di CESAR ALTAMIRA.1

27/11/2012

0. Lo sciopero nazionale del 20 novembre, il primo contro il kirchnerismo dopo quasi 10 anni di governo, ha sorpreso interni e profani. Ha sorpreso chi lo ha convocato per la sua dimensione di massa e per l’estensione, interessando le città più importanti nell’interiore del paese. Ha disorientato le centrali “ufficialiste” come la CGT “rosada” e la CTA “ufficialista”, ha mostrato una rinnovata influenza dei settori della sinistra con le fabbriche e con i servizi, preoccupando non solo il governo ma anche le stesse padronali, nonostante la misura di forza non contenesse richieste alle padronali. Le ultime mobilitazioni di piazza, importanti per la propria dimensione di massa e per l’estensione nazionale, 8 novembre (8N) e 20 novembre (20N), hanno messo a nudo la debolezza del governo kirchnerista – un anno dopo il 54% dei voti nell’ottobre 2011 – rivelando che il governo sta perdendo la “piazza” e la propria agenda politica, di fronte ad un’opposizione che, anche se con composizione sociale diversa e al di fuori di ogni rappresentazione politica di partito, ha reclamato pubblicamente le proprie istanze. Il governo peronista del nuovo secolo, al contrario della storia, è rimasto “seduto sulla riva del fiume”. La conflittività sociale lo ha sopraffatto, in maniera imprevista e impensata per i suoi sostenitori. In questi giorni il cristinismo cerca di riprendere l’iniziativa e imporre l’agenda politica per il prossimo 7 dicembre, la madre di tutte le battaglie contro il gruppo mediale Clarín, secondo la versione kirchnerista.

La giornata di lotta è stata convocata già da tempo dalle centrali sindacali dell’opposizione al kirchnerismo, contro il silenzio del governo di fronte ai reclami, sintetizzati in cinque punti:  1) la diminuzione della pressione fiscale sui salari (tassa sul guadagno sui salari, tutta un’anomalia) che mantenendo la base imponibile incorporava nuovi asalariati in questo universo, e stabiliva detrazioni per coloro che ne erano già soggetti, dopo gli aumenti salariali prodotti nel 2012; 2) l’universalizzazione dei sussidi familiari (il sussidio per figlio emesso dall’organismo di Sicurezza Sociale), poiché rimanevano esclusi dal sussidio settori importanti di asalariati, situazione aggravata da riforme introdotte dal governo che producono una riduzione delle aliquote ricevute; 3) la normalizzazione del debito dello stato con le Obras Sociales (coperture sanitarie, ndt) sindacali, che costituiscono una dei pilastri importanti del sistema di salute nazionale; 4) l’aumento del Salario Minimo Vitale e Mobile e 5) il rifiuto alla Legge Antiterrorista recentemente approvata.

Il governo non ha ascoltato queste istanze, premiato dal deficit fiscale in ascesa. Durante il 2012 le maggiori imposte ai guadagni gli assicurarono una maggiore riscossione fiscale, 6000 milioni di pesos; la riduzione dell’ammontare dei sussidi familiari da pagare migliorava il profilo fiscale, mentre utilizzava circa 12 milioni di pesos addebitati alle assicurazioni sanitarie. Nell’insieme per lo meno si metteva in discussione il modello inclusivo,  mentre si mantenevano le esenzioni fiscali agli sfruttamenti minerari e alle transazioni della Borsa.

1. Una delle componenti che hanno convocato lo sciopero, la CGT Azopardo condotta dal camionista Moyano – durante tutti questi anni compagno di strada del kirchnerismo – era passata all’opposizione nel marzo di quest’anno di fronte all’assenza di risposte del governo ai suoi reclami, ai tentativi ufficiali di stabilire un tetto all’inflazione nei tavoli di trattativa, alla sanzione della legge antiterrorista e alla terziarizzazione dei tagli che il governo cominciava a concretizzare trasferendoli ai governi provinciali. Moyano, che dirige il sindacato dei camionisti, fu nel corso di otto anni il principale sostegno sindacale dei Kirchner – soprattutto di Néstor, ma goffaggine o la convinzione di Cristina lo spinsero verso l’altro lato, nel preciso momento in cui dovevano abbracciarlo per condividere i costi del ciclo discendente del “modello”.

La perdita del doppio superavit fiscale e della bilancia dei pagamenti, pilastro del processo di accumulazione “virtuoso”, si era trasformata in un ricordo. La crisi energetica riconosciuta dal governo prima dell’espropriazione di Repsol aveva causato importazioni di energia che ridussero in deficit la bilancia dei pagamenti, nonostante il prezzo della soia. L’impossibilità di diminuire i sussidi ai trasporti (metropolitana, autobus, treni), l’acqua, la luce, il gas, tutto in aumento in un quadro di nuove pressioni inflazionarie crearono un superavit fiscale indebolito, così entrò in scena il deficit fiscale.

Negli ultimi mesi è stata approvata una nuova legge antiterrorista, si é conosciuto il “Progetto X” di spionaggio, sono stati processati militanti di organizzazioni piqueteras, sono stati penalizzati i salari con la tassa sui guadagni ed é stata approvata una nuova legge sui rischi sul lavoro che si schiera apertamente dalla parte dei padroni, creata dall’Unione Industriale Argentina. Tutto questo nel contesto di un’inflazione del 25% presente, negata dal governo che riconosce solo l’8%, e con discrediti presidenziali a chi si oppone alle politiche governative, come é stato il caso dei docenti.

2. L’altro grande organismo convocante, CTA (= Centrale dei Lavoratori Argentini) é una centrale  sindacale particolare in cui le affiliazioni, a differenza della CGT, sono individuali. Costituita diversi anni fa, si proclama indipendente da partiti politici e dallo stato, con una forte influenza a livello di lavoratori statali, così come in alcuni settori importanti come docenti, il settore automobilistico e l’importante filiera metallurgica di Villa Constitución. Ultimamente ha registrato importanti adesioni e influenze a livello di sfruttamento minerario, incorporando i laboratorio del settore alla sindacalizzazione. La CTA fu il baluardo principale di resistenza alle politiche neoliberali degli anni ’90, organizzando numerose manifestazioni nazionali contro la povertà attraverso il FRENAPO (= Fronte Nazionale contro la Povertá); i suoi dirigenti mantengono tuttora, a differenza dei propri  colleghi sindacalisti, un prestigio sociale guadagnato con la coerenza nella lotta e con le proprie idee. Con rotture al suo interno a partire dal 2011, derivanti da letture distinte rispetto al kirchnerismo, oggi esistono due CTA: una all’opposizione, relazionata con il Frente de Acción Progresista, e l’altra ufficialista, integrante di Unidos y Organizados attraverso l’organizzazione Nuevo Encuentro. La CTA all’opposizione mantiene la linea di lavoro menzionata, in una fase in cui 6 su 10 famiglie argentine sono considerate povere, 8 giovani su 10 minori di 30 anni non sanno che cosa significa un lavoro stabile, e nella provincia di Buenos Aires 6 persone su 10 che si trovano in carcere sono minori di 25 anni – una fase, cioè, in cui prevale un aumento del sanzionamento a poveri e giovani.

3. Di fronte a una prospettiva di diminuzione dell’attività economica, di perdita del doppio superavit gemello e degli effetti della crisi mondiale sull’economia nazionale, la conflittività sociale si presentava come un orizzonte inevitabile. Adagiata sulla legittimità elettorale del 54% dei voti, Cristina Kirchner ha dato un colpo di timone agli accordi ed alleanze allontanandosi da Moyano ed accomodandosi sull’ala più conciliatrice e accomodante della burocrazia sindacale, i cosiddetti “Gordos”, in altri tempi supporto del menemismo e delle politiche neoliberiste.

Il Ministero del Lavoro ha convalidato la divisione della CGT, ha riconosciuto la CGT dei “Gordos” e non ha riconosciuto la CGT di Moyano. Contemporaneamente il cristinismo metteva in moto la rielezione presidenziale con la motivazione di una “necessaria” riforma costituzionale che dovrebbe attualizzare la situazione ai nuovi tempi politici. Non fidandosi del sistema del Partido Justicialista Cristina de Kirchner ha creato il complesso di organizzazioni più affini al cuore crisitinista col nome di Unidos y Organizados, a protezione del figlio prediletto La Campora. Ma i fatti di questi giorni ci dicono che queste misure non sono bastate, che sono vicine al fallimento o si sono troppo indebolite.

È certo che la presidenta ha gestito la situazione con il camionista durante la campagna per la sua rielezione tenendolo a distanza, senza rispondere alle sue richieste di settore, né a quelle politiche (creazione delle liste di deputati nazionali e provinciali). In questo modo ha guadagnato punti di fronte alla classe media restia a convalidare le burocrazie sindacali, accomodate sulle poltrone dei sindacati e divenute imprenditoriali – mentre rivendicava il suo come un governo della gente “dal basso”.  Così è riuscita ad aggiudicarsi il voto popolare, quello di ampi settori della classe media.

4. La novità è che la giornata di lotta è stata accompagnata in maniera attiva da settori molto diversi fra loro. Oltre alle organizzazioni e federazioni vicine alla CTA all’opposizione – Federación Agraria Argentina, e la Federación Universitaria Argentina – hanno partecipato settori legati ai movimenti di disoccupati come la Corriente Sindical Combativa, Barrios de Pie e MST Teresa Vive. Si potevano distinguere nei piquetes vari gruppi di sinistra, fra cui partiti e organizzazioni politiche e sindacali, comitati interni, correnti sindacali e studenti, fra gli altri.

La sua composizione sociale è risultata essere differente a quella espressa dalla mobilitazione dell’8 novembre, che ha espresso una forte partecipazione della classe media. L’impattante adesione al paro si è espressa nella forza manifestata anche in settori officia listi, laddove i lavoratori sono riusciti a rompere l’accerchiamento degli organismi sindacali nelle fabbriche, nelle officine e negli uffici, come nel caso della linea metro B, varie fabbriche alimentari come Pepsico e Stani, grafiche come Donnelley, WorldColor e Print Pack, così come il personale docente nella provincia di Buenos Aires guidato dalla CTA ufficialista, per citarne alcune.

Risulta sintomatico il malessere manifestato dai lavoratori del Canal 7 statale di fronte alla censura imposta dalle proprie autorità, allineato con la volontà di rendere pubblica l’adesione alle consegne dello sciopero del 20N. In questo caso al centro del conflitto sta la gestione de La Cámpora e la sua smisurata ossessione per la sorveglianza ideologica e il controllo dell’informazione, così come il posizionamento dei suoi militanti in tutti gli incarichi del canale. Tutta un’ossessione del cristinismo per formare questa burocrazia organica allo stato e acritica, creata e organizzata dal potere. Il governo, così come la CTA ufficialista, hanno provato a minimizzare la rilevanza dello sciopero attribuendolo più alla presenza dei piquetes che impedivano la circolazione che alla decisione dei lavoratori stessi.

Ma Cristina Kirchner è andata oltre, parlando di “ricatti e pressioni”: linguaggio proprio di una destra reazionaria che il governo dice di combattere, con invocazioni alla “libertà di lavoro”, mentre saliva sul podio con un “di me non si sbarazzano”. I piquetes e i blocchi hanno giocato un ruolo importante ma le rivendicazioni esprimono interessi immediati con domande concrete, che includono ampi settori di lavoratori, i quali trascendono le organizzazioni convocanti. Questa è probabilmente la ragione per cui ha assunto tale dimensione.

5. Se qualcosa caratterizza la situazione attuale questa è la sua “evitabilità”: si tratta, almeno nella sua maggior parte, di conseguenze delle decisioni presidenziali, di “errori non forzati” che ha commesso il governo. Come interpretare altrimenti la congiuntura politica, inimmaginabile 12 mesi fa? Impensabile in questa epoca che Cristina Kirchner mediasse con i problemi di oggi, specialmente il clima sociale avverso e in più con una protesta sociale in aumento. Come e perché qualcuno ha potuto sbagliarsi tanto in così poco tempo?

Parte del problema è che Cristina Kirchner è diventata vittima del proprio successo: interpretando male il suo trionfo dell’anno scorso, credendo che i voti ottenuti le davano la ragione in tutto e che niente le avrebbe impedito “mettere fuori gioco” i propri avversari. Dopo l’elezione, invece di aggiustare il tiro provato anteriormente alle elezioni per agevolare le manovre inevitabili nella politica economica – che implicavano ridurre almeno alcuni benefici e aumentare alcune tasse – Cristina ha cambiato drasticamente atteggiamento: ha voluto usare il 54% per mettere da parte senza scrupoli coloro che la sfidassero o che pretendessero continuare ad esercitare un potere autonomo; ha intrapreso guerre distruttive contro il governatore della provincia di Buenos Aires Scioli, possibile candidato presidenziale, e contro Moyano, fra gli altri; senza includere in queste battaglie il deterioramento sociale prodotto di fronte a un’economia che arrancava influenzando la produzione, l’occupazione e il salario.

Ha fallito nell’isolare e liquidare Moyano nei primi sei mesi, e non ha neppure azzeccato le nuove alleanze sindacali (si parla di avvicinamenti della CGT ufficiale con la CGT di Moyano in questi giorni a seguito della rilevanza dello sciopero). L’umore sociale di questi giorni mette in discussione la possibilità della ri-rielezione, fondamentalmente dopo l’8N, elettorato mobilitato che le sarà necessario l’anno prossimo per approvare quella riforma costituzionale che la abiliterebbe per un nuovo mandato. Non sembra strano dunque che appaiano timori paranoici di fronte alla “perdita di controllo della piazza” tradotti in “minacce di una cospirazione destituente”. Al di fuori di CFK, il kirchnerismo manca di un’alternativa presidenziale per le elezioni del 2015. Il sistema di alternanza pensato tra Néstor e Cristina è morto insieme a Kirchner. E’ vero che mancano tre anni, ma anche il peronismo è implacabile nel suo agire. Se l’alternativa della ri-rielezione rimane esclusa si aprirà immediatamente un vuoto di potere ed un’enorme diaspora di coloro che fino al giorno prima erano fedeli ed alleati ufficialisti. Se c’è qualcuno che conosce bene questi movimenti è lo stesso governo; da qui l’urgenza di recuperare il protagonismo e dettare l’agenda politica.

6. Qual è il futuro possibile di fronte alle ultime mobilitazioni, 8N e 20N? Forse ci troviamo al principio di un nuovo scenario politico. Ciò che si trova realmente in gioco va oltre le richieste legittime dei lavoratori del 20N. E’ in gioco il futuro di una situazione politica e dello stesso governo. La combinazione dell’emergenza dei limiti del neo-sviluppismo, dell’impatto dell’8N e dell’offensiva lanciata in questi giorni sui fondi Buitre e la giustizia americana ha posto il governo sulla difensiva, in uno stato di relativa debolezza. Carente di riflessi, è riuscito solamente a screditare le rivendicazioni e a rifiutare le risoluzioni della giustizia statunitense. Ma si trova anche in gioco lo scommettere alla costruzione di una nuova alternativa, che superi le dicotomie pensate: o modello con inclusione sociale o ritorno agli anni ’90 per alcuni; necessità di ricostruire il vecchio welfare del benessere, per altri.

È vero che molti di coloro che si sono mobilitati sono lavoratori formali. Che le centrali sindacali che hanno convocato lo sciopero rappresentano e difendono quasi esclusivamente i lavoratori formali, solo a volte gli informali, quasi mai i disoccupati e precari poveri. Ma il paradosso è che ai piquetes hanno partecipato anche disoccupati, lavoratori informali e precari, costretti dalle misure di forza. Il lavoro informale rappresenta oggi, nonostante l’alto tasso di crescita degli ultimi dieci anni, quasi il 40% della forza lavoro occupata. Quello che la sinistra ed i settori più progressisti del sindacalismo argentino, come la CTA, non arrivano a vedere sono i campi prodotti dal capitalismo del nuovo secolo.

Nonostante misurino la necessità di superare il workfare installato con forza dal 2001 e continuato dal kirchnerismo, rimangono legati al vecchio welfare fordista, trascurando la necessità di costruire un welfare di nuovo tipo. Che riconosca l’auto-organizzazione sociale e la sua forza creativa per produrre ricchezze nel capitalismo cognitivo; che racconti le nuove forme di produzione, che valorizzi l’importanza della conoscenza e che incorpori la nuova forma di sfruttamento del capitale. La crisi del capitalismo finanziario che si propaga già da quasi trent’anni a livello globale è lo specchio della crisi della relazione capitale lavoro che ha segnato il regime fordista di accumulazione e transizione verso un nuovo capitalismo, caratterizzato dalla centralità del reddito rispetto alle variabili “reali” dell’economia o del salario, il prezzo ed il guadagno.

Laddove l’autonomizzazione delle finanze rispetto all’economia reale rappresenta l’altra faccia dell’autonomizzazione del capitale della relazione diretta fra capitale e lavoro asalariato, processo in cui il capitale cerca ancora di controllare la propria vita nella misura in cui è la vita stessa che viene messa a profitto. Dove l’accumulazione del capitale si effettua ora per mezzo dell’esclusione, dello sfruttamento non remunerato della vita, promuovendo una disoccupazione attiva. Si realizza ugualmente attraverso una generalizzazione della relazione debito/credito all’interno del ciclo della vita del capitale e della forza lavoro, dove secondo Lazzarato il capitalismo finanziario non è niente più di un enorme fabbrica di produzione dell’uomo indebitato.

7. Si tratta di lavorare per la riappropriazione del processo di produzione, cioè dell’autorganizzazione sociale e la sua forza creativa, delle nuove forme di vita e della produzione di ricchezza. Si tratta della costruzione di un welfare che vada oltre lo statalismo burocratico, parassitario e corrotto, come l’individualismo proprietario e corporativo basato sul godere del reddito individuale. L’enorme sfida è pensare l’indipendenza e l’autodeterminazione dei singoli esclusi da ogni cittadinanza; precari, disoccupati, condannati alla costruzione di imprese autonome produttrici di povertà e miseria sottomesse agli effetti devastanti della permanente crisi depressiva del capitalismo finanziario. Si tratta di essere contemporaneamente radicali nelle proposte; innovativi nella costruzione di pragmatiche coalizioni sociali, che definiscano le nuove alleanze in grado di costruire una nuova cittadinanza attiva, basata sulla possibilità di agire insieme delle molteplici singolarità senza che queste debbano essere necessariamente identiche.

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