaremo il pronome impersonale ‘si’ piuttosto che il ‘noi’. E’ importante infatti sottolineare che anche in un gruppo così piccolo le differenze erano evidenti e l’esperienza importante di condivisione sperimentata non può e non deve produrre un consenso, ma uno stimolo a ulteriori riflessioni e sperimentazioni nutrite dalla condivisione.

In questo documento vanno poste anche ulteriori domande che non sono state direttamente affrontate dal tavolo, che riguardano la prospettiva transnazionale del seminario, che poneva al centro un’Europa ‘provincializzata’ e aperta a sud e a est, verso l’Africa e verso l’Europa Orientale e l’Asia (oltre alle sue tradizionali connessioni con l’occidente americano) come terreno fondamentale su cui giocare una controffensiva all’austerity. Quest’Europa aperta e provincializzata, detronizzata dalla sua posizione geopoliticamente egemone, è al momento il terreno su cui si gioca l’emergere di una nuova ragione di governo che si fa forte del suo incardinamento nelle reti informatiche e sociali del capitalismo finanziario, allo stesso tempo giocando la carta della frammentazione nazionale, dividendo cioè esplicitamente il continente europeo in vincenti (Germania e le economie nordeuropee) e vinti (i famosi ‘porci’, Portogallo, Grecia, Spagna, Italia etc). Nel contesto europeo, e questo ci sembra un dato fondamentale, la rete del capitale finanziario è data e ci stringe nelle maglie del suo ‘non ci sono alternative’, mentre quella delle alternative costituenti è ancora troppo frammentata a livello nazionale, con sporadici anche se importanti momenti di ricomposizione (lo sciopero europeo, Blockupy etc).

L’AMBIVALENZA DELLA RETE

La parola chiave che è maggiormente circolata nel gruppo è stata indubbiamente ‘ambivalenza’. Ormai è da darsi come dato che la rete, proprio per la pervarsività che il termine ha assunto attraverso una serie di domini disparati, non può che essere ambivalente. La rete è struttura di comando e sfruttamento e allo stesso tempo terreno della riappropriazione e ricomposizione delle singolarità. E’ la tecnologia attraverso cui il capitale organizza la produzione e l’estrazione di plusvalore e anche potenzialmente tecnologia attraverso cui le soggettività si esprimono, sperimentano e cercano di costruire un’alternativa allo sfruttamento della società. E’ attraverso le reti informatiche che il capitale ha superato l’impasse del compromesso keynesiano, trasformando il lavoro in un flusso globale e parcellizzato, da decomporre e ricomporre a suo piacimento. Nella misura in cui serve a organizzare il comando e lo sfruttamento, la rete è sempre in qualche modo centralizzata. In quanto tecnologia di comunicazione, controllo e comando, la rete rende possibile una centralizzazione del comando tanto più efficace quanto più veloce.  Se a  ciò si aggiunge la programmabilità del medium informatico, ci troviamo di fronte a uno strumento di comando estremamente potente.

Si ha comando centralizzato informatico quando flussi di capitale enormi vengono spostati da pochi attori da una parte all’altra del globo stravolgendo le economie, quando i monopoli del web sociale e di Internet mobile cambiano improvvisamente algoritmi e interfacce, quando il programma che gestisce l’organizzazione del lavoro e i ritmi di consegna in una fabbrica oppure l’amministrazione di una grande università o ospedale viene cambiato, fa delle nuove richieste e impone il suo comando sul lavoro, quando le banche dati sulla disoccupazione vengono centralizzate e usate per imporre regimi di workfare, quando governi e multinazionali si alleano per usare Internet come una grande macchina di sorveglianza del dissenso. In particolare la rete in quanto macchina tecnica e sociale ha rinforzato la capacità del capitale finanziario di appropriarsi del signoraggio sulla moneta, generata ormai in una rete fittissima di comunicazioni ultrarapide che intensifica l’aleatorietà dei valori, e impone i suoi valori e ritmi sul resto della società.

Nell’estendere e consolidare la sua pulsione al comando e al controllo, il capitalismo attiva un corpo-macchina, in cui biologia e tecnologia si innestano in modi sempre più intimi. Le macchine comunicative e informatiche che ci collegano alla rete operano attraverso   interfacce sempre più trasparenti e ubique che innestano direttamente il  corpo  umano in un continuum informatico e comunicativo che confonde la  sensorialità umana  e quella delle macchine digitali. Si è dunque parlato di una crescente ibridazione tra l’umano e il tecnologico che il termine alienazone non cattura più. Si è parlato dunque di corpo macchina per  definire il modo in cui la comunicazione digitale si innesta   direttamente sul bios del corpo e lo supplementa attraverso interfacce   che coinvolgono dispositivi in grado di ‘percepire’ dati come la  posizione geografica, la temperatura, il movimento, oltre a  naturalmente  ‘vedere’, ‘emettere dei suoni’ e perfino recepire e  ‘comprendere’ frasi  di senso compiuto. Il rapporto strettissimo tra corpo e macchina attiva un desiderio di comunicazione sociale attraversata e modulata da sensori, interfacce, banche date, e protocolli. Si tratta di una vera e propria mutazione antropologica,   in cui capitale fisso e capitale variabile si combinano in un corpo  che  non è semplicemente neanche più un cyborg, ma parte esso stesso di  una  rete senziente, sebbene non riconducibile all’unità di un soggetto.  La  rete è soggettività macchinica distribuita, anzi sempre di più essa  è infrastruttura macchinica  di produzione di realtà. Attraverso   interfacce sensoriali sempre più intime e pervasive, la rete seleziona  ed amplifica gli eventi contribuendo a formare il corpo-macchina delle   moltitudini europee e non solo, le sue percezioni, le sue abitudini e le sue idee. La  rete  si innesta sul movimento dei corpi e ne induce le trasformazioni  incorporeali (percezioni, affetti, pensieri, idee).

I corpi macchinici sono corpi capaci di programmare e di essere programmati, sono contemporaneamente soggetti agiti e agenti. Non c’ è un piano simbolico-culturale che non interagisca immediatamente a ridosso della produzione tecno-corporea delle soggettività, del comando e della traducibilità in termini di valore. Il capitale  agisce come  cattura/captazione del valore  addomesticando, assoggettando le soggettività   attraverso la produzione di modelli normativi che vengono agiti attraverso  il linguaggio.Non dobbiamo da questo punto di vista sottovalutare la potenza  delle due principali macchine di cattura, o dispositivi di potere, che  rappresentano da un lato la cattura del valore nella rete, e dall’altro  la presa del potere sulla capacità autonome delle moltitudini interconnesse di formare le idee e quindi produrre la propria realtà: il marketing (cioè l’incitazione al consumo) col suo commercio dei dati generati dall’interazione sociale e la guerra di informazione o infowar (il nuovo nome per designare quelle tecniche della propaganda reinventate e sistematizzate nella prima metà del novecento),  che mira, come esplicitamente posto dai suoi teorici, a degradare la  percezione autonoma degli eventi nel nemico di classe e a indurre affetti e idee consoni alla  visione della realtà del capitale (canalizzare per esempio la rabbia  indotta dalle politiche di austerity in una focalizzazione esclusiva  sulla corruzione dei ‘politici’ isolata dagli effetti strutturali delle  politiche neoliberiste). Se il marketing incita alla vendita e al consumo, la strategia usata dalla infowar per raggiungere i suoi scopi è quella dell’incitamento alla guerra civile, guerra di opinione tra segmenti sociali, invece che opposizione efficace all’organizzazione capitalista dell’economia e della società.

Per semplificare diremo che il marketing e guerra sono probabilmente le due forme di sapere e potere che più affettano la cattura della soggettività al di là delle funzioni di comando in senso più stretto. In tutti e due i campi, il linguaggio e gli affetti vengono sollecitati e prodotti da un gioco in cui le interfacce macchiniche formattano le relazioni sociali (agendo sullo spazio-tempo) e inducono effetti di soggettivazione. Cliccare mi piace, condividi, segui, aggiungi agli amici, posta, invia etc dà forma al modo in cui le relazioni sociali si individuano, produce forme di società. In questo senso la rete continua, specifica e innova il lavoro del capitale sugli affetti, in passato portato avanti prevalentemente attraverso i mass media, in quanto forza fondamentale del processo di riproduzione di una società docile. Per esempio nei media sociali, assistiamo alla centralità dell’interfaccia ‘profilo’ che da un lato produce una rappresentazione del sè che è stata definita ‘soggettività vetrina’ che si vende a un pubblico mentre genera continuamente dati catturati e trasformati dalla macchina dei media sociali corporativi in sollecitazioni a nuovi momenti di vendita e consumo. Come ben sanno i padroni e i manager dei media sociali, il prodotto (da vendere e consumare) è l’utente.

Dal continuum della comunicazione sociale, queste macchine del capitale astraggono dei segmenti di differenza, da riorganizzare nella forma del database e da attualizzare attraverso l’azione di algoritmi. La soggettività diventa granulare cioè essa è costituita da una molteplicità di interazioni che lasciano delle tracce capaci di rappresentare un soggetto a un livello più o meno grossolano o dettagliato di definizione. La società viene sottoposta alla trasformazione nei modelli della teoria dei grafi, con i loro nodi e links,e letteralmente animata o messa in movimento da modelli matematici. Questa cattura dell’individuo e del sociale permette lo sviluppo  di quelle che sono state definite vere e proprie tecniche di campionamento degli affetti, in cui le enormi banche date degli oligopoli informatici costruiscono una ontologia del sociale attraverso i metadata.

La macchina della guerra d’informazione agisce sugli affetti in quanto forza di individuazione della rete polarizzando la cooperazione in contrapposizioni sterili e su parole d’ordine che rinforzano l’impotenza sociale. Essa inventa e ricicla parole d’ordine che sollecitano la rabbia sociale canalizzandola verso nemici convenienti (stranieri, feminazi, comunisti, politici, parassiti, meridionali etc). Si serve di trolls e di slogan, si infiltra nelle reti sociali, conduce azioni di cyberwar quali attacchi ai servers etc, e soprattutto incita alla guerra civile mentre si richiama all’ordine sociale. La contrapposizione amico/nemico è uno dei modi in cui la relazione sociale viene esplicitamente e implicitamente formattata. Il capitalismo comunicativo insomma ci dice: ecco a che serve la rete, comunicate cioè comprate e vendete (anche voi stessi) o fatevi la guerra.

In particolare ci è sembrato che la doppia  azione di marketing e guerra, di differenziazione e polarizzazione dei  segmenti sociali, identificata sopra ha contenuto le capacità  autoorganizzative della rete in maniera notevole. Il corpo-macchina  sociale si dispone nella rete secondo geometrie di relazioni più o meno  variabili. Le reti pur potenzialmente connesse tendono a segmentarsi  per gruppi sociali. Le opinioni si polarizzano senza che le differenze  siano in grado di esplicarsi costruendo un’idea comune ed efficace.  Sono rari cioè i momenti in cui l’emergenza sociale diventa autopoiesi, cioè capacità di riprodurre stabilmente una forma organizzativa efficace.

Nel farsi infrastruttura macchinica di produzione di realtà, la rete ha assorbito anche modelli di rappresentazione e dispositivi di narrazione più antichi moltiplicandoli e facendoli agire a diversi livelli.   Questi ultimi sono costituiti da un enorme e vecchio archivio di immagini, parole e suoni e che vengono continuamente riattualizzate dentro la produzione della realtà del capitale. La produzione in generale del discorso è anche, come abbiamo già detto in riferimento al marketing e alla guerriglia informativa, una produzione di affetti.Non aderiremmo a certi modelli se non fossero  attraversati anche dal valore delle emozioni.  Ad esempio possiamo pensare a quei linguaggi e narrazioni che inducono a pensare affettivamente la  relazione di tra singolarità e comunità, dentro l’adesione ai modelli  normativi di “patria“, ma anche  di genere o di famiglia, di impresa e al modo in cui vengono diffusi e consumati in reti multimediali (youtube, canali di streaming, siti web, reti p2p come torrent etc).

E allo stesso tempo, infatti, è attraverso la forma della rete e attraverso lo strumento della tecnologia Internet, che il lavoro vivo, ormai indistinguibile dalla vita e dalla cooperazione sociale, cerca di riorganizzarsi e rilanciare la sua offensiva contro lo sfruttamento che cerca di controllare ed esaurire le sue spinte verso una soggettivazione autonoma. Sollecitando le soggettività a comunicare e  ad esprimersi per contribuire alla cattura del valore da parte degli  oligopoli informatici, il capitalismo cognitivo o comunicativo però  anche prodotto degli effetti più o meno indesiderati. Non possiamo infatti non prendere atto del fatto che non vi sono proteste, rivolte, o azioni politiche contro l’austerity e il comando neoliberista che in qualche modo non sono state anche nutrite dalla rete e della rete si sono servite. La produzione di guerra civile attraverso la polarizzazione delle opinioni e l’intensificazione di passioni tristi quali rabbia e impotenza non hanno impedito che si realizzino qui e là straordinari momenti di ricomposizione e di controffensiva al saccheggio del comune (terre, cibo, città, salute, formazione, ricerca, welfare etc). Tutte queste forme di resistenza e rivolta hanno attivato dei circuiti piazza-corpi-rete, dove le istanze di resistenza e rivolta si sono prima trasmesse nella circolazione delle idee, poi si sono istanziate nell’occupazione di strade e piazze per riverberarsi contemporaneamente sulla rete in una dinamica espansiva. In queste occasione, si è assistito a una circolazione intensa di immagini, suoni e parole che hanno rinforzato sia qualitativamente che quantitativamente la partecipazione.

Il tavolo ha dunque espresso la necessità a questo livello di riprendere anche la critica al logocentrismo, che vede come esclusivamente centrale nel dibattito e dell’azione politica, la parola e la scrittura.  La mutazione antropologica identificata sopra indica che le modalità percettive, le qualità della memoria e dell’attenzione (neuropolitica) e quindi l’immaginazione e il pensiero rendono la parola e il linguaggio solo una delle semiotiche che formano la soggettività. Nella contemporaneità il capitale utilizza plurime e diversificate semiotiche, ad esempio i regimi scopici producono modelli di visualità che  si traducono in una continua stimolazione visiva di immagini. Le soggettività costruiscono se stesse e la  propria declinazione degli eventi attraverso un lavoro ricompositivo  sulle immagini, le parole e in misura forse minore anche i suoni. In  questo senso il corpo-macchina non solo non si esprime solo attraverso  la parola, ma esso si conferma capace di riprogrammare la macchina  informatica, producendo ‘oggetti’ semiotici (foto, disegni e parole)  che articolano e trasmettono sinteticamente un desiderio di riappropriazione della realtà attraverso i segni.

Per questo, oggi, ripensare una progettualità politica, se si lega indissolubilmente alla rete e alla comunicazione si coniuga contemporanemente con la produzione di nuovi linguaggi,  di una nuova semiotica.

Il linguaggio serve per la costruzione di una comunità immaginata, non una comunità identitaria, omogenea,  ma una comunità che parli di nozioni comuni, mentre si pone l’obbiettivo  della sovversione del presente. In Europa e in Italia stessa abbiamo a che fare con gruppi e organizzazioni che hanno differenti linguaggi, anche se quando hanno linguaggi simili comunicano poco o non si comunicano affatto: la sfida che abbiamo di fronte, d’altra parte,  riguarda la produzione di un linguaggio “comune” dentro questo luoghi, ma che necessariamente sappia guardare oltre gli spazi che definiamo generalmente del “movimento“. Così come il capitale ci mette a  valore con un linguaggio, la sfida che oggi abbiamo è quella di  produrre  delle nuove semiotiche sovversive adeguate  all’attacco al capitale,  traducendo i molteplici e differenti  linguaggi che abbiamo intorno a noi del disagio, del malessere, ma anche  della resistenza e della rottura. Queste semiotiche comuni della sovversione devono circolare attraverso le reti molteplici comunicative/organizzative della cooperazione sociale ed innervare  l’Europa:   l’Europa stessa sarà il frutto tanto di un nuovo processo di immaginazione  politica comune, tanto quanto delle lotte ad esse inevitabilmente connesse.

Nella  rete l’efficacia politica, a partire dalla comprensione e la  condivisione dell’analisi teoriche, si pone attraverso la capacità di  traduzione in una pluralità di forme del linguaggio in grado di essere  espansive in senso moltitudinario. Nel tavolo si è fatto riferimento a molti esempi: gli slogan, ma anche le immagini, in quanto precipitati ideologici, che hanno la potenza di  circolare celermente trasmettendo significati complessi e importanti. La stessa dimensione del tempo, dell’evento, la velocità sono importanti nella rete: ci si è riferiti  alle immagini in movimento come gli streaming che rendono circolare l’informazione e producono uno sguardo politico. L’efficacia politica nella sua tensione moltitudinaria in chiave Europea, oltre il piano della frammentazione nazionale, va misurata in relazione a molteplici aspetti, non per ultimo quello della tensione verso una necessaria traducibilità politico/linguistica, delle analisi, delle esperienze, delle lotte.

Si è anche fatto notare che gli inviti alla partecipazione e all’interazione hanno rinnovato  il repertorio della politica dei movimenti, e hanno anche avuto inevitabilmente un effetto sulle trasformazioni che hanno investito le istituzioni della politica rappresentativa del novecento, cioè i partiti. Si è assistito in Europa in tempi recenti ad un processo di formazione di ‘nuovi partiti’ che hanno cercato in modi diversi di ‘tradurre’ le caratteristiche organizzative della rete in una organizzazione capace di rivoluzionare il funzionamento dei parlamenti nazionali. Si tratta ovviamente di esperimenti controversi che per alcuni hanno da un lato neutralizzato in una serie di tecnicismi la potenzialità autorganizzativa della rete, facendosi catturare dall’altro dai meccanismi parlamentari e rappresentativi. L’eterogeneità di questi progetti politici e dei loro risultati meriterebbe una attenta valutazione.

Le differenti piattaforme hanno aumentato i luoghi del dibattito che, anche se solo eccezionalmente riescono a produrre il cosiddetto “rumore rosa” (una intensificazione sincronizzata della comunicazione sociale attorno ad un determinato evento). Tuttavia bisogna rilevare come questa intensificazione e convergenza della comunicazione attorno ad eventi politici o sociali  non riesce al momento a ribaltare i rapporti di forza con i media tradizionali e a tradursi in una opzione politica.

Detto questo, nel tavolo sulla rete si è discusso anche di quelle esperienze politiche che hanno tentato di accennare una forma organizzativa che prenda la rete a modello di organizzazione e strumento tecnico. Se da una parte l’organizzazione dei soggetti in rete ha prodotto esperienze come la primavera araba, il 15M, Occupy, Yo Soy 132, Brasil Revolution, Occupy Gezi; dall’altra ricalca le forme tradizionali della politica aggiungendo l’elemento partecipativo e la trasparenza come ad esempio nel caso del partito pirata tedesco, del movimento 5 stelle italiano o il partito del futuro spagnolo. Il campo della comunicazione è stato in moltissimi movimenti il terreno privilegiato per l’azione politica. Se prendiamo la rete come infrastruttura di produzione di realtà sociale, allora non si può prescindere da quest’ultima:  il documento di Toni Negri per Passignano diceva “chi non fa coalizione in Europa non può parlare” si è aggiunto “chi non sa stare in rete non può parlare”: costruire coalizione moltitudinaria e  sperimentare la forma organizzativa e comunicativa della rete sono aspetti immediatamente  connessi.

Se il marketing e la guerra sono le forme attraverso cui il capitalismo cognitivo o comunicativo cattura e addomestica la rete, in che modo può darsi formazione autonoma di nuove istituzioni politiche in rete che metta in atto una sua innovativa forma di tecnopolitica? Nel tavolo sulla rete si è discusso di alcune delle strategie usate da quei movimenti politici che hanno cercato di dare forma a questa nuova tecnopolitica, dove la rete è non solo strumento o modello dell’organizzazione, ma terreno materiale di costruzione di senso. Si è parlato dunque del tentativo di alcuni gruppi di riattivare la figura professionale del capitalismo cognitivo di ‘facilitatore di comunità’, in nuove figure capaci di facilitare la composizione non-omogenea delle differenze, la creazione di solidarietà contro l’azione decompositiva di marketing e infowar, quali il radical community manager. Si è alluso alla possibilità di inventare un algoritmo costituente, cioè un algoritmo che non serva  ad accrescere la rendita del capitale, ma ad autovalorizzare la ricchezza sociale. La nozione di catalogo di azioni è stata suggerita come un modo di riappropriare la forma del database. Si è parlato di come la rete possa diventare una componente importante nel rinforzare l’efficacia di forme di sciopero precario. Pur riconoscendo le difficoltà di trovare un incontro con i movimenti hacker che hanno animato la difesa dei commons della rete dalla privatizzazione, si è parlato della necessità di un divenire hacker delle soggettività militante. Si è auspicato sia un maggiore rapporto con i movimenti hacker in sé stessi che una maggiore attenzione da parte dei movimenti sociali alle tecnologie, sia dal punto di vista di sperimentazione sociale con software liberi, sia dal punto di vista di adottare una sensibilità hacker all’uso e al funzionamento politico delle tecnologie.

Infine si è accennata alla possibilità di costruire una qualche piattaforma e forma di organizzazione (per esempio sul modello delle conferenze hacker) capace di connettere le varie realtà di movimento nell’elaborare non tanto una strategia comune di uso della rete, quanto un pensiero comune, un luogo di scambio di pensieri ed esperienze in grado di rinforzare un agire anche eterogeneo e differenziato.

CONCLUSIONI AI LAVORI DEL TAVOLO SULLA RETE

L’esperimento di dare vita a una rete temporaneamente autonoma attorno al tavolo sulla rete, comunicazione e formazione, e di tradurre il processo di condivisione in un documento redatto attraverso una piattaforma online (titanpad) ci è sembrato promettente anche se limitato. E’ importante nel pensare ai momenti di formazione di circuiti alternativi di produzione del sapere a supplementare le forme classiche della formazione (conferenze) con formati più seminariali in cui si dia la possibilità di condividere e circolare delle idee e delle esperienze. L’esperienza del tavolo sulla rete in quanto evento è stata dunque positiva e ci si gioverebbe se fosse ripetuta e innovata.

L’esperienza del tavolo si è conclusa accennando appunto alla possibilità di produrre un documento collettivo attraverso uno degli strumenti tecnici messi a disposizione dalla rete, il pad. L’esperimento ha indubbiamente rallentato la scrittura del documento, dimostrando forse anche una certa mancanza di esperienza e sperimentazione su questo fronte. La partecipazione alla stesura del documento è stata scarsa, anche se si è tenuto conto sia delle parole chiavi, sia della discussione generale nel redarlo. Tuttavia ci piacerebbe che anche la scrittura collettiva possa diventare una forma della cooperazione sociale, del fare rete, che permetta al pensiero di socializzarsi sempre di più, cioè diventare esso stesso produzione di comune, che nel caso della rete, non può prescindere dalla circolazione contagiosa delle idee.

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