di JEAN-CLAUDE BOURDIN*.

 

Nel 1994[1], due opere di Althusser misero l’accento su una nuova categoria filosofica, quella del <<materialismo aleatorio>> o del <<materialismo dell’incontro>>. Questo nuovo pensiero di Althusser, edito in Filosofia y marxismo (Messico,1988)[2] e riportato  in <<La corrente sotterranea del materialismo dell’incontro>>  e  <<Ritratto del filosofo materialista>>, ripreso negli Scritti economici e politici, tomo I[3],  ci viene presentato in  modo molto affascinante e al tempo stesso enigmatico.

Questa nuova linea di pensiero persegue tre obiettivi: 1°) dare al marxismo la sua filosofia o dare una filosofia al marxismo(1994 a,p.38); 2°) portare alla luce l’esistenza di una corrente sotterranea del materialismo che fornisca a questo stesso la sua <<base>>(1994 b, p.561) ; 3°) darsi una filosofia capace di pensare la crisi e i mezzi teorici e pratici di introdurre nel mondo dei punti di eresia e di rottura/ricomposizione, e per questo disporre di una teoria della congiuntura.

<<Nuova categoria>> storiografica, <<nuova filosofia>>:  la questione si pone sullo statuto teorico di questo materialismo dell’incontro. I testi di Althusser autorizzano varie interpretazioni[4]. Noi vogliamo privilegiare  l’idea che, esponendo <<la corrente sotterranea del materialismo dell’incontro>>, dandole il nome di materialismo dell’incontro o materialismo aleatorio, egli puntasse meno a difendere una nuova filosofia materialista, piuttosto che a estrarre da questa corrente un’ ontologia pura dell’incontro. La questione che si pone é come articolare la categoria di aleatorio, dell’ incontro inassegnabile, impensabile ed impossibile e tuttavia possibile, col materialismo che designa, tradizionalmente,  la tesi della materialità oggettiva del mondo, dell’anteriorità e dell’esteriorità del mondo materiale in rapporto al pensiero che ne è dipendente. Noi pensiamo che una parte delle difficoltà ad ammettere questo tipo di materialismo sarebbe superata se riconoscessimo che si tratta di una tesi sull’essere del mondo a partire dalla quale deve essere pensata la sua integrale materialità.  Questa è da pensarsi sotto la condizione della tesi dell’aleatorio. E’ ciò che permette ad Althusser di distinguere questo materialismo da quello che egli chiama <<il materialismo pronunciato>>(nell’accezione nominalista. n.d.t.), riconoscendo che non si può  parlare di materialismo se non con diffidenza(1994°, p. 96) e che se si conserva questo termine lo si fa solo provvisoriamente.(1994 b, p.562-563).

 

SU UNA SOGGETTIVAZIONE DELLA CONGIUNTURA 

Ci piacerebbe poter spiegare che tra Althusser e questo materialismo é avvenuto un incontro, e che egli si è lasciato condurre dai buoni effetti di questo buon incontro[5]. La lettura delle aggiunte manoscritte apportate alla seconda versione di Machiavelli e noi[6] mostra in ogni caso come intorno al 1986[7], egli abbia introdotto sistematicamente i termini del lessico dell’aleatorio: il <<caso>>, il <<caso singolo>> e la <<congiuntura>>, il vuoto, l’avvenire aleatorio legato all’ineguaglianza di sviluppo che lascia il posto alla differenza e non alla contraddizione, l’idea di invariante aleatoria, l’<<ontologia>> sostituita infine alla <<teoria>>. Possiamo leggere l’interpretazione fatta da Althusser delle due prime tesi estratte da Machiavelli come un tentativo di rendere compatibili materialismo e aleatorio. La prima tesi che afferma che il mondo non cambia, che il corso delle cose è immutabile, è chiamata tesi materialista di oggettività. La seconda, che la contraddice formalmente, afferma che tutto è in perpetuo movimento. Per Althusser è <<una tesi “dialettica” o piuttosto “aleatoria”, e poi una tesi materialista>>(1995, p.78-80). E’ evidente che Althusser è ancora sotto l’influenza della distinzione canonica fra materialismo storico e materialismo dialettico. Ma il tema machiavelliano della congiuntura gli permette di introdurre degli elementi che sono incompatibili con la dialettica e col primato accordato alla negatività immanente del concetto e la teleologia interna del processo e della riproduzione di un ordine dato.

Soltanto quando la linea di Epicuro e Democrito sarà promossa al rango di paradigma del materialismo dell’incontro,  sarà possibile, a partire da questo stesso,  rintracciare una corrente sotterranea( che va fino ad Heidegger, Wittgenstein, Derrida, passando per Nietzsche, Marx, Rousseau, Hobbes, Spinoza e Machiavelli) che si svilupperà sui margini del materialismo e dell’idealismo ufficiali.

Se le ragioni di questa improvvisa promozione dell’idea del materialismo aleatorio sono sicuramente molteplici e complesse da chiarificare, esse esprimono soprattutto una crisi soggettiva, o, se si preferisce, una crisi teorica nella soggettività, o ancora una soggettivazione di una crisi teorica che incontra e amplifica una congiuntura: quella dell’irresistibile scomparsa di riferimenti teorici e politici della rivoluzione in Europa e nel mondo – di cui è testimone la crisi del marxismo, <<finalmente!>>(1994b, p.359 sq.).

In una lettera a Merab Mamardachvili,  del 1978, Althusser scrive: <<Tu parli di “disgusto”: persino i migliori intorno a me pronunciano questa parola.(…) E’ la parola che esprime chiaramente che non troviamo più posto in tutta questa merda e che è vano cercare di trovarne uno, poiché tutti i posti sono trasportati dal corso insensato delle cose. Non ci si può più bagnare affatto in un fiume. A meno di non essere un picchetto piantato nella corrente che, in silenzio, resiste.  In un po’ di terraferma. Il tutto è trovare questo po’ di terra sotto l’acqua.>>(1994 b, p.529;sottolineo). È come se Althusser assumesse la postura di un soggetto dubitante cartesiano alla ricerca di un fondo nel <<flusso del mondo>>  in cui fissare il proprio pensiero e trarre vantaggio dalla cattiva Fortuna, come il Principe machiavelliano . Questo <<po’>> è il pensiero dell’aleatorio, restituito a partire da un tipo di materialismo la cui radicalità è passata inosservata . Avremmo avuto l’incontro di una cattiva congiuntura e di un soggetto svuotato, ma scoprendo in Machiavelli il pensatore geniale che seppe pensare non sulla congiuntura ma sotto la  categoria di congiuntura(1995, p.60). Questa scoperta permise di opporre alla Fortuna il sostituto della virtù(in italiano nel testo,n.d.t.) politica difettosa, l’<<utopia teorica>>(ibidem,p.101) di questo materialismo dell’incontro, grazie al quale il soggetto in crisi trasforma il proprio <<disgusto>> davanti all’impossibile compito pratico, nel pensiero dello <<scarto tra un compito politico necessario  e le sue condizioni di realizzazione allo stesso tempo possibile e pensabile ma  anche impossibile e impensabile, poiché aleatorio>>(ibidem,p.100). Divenendo una categoria del pensiero, l’aleatorio <<oggettivo>> non porta a rinunciare alla pratica rivoluzionaria. Questa occupa un posto lasciato vuoto nel pensiero, istalla il di fuori di esso nel suo didentro e lo apre alla possibilità di un’avventura liberatrice e trasformatrice. Il materialismo aleatorio è <<necessario per pensare l’apertura del mondo verso l’evento, l’immaginazione straordinaria e anche ogni pratica concreta, ivi compresa la politica>>(1994 a,p.46).

Il soggetto necessitava dell’esperienza di un altro genere di incontro , quello che gli rivela nei suoi propri <<zoppicamenti>> o <<incertezze>>(1994b, p.569) il fondo di instabilità di tutte le cose che si manifesta nella violenza degli elementi.

Si può notare il carattere equivoco della nozione d’incontro. Essa è esemplificata dalla congiuntura di cui Machiavelli sarebbe stato il teorico. Sarebbe allora compresa come rapporto o rapporto dei rapporti: Fortuna/virtù (in italiano nel testo,n.d.t.), il popolo/i Grandi, il popolo/il Principe, ecc… Essa rinvia, più profondamente, all’Idea dell’epicureismo e fa dell’incontro la produzione delle cose. Designa ugualmente tutto ciò che <<capita>> a un soggetto, l’evento inassegnabile che lo assegna ad una traiettoria nuova, ad una nuova serie di eventi. Essa disegna, infine, i contorni di un compito possibile, quello di creare le condizioni di deviazione, di incontro, o di disfare ciò che esiste, che ha fatto presa.

Il senso dell’<<incontro>> o dell’<<aleatorio>> diviene chiaro: si tratta di enunciare un’ontologia che svuoti il mondo da ogni sostanzialismo, da ogni necessità, da ogni forma come costituente del proprio essere, di impedire il tentativo di ricostituire una filosofia prima – ciò cui ha puntato il <<materialismo dialettico>> marxista. L’ontologia dell’aleatorio è essenzialmente un’ontologia dell’economia: è prima di tutto il po’ della lettera a Merab che corrisponde al po’  di categorie che la costituiscono: il vuoto, la caduta, l’incontro per declinazione, la ripetizione degli incontri. È in seguito quella della mancanza assoluta di senso, di ragione e di fine. È ancora l’economia della contingenza di ogni fatto che si compie. È infine l’affermazione minimale del primato dell’assenza sulla presenza, dell’origine impossibile e dell’illusoria unità di essere e senso.

 

L’ALEATORIO COME <<BASE>> PER IL MATERIALISMO

Per stabilire l’idea che il materialismo dell’incontro non è un nuovo materialismo, ma un’ontologia che dà al materialismo la sua <<base>>,  occorre prendere sul serio il ricorso di Althusser all’epicureismo. Con Epicuro, l’<<atomismo>> offre un modello completo del materialismo dell’incontro, le forme primitive e semplici di concetti senza oggetto(1994 b, p.563). Vi si ritrova, infatti, come sappiamo, una teoria degli elementi(atomi),  invisibili nella loro separatezza e individualità, del vuoto, del niente infinito nel quale gli atomi cadono indefinitamente, parallelamente gli uni gli altri, e del ricorso al clinamen, alla declinazione degli atomi, che permette il loro <<impatto>>, il loro incontro, la loro aggregazione, la loro costituzione in corpi più o meno consistenti e duraturi. In un momento, indeterminato, che niente giustifica e che, a sua volta, non fonda niente, una deviazione infinitesima degli atomi nella loro caduta causa una serie d’incontri puramente aleatori degli atomi che si aggregano  gli uni gli altri, o al contrario si separano e continuano il loro movimento erratico. A un certo punto gli atomi, così <<attaccati>> gli uni gli altri, costituiscono dei corpi, formando una natura e un mondo. L’attaccamento degli atomi non obbedisce che a una causalità meccanica, cieca, su un fondo di indeterminazione, di assenza di senso e d’orientamento. Si sottolineerà che è l’operazione di <<presa>> degli atomi invisibili che li fa entrare nel campo dell’Essere, al tempo stesso producendo un mondo, attraverso il quale viene così all’Essere. In tutto rigore, <<l’incontro non crea niente della realtà del mondo, che altro non è se non atomi agglomerati, ma esso dà la sua realtà agli atomi stessi, che senza la deviazione e l’incontro non sarebbero che elementi astratti, senza consistenza né esistenza. L’esistenza stessa degli atomi non viene loro che dalla deviazione e dall’incontro>>(1994 b, p.541-542). Gli atomi non possono essere considerati l’origine delle cose, ma piuttosto  <<la ricaduta secondaria della loro assegnazione ed avvento >>(ibid.,565). Ma una volta costituita una certa struttura dell’Essere, questa assegna ai propri elementi il loro posto, la loro relazione e la loro funzione, secondo una causalità necessaria che li lega <<per sempre>>, li rende conoscibili e suscettibili di essere sussunti sotto delle leggi.

Ciò che interessa Althusser, è dunque la <<base>> che questa filosofia permette, cioè il piano che essa istituisce e sul quale questi atomi e il loro incontro vengono all’Essere e permettono di pensare il modo d’essere di questo Essere. Questa <<base>> disegna l’insieme delle categorie che permettono ai concetti di <<funzionare>> e di pensare un mondo e la sua storia.

 

IN ORIGINE, NON C’E’ NIENTE. LA DEVIAZIONE DERIVATA

Questa non si attribuisce alcuna origine che sia già, da un lato o dall’altro, la prefigurazione di tutto ciò che verrà: né riserva di senso o di essere, né slancio o desiderio di esistere. In origine, non c’è niente, o tuttavia poco, non essendo anticipazione di niente, non è quasi un essere: è vuoto, nulla. Gli atomi stessi non esistono a rigor di termini prima del loro incontro e della loro unione. È necessario il loro incontro, la loro <<presa>>, affinché gli elementi siano percettibili. Ci sono, ci sono sempre già stati degli atomi che cadono nel vuoto, e sempre già degli incontri, <<nec regione loci certa nec tempore certo>>[8], in un regime di indeterminazione radicale, di assoluta contingenza.

La presupposizione degli atomi non è una proposizione scientifica, riducibile a una rappresentazione o a dei concetti, ma costituisce un piano, o una <<base>>(Althusser, 1994 b,561), nella quale l’insieme costituito da <<atomi- vuoto– clinamen>> è l’operatore di un pensiero delle cose che accetta di fare a meno delle nozioni di Origine, Senso, Fine, Causa e Ordine, di necessità prima, di escatologia. Esso produce il risultato teorico più economico, e perciò il più potente che ci sia, poiché richiede che lo si pensi nella debolezza del <<niente>>, del <<nulla>>, giacché <<dire che in principio era il nulla o il disordine, significa istallarsi al di qua  di ogni assemblaggio, di ogni ordine, rinunciare a pensare l’origine come Ragione o Fine, per pensarla come nulla. Alla vecchia domanda: “qual è l’origine del mondo?”, questa filosofia risponde: “il nulla”-“niente”-“io comincio dal niente”- “non c’è un inizio”(ibid.,p.561)[9]. L’audacia di Epicuro è stata quella di farci pensare che l’origine (se si vuole conservare la parola) di ogni mondo è dovuta a una deviazione originaria, che la deviazione era originaria e non derivata(ibid., p.541). Questa funzione decisiva accordata al clinamen conduce a risalire prima ancora del fatto compiuto del mondo e degli eventi, per istallarsi nel compimento del fatto e assumere totalmente l’assoluta contingenza dell’incontro, la necessità della contingenza e la contingenza della necessità (ibid.,p.559).

 

L’INCONTRO E’ ALEATORIO NEI SUOI EFFETTI

Questa idea consiste nell’affermare che una volta realizzata la presa dell’Essere, se ogni cosa o evento riceve dalla totalità in cui essi appaiono la propria determinazione necessaria, questa determinazione non è in alcun modo disegnata prima negli elementi dell’incontro, <<ma che al contrario ogni determinazione di questi elementi è assegnabile soltanto nel ritorno indietro del risultato sul suo divenire, nella sua ricorrenza>>(1994 b,p.566).

Gli eventi sorgono come risultati provvisori di una congiunzione (incontro) di elementi che avrebbero potuto benissimo non prodursi e che generano tuttavia un effetto che è questo mondo divenuto necessario. Niente è prefigurato in una mancanza o una negatività qualunque che rendesse l’adempimento necessario e teleologicamente sensato. Questa <<diversione>> di un risultato in rapporto ai suoi fini primitivi <<è il marchio della non-teleologicità del processo>>(ibid.,p.572), e la sua <<presa>>, su un fondo di aleatorio per sempre instabile, è modellata senza fine dalla possibilità di nuovi incontri, di <<impedimenti, di ondeggiamenti, di sospensione della storia, sia degli individui(esempio: la follia), sia del mondo, quando i dadi sono come lanciati improvvisamente sul tavolo>>(ibid.,p.569). Se niente garantisce l’incontro o la sua permanenza, allo  stesso modo possiamo dire che l’adempimento non rivela, per il fatto che è stato compiuto, un senso che lo strapperebbe alla sua fragilità aleatoria.

 

CONTRO IL PRINCIPIO DI RAGIONE

Lo si vede, il materialismo aleatorio è una macchina da guerra radicale contro il principio di ragione. Gli si oppone non contestando la sua formulazione, ma rifiutando la pertinenza stessa di ciò che afferma o esige, cioè che tutto ciò che esista, ideale o materiale, debba rispondere alla domanda della ragione della propria esistenza e che per soddisfarla è portata necessariamente a costruire un retro-mondo, scovare <<una ragione nascosta sotto l’apparenza dell’immediato, dell’empirismo, della cosa data qui ed ora>>(1994a,p.96). La decisione di opporre il materialismo aleatorio e il principio di ragione, piuttosto che ricondurre all’opposizione tradizionale fra materialismo e idealismo, proviene dal fatto che il principio di ragione appare la base della tradizione dominante della filosofia occidentale e dunque dell’idealismo. Il principio di ragione, con l’insieme delle questioni che costringe a porre, è ciò che definisce più radicalmente e definitivamente l’idealismo che si riconosce per il suo <<essere ossessionato da una sola e medesima questione che si sdoppia in due: il principio di ragione non concerne soltanto l’Origine, ma anche il Fine>>(ibidem, p.97), o ancora il Senso e la Finalità del mondo e della sua storia, i Fini della Provvidenza, i Fini dell’Utopia, la Destinazione ultima dell’uomo. Di conseguenza, il materialismo tradizionale, attraverso l’affermazione del <<primato>> della materia o della natura(cfr.Engels), non fa che mostrare la sua sottomissione al principio di ragione. Certamente possiamo riconoscere fra i filosofi che si dichiarano materialisti[10], e che Althusser chiama <<il materialismo pronunciato>>(ibidem.,p.57 e 95), il segno dell’esigenza di svincolarsi dall’idealismo. Ma questa esigenza si trasforma in una trappola per il materialismo stesso, dato che accettando i termini del principio di ragione, riporta la forma di pensiero che esso ordina e che è quella dell’idealismo. Non si esce dall’idealismo prendendolo in contropiede o <<capovolgendolo>>, ma fuggendo dalla coppia idealismo/materialismo che è costituita dall’idealismo, a partire dall’idealismo e per l’idealismo, in funzione della sua base fondamentale(ibidem,p.96-97).

Ma perché continuare a chiamare <<materialismo>> questa forma di pensiero che offre una base costituita dalle tesi dell’incontro, delle singolarità e della contingenza? Sembra che in questa nuova categoria, la <<materia>> dei materialisti sia scomparsa e che, volendosi smarcare dagli effetti idealisti della coppia idealismo/materialismo, questo materialismo aleatorio abbia dovuto rinunciare completamente alla materialità. Althusser tiene a precisare che non abbandona il riferimento alla tesi della materialità del mondo: <<la filosofia di tendenza materialista riconosce l’esistenza della realtà oggettiva esteriore, così come la sua indipendenza rispetto al soggetto che la percepisce e che la conosce. Essa riconosce che l’essere, il reale esiste ed è anteriore alla sua scoperta, al fatto di essere pensata e conosciuta>>(1994 a, 60)[11]. Questa precisazione si trova nel testo pubblicato, mentre i testi che non furono pubblicati durante la vita di Althusser insistono sull’idea che  <<l’esistenza stessa degli atomi non viene loro che dalla deviazione e dall’incontro>>. Noi avremmo una versione <<leggera>> e una versione <<pesante>> del materialismo dell’incontro. In realtà non vi è alcuna difficoltà a conciliarle se le si assegna a livelli differenti. La prima tesi afferma qualcosa del mondo( la sua materialità) situandosi nel fatto compiuto del mondo, nella sua regolarità e necessità scientificamente intellegibili. La seconda afferma qualcosa delle condizioni reali e logiche del compimento, le condizioni per pensare le modalità del compimento delle cose. Si può sostenere la prima tesi sottraendosi agli effetti indotti dalla seconda: è ciò che fa ogni materialismo <<pronunciato>>, che non fa che mimare l’idealismo opponendosi a esso. Al contrario sottomettere la prima tesi alla seconda libera le potenze del pensiero e della necessità e della teleologia, per accordarla all’incontro possibile col suo fuori: le pratiche singole degli uomini che lottano nell’oscurità del vuoto, del discontinuo, del non legato.



[1] Una prima versione di questo testo è pubblicata con il titolo <<The Uncertain Materialism of Louis Althusser>>, traduzione di Charles T. Wolfe, in Graduate Faculty Philosophy Journal, New School for social Research, vol.22,n°1,New York,2000.

[2] Ripreso nella prima parte(colloqui con Fernanda Navarro) di Louis Althusser,Sur la philosophie,Paris,Gallimard,1994. Nel testo indicato con 1994a.

[3] Louis Althusser,Écrits philosophques et politiques,t.I, edizione di François Matheron, Paris, Stock/IMEC,1994. Nel testo indicato con 1994 b. Gli Écrits philosophques et politiques,t.II,1995, saranno indicati con 1995.

[4] Bisogna tener conto del fatto che i testi non sono omogenei fra loro, poiché quelli 1994 b erano manoscritti.

[5] Circa tali incontri, vedi Pierre Raymond, <<Althusser et le matérialisme>>, in Althusser philosophe,<<Actuel Marx Confrontation>>,PUF,1997,p.171-173.

[6] Vedi Althusser 1995,p.163-167.

[7] Vedi le indicazioni di François Matheron,ibidem,p.40.

[8] Lucrezio,De rerum natura,II,v.293. Vedi anche II,v. 871-875 e V,v. 797-798.

[9]Sulla stessa scia, un testo breve e illuminante del 1986, <<Ritratto del filosofo materialista>>, dirà che il filosofo materialista è un uomo che <<prende il treno in corsa senza sapere né da dove viene(origine), né dove va(fine)>>(Ibid.,581). Le stesse immagini si ritrovano in 1994 a, 65-66

[10] L’insieme dei testi di Althusser su questo punto mostra che egli pensa ai materialisti francesi del XVIII secolo.

[11] Estende lo stesso concetto di materia al di là della materia nuda del fisico o del chimico, per includervi la materialità del gesto che lascia una traccia, del gesto che precede la parola(1994 a,pp.43 e 47).

* Pubblicato in Multitudesn°21, estate 2005. Traduzione di Riccardo Ferrante.

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