di ROBERTO CICCARELLI.

Ieri – 26 gennaio 2016 – si è tenuta presso Esc a Roma una partecipatissima e intensa assemblea contro la minaccia di sgombero. L’appuntamento  è stato anche un momento importante per connettere voci ed esperienze in un percorso di inchiesta e di iniziativa politica per l’affermazione di un’altra idea di città e di metropoli, che muove dall’autogestione e dalle forme della nuova cooperazione sociale diffusa. Nel riaffermare la nostra solidarietà e complicità alle compagne e ai compagni dell’atelier romano, riprendiamo dal manifesto due articoli di Roberto Ciccarelli che ci sembrano importanti. (EN).

A Roma c’è chi vuole cancellare 25 anni di

autogestione

Hanno occupato il secondo municipio di Roma Capitale, una delle poche istituzioni residue, regolarmente elette in una città dove la politica è sospesa e la vità e commissariata. Gli attivisti di Esc hanno chiesto ieri al minisindaco “una presa di posizione pubblica, netta e inquivocabile” contro la lettera di sgombero inviata dall’amministrazione del Commissario Tronca. Oggi (27 gennaio 2016 –ndr) ribadiranno la loro opposizione in un’assemblea presso l’atelier autogestito nel quartiere di San Lorenzo in via dei Volsci dov’è prevista una nutrita partecipazione della politica della Capitale, oltre che dei centri sociali che hanno ricevuto analoghe comunicazioni di sgombero (Auro e Marco, Casale Falchetti, Corto Circuito).ESC3

L’offensiva amministrativa è a tutto campo e segue lo stesso spartito: ci sono delle pendenze legate alle utenze o al mancato pagamento di canoni sociali di affitto, determinati dalla delibera 26 che nel 1995 regolarizzò i centri sociali a Roma. In molti casi tali pendenze sono state determinate dalla stessa amministrazione che ha ritardato l’esecuzione dei passaggi previsti dalla delibera. In questa cornice è iniziata un’altra procedura, determinata da un’altra delibera  (la 140) voluta dall’ex sindaco Marino e dal suo ex vice Nieri all’indomani di “Mafia Capitale”. Un provvedimento che è tornato sui passi della precedente delibera e rimesso a bando una parte del patrimonio pubblico, compreso quello affidato ad associazione e movimenti. E lo farà a prezzi di mercato.

Un’altra idea di città

Così si spiega l’incredibile cifra di sei milioni chiesta al centro sociale Auro e Marco. Il Commissario Tronca non sta facendo altro che applica questa delibera voluta o imposta al centro-sinistra. Da queste operazioni, si è letto nel documento di programmazione triennale di Roma Capitale approvato il 24 dicembre scorso, Tronca prevede di ottenere 15 milioni di euro all’anno per i prossimi tre anni. E’ forte l’illusione del Campidoglio che ci possano essere capitali e investitori capaci di acquisire a prezzi di mercato questo patrimonio.

“Partiamo dalla difesa nostra e di tutti gli spazi sociali sotto attacco — sostengono gli attivisti di Esc — per costruire e praticare un’altra idea di città”.

La delibera 140 è il risultato di un collasso della teoria dei “beni comuni”

Il centro sinistra romano — esito postumo dell’alleanza “Italia Bene Comune – ha messo a bando il patrimonio comunale definito come “bene comune”. Il bando è stato giudicato come lo strumento neutrale per aggiudicare all’attore più meritevole e competitivo sul mercato la gestione privata di questo bene. Lo stesso meccanismo avrebbe dovuto essere adottato per tutti gli appalti, e in particolare per quelli del terzo settore: centri interculturali, accoglienza, gestione dei profughi e richiedenti asilo.

Il meccanismo della gara rischia di premiare gli attori economicamente più forti del terzo settore (Welfare, intercultura, accoglienza, associazionismo), ma non necessariamente competenti e specializzati. L’importante che abbiano una rendita da investire nell’immobiliare. Su queste basi si aprono le porte ai capitali provenienti dal riciclaggio, pronti a essere investiti nei bar o nei ristoranti che continuano ad aprire sull’onda della liberalizzazione delle licenze voluta a suo tempo da Bersani.

Mafia Capitale choc

Dopo lo choc di «Mafia Capitale», Marino subì un condizionamento al punto da bloccare tutto. Cooperative e associazioni sono state costrette a interrompere le attività. Tra le vittime di questa finanziarizzazione del sociale ci sono anche i lavoratori che non ricevono gli stipendi per il lavoro svolto. E ora tutti gli spazi sociali che producono progetti non omologabili al meccanismo del consumo della città, delle relazioni, cioè il modello dominante della città usa-e-getta.

A Roma si è formata, nei fatti, un’alleanza tra la gestione burocratica e statalistica del patrimonio e il capitalismo predatorio e prodotto dal riciclaggio o proveniente dai grandi fondi immobiliari internazionali. Una spinta decisiva per consolidare un legame visibile a occhio nudo nei quartieri della movida, come nei quartieri a più alta concentrazione di immobili di lusso è arrivato dal commissariamento per il debito. Quando era ancora in carica, il sindaco Ignazio Marino accettò per forza di cose un piano di rientro da parte del governo Renzi: oltre 400 milioni da recuperare in ogni modo sulla carne viva della città. Il commissariamento di Tronca esegue questo piano. La gestione del patrimonio è sottratta alla decisione democratica e inserita in un modello economico e sociale ispirato alla speculazione e alla desertificazione dei rapporti sociali.

Teatro Valle: la dannazione della memoria

Se sgomberati, e svuotati della storia dei rapporti prodotti, questi spazi sociali faranno la fine del Valle occupato. Il teatro più antico di Roma, occupato per tre anni, rappresenta la pagina più vergognosa del recente centro-sinistra romano. Costretta all’auto-sgombero, la comunità occupante ricevette da quella compagine — e dal teatro di Roma guidato da Marino Sinibaldi e da Antonio Calbi — una generica rassicurazione su un presunto restauro della struttura e in seguito di una non meglio precisata gestione.

Tutto falso. Il teatro è chiuso da un anno e mezzo e resterà chiuso per i prossimi cinque o dieci anni. E’ la dannazione della memoria: nulla deve crescere nella città dei palazzinari. Vigliaccheria, subalternità, impotenza e omaggio ai potenti. Non bisogna infatti dimenticare la prima cosa detta da Renzi a Palazzo Chigi, poco dopo avere defenestrato il suo compagno di partito Letta: Il Valle doveva essere sgomberato. Marino eseguì, il centro-sinistra sbatté i tacchi. Questo è il destino che aspetta il resto della città.

C’è il rischio di cancellare 25 anni di storia di autogestione e di movimenti sociali, una delle anomalie che hanno cercato di contrastare l’emersione di processi che hanno devastato una città perduta.

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Moratoria giubilare per gli spazi sociali a

Roma

L’altra faccia di Mafia Capitale. Una moratoria giubilare per cancellare i debiti degli spazi sociali e della città di Roma prodotti da una governance inefficiente e imposti per via amministrativa o poliziesca. E una “carta di Roma” che, sull’esempio del regolamento sugli usi civici approvato dalla giunta De Magistris per l’Asilo Filangieri a Napoli, stabilisca una cornice giuridica di garanzie che tuteli e sviluppi l’autogestione, il mutualismo e le produzioni indipendenti come beni comuni. L’idea di “moratoria giubilare” dovrebbe essere estesa all’emergenza degli sfratti, così da includere un altro aspetto determinante della vita precaria nella Capitale.

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Moratoria giubilare

Sono questi i punti messi in agenda dall’assemblea “Roma non si vende” intensa, e partecipata da centinaia di persone, svolta ieri all’atelier Esc, sotto sgombero come molti spazi sociali autogestiti (La Torre, Corto Circuito, Auro e Marco, Casale Falchetti), associazioni (Il comitato per l’acqua) e sedi di partito (la storica sezione del Pci oggi Pd di via dei Giubbonari). Dopo la lettera aperta e l’appello internazionale per Esc si apre un nuovo percorso che coinvolge la città e gli spazi sociali contro la gestione neoliberale di Roma commissariata: per il diritto alla città contro svendite, sgomberi e privatizzazioni.

La rete per il diritto alla città, a Roma riunisce gli spazi di movimento, ha mostrato unità di intenti e la volontà di riprendere un discorso politico unitario. Ripartire dai quartieri, dal lavoro, dal contrasto al taglio degli asili nido, ricostruire la legittimità politica dei centri sociali. Al momento non ce n’è per nessuno, c’è solo il Fiscal Compact e austerità. E, forse, un futuro da giocarsi

La campagna elettorale a Roma si preannuncia confusa e impaurita. La città è una polveriera, è ingovernabile, sotto scacco del commissariamento per debito (altro che Tronca) e il tallone di ferro del governo. All’assemblea erano presenti tutte le componenti della sinistra cittadina e nazionale, oltre ai Cinque Stelle candidati in pectore (ma non in realtà) a vincere sulla ruota del Campidoglio.

La debolezza in cui si trova tutta la politica a Roma, e la sua subalternità ai poteri economici formali e informali o a quelli della magistratura, è un rischio per tutti, non solo per gli spazi sociali. Questo, in fondo, è l’effetto della crisi: insieme a disoccupazione e corruzione, ha fatto saltare le mediazioni, devastando le istituzioni di prossimità, rendendole evanescenti, oltre che inefficienti. Non è detto che un nuovo sindaco affronterà (anche senza risolverlo) questo problema politico. E’ più probabile che sarà l’esecutore fallimentare della città per conto del governo e dei poteri dominanti. Un tema che non avrà molto  peso in una campagna elettorale che sarà un referendum pro o contro Renzi e nulla più.

Ripartire da una carta di Roma

La ricerca di un patto di governo tra una parte della sinistra e il Pd che ha prodotto il disastro Marino è stata un’ecatombe per una sinistra di base già indebolita. Ciò non toglie che la disintegrazione della mediazione politica — con Marino e la sua giunta di “centrosinistra”, persino peggiori di Alemanno sugli sgomberi –ha disarticolato le pratiche dell’autogestione di cui Roma è tradizionalmente ricca. Ieri era diffusa una consapevolezza: non è possibile trovare una legittimità nei patti politici stretti tra i partiti. Questa politica della delega ha prodotto la desertificazione della città, oltre che l’attacco deliberato alle forme di vita indipendente.

Si riparte da zero. E’ una scelta coraggiosa. L’idea di creare una “carta di Roma” attraverso una consultazione della cittadinanza e della politica può essere un nuovo inizio. Il progetto è di riscrivere le regole e stabilire un patto con la nuova giunta. Sempre che poi le urne esprimano una maggioranza, un sindaco e una politica disponibile a riprendere il discorso della negoziazione sociale e non riproponga, invece, l’ideologia del decoro e la gestione amministrativa e legalitaria della vita civile con sgomberi, multe, polizia. E gestione dei conflitti con la magistratura. Quello che si è visto con Marino, quando la città era in balia di una dialettica molto lontana dalla politica. Nell’assemblea non sono mancati riferimenti polemici — contenuti — a un partito come Sel che ha percorso questa strada, per esserne travolto.

Da registrare, al momento, l’impegno dei parlamentari di Sinistra italiana a porsi come “garanti” con il governo commissariale della città. In mancanza di un consiglio comunale, questi parlamentari si sono candidati ad esercitare una mediazione politica con Tronca tutta da costruire, ma necessaria anche per evitare di trasformare i prossimi 3 mesi di campagna elettorale in una guerra degli sgomberi.

Contro l’ideologia del bando

Il dissenso principale è contro lo strumento di governo del sociale: il bando. E’ stata chiesta l’abolizione della delibera 140 — voluta dall’ex sindaco Marino e dal suo vice Nieri di Sel — che ha sostituito la delibera 26 che per un lungo tempo ha regolato — male, molto male — la gestione e l’affidamento dei numerosi spazi sociali. La giunta Marino ha fatto una scelta rovinosa, sotto la spinta del populismo penale e del legalitarismo esplosi dopo “Mafia Capitale”: rimettere a bando tutti gli spazi — non solo quelli autogestiti, in totale 800 — a prezzi di mercato. Un modo per cancellare 25 anni di storia di movimenti di base e associazionismo a Roma, affidando i luoghi più preziosi alla speculazione immobiliare, ai capitali provenienti dal riciclaggio oppure alla desertificazione come è accaduto con il teatro Valle.

Interessante è anche la polemica contro l’ideologia del bando. Alla crisi prodotta dal sistema “Buzzi-Carminati” che prosperava grazie ai bandi del comune e garantiva gli appalti alle cooperative coinvolte in Mafia Capitale, la giunta Marino e oggi il Commissario Tronca hanno risposto con lo stesso sistema. Con una differenza: hanno ristretto i criteri di accesso ai bandi, riservandoli ai soggetti economicamente più forti. Invece di incidere sul potenziale corruttivo e criminogeno di questi strumenti, hanno amplificato i rischi puntando a dissolvere le esperienze storiche in vari settori. Il caso dei centri interculturali per i minori, una “buona pratica” romana, è clamoroso.

La Carta di Roma dovrebbe sostituire la delibera 140. Si potrebbero inserire un elemento decisivo per il futuro dell’autorganizzazione: la tutela del lavoro, e del suo darsi come cooperativa o impresa sociale, nel rispetto della dignità delle persone e del reddito. La delibera 26 non ha mai considerato l’aspetto dell’autoreddito e della costruzione di impresa, lasciando gli spazi sociali in una terra di nessuno tra il buon cuore dell’associazionismo e l’invenzione di stratagemmi per aggirare le normative. Da qui le multe, la persecuzione dei vigili urbani e della Siae. Si tratta, invece, di prospettare un’economia municipale autogestita che riconosca la dignità economica, sociale e politica del mutualismo. Cosa, ad oggi, mai avvenuta. I movimenti hanno passato il loro tempo a difendersi contro le irregolarità prodotte da una cornice che interpreta l’auto-organizzazione solo come un illusorio associazionismo non-profit.

L’uso comune

Un altro spunto per la riflessione politica, emerso dall’assemblea, è la convergenza tra l’antica idea dell’autogestione con la più recente riflessione sull’auto-governo: il darsi le regole, una condotta, nella pratica, all’interno di comunità aperte che creano relazioni, imprese comuni, servizi e costituiscono reti sociali allargati, nella città, e a livello nazionale o continentale. Questo è, in fondo, ilcuore di un progetto di municipalismo e di federalismo, l’alternativa di base ai poteri tecnocratici dei governi e degli stati che hanno devastato l’Europa. Il riferimento al regolamento per gli usi civici approvato dalla giunta De Magistris (che ha dato la solidarietà a Esc sotto sgombero) è un’inizio di riflessione. In questa cornice si era posto anche lo statuto della fondazione del teatro Valle, dissolto con la chiusura punitiva e sine die del teatro.

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