di TONI NEGRI.

[Português]

 

 

 

Viaggiando per lavoro in Brasile ed incontrando alcuni politici ed intellettuali brasiliani, ho posto loro degli interrogativi e ho avuto risposte diverse e talora contraddittorie attorno alla crisi costituzionale in corso ed alla sconfitta del PT (a livello parlamentare e, da ultimo, nelle elezioni amministrative). Dalle risposte a quelle questioni vorrei trarre qualche provvisoria conclusione. I miei interlocutori erano gente di sinistra, di una sinistra brasiliana oggi assai frammentata.

 

Prima domanda: perché le lotte modello Occupy del 2013-14 sono state represse dal governo PT al punto di rovesciarne il segno e di permettere su di esse la presa egemonica della destra? La risposta che ho avuto da esponenti del PT è stata univoca e terribilmente deludente. Da tutti – questo è un punto davvero grave, da tutti senza un minimo dubbio, senza resipiscenza alcuna (anche se spesso con l’imbarazzo del bugiardo) – ho avuto una sola risposta: questi movimenti minacciavano fin dal loro inizio la tenuta della nostra governance. Vi risparmio ulteriori battute, come quando taluno ha sostenuto che le lotte del 2013 fossero ispirate dalla CIA e questo non solo in Brasile ma anche – nel medesimo ciclo – a Istanbul o a Il Cairo… È chiaro che da questa dichiarazione, evidentemente insensata, si poteva trarre la conclusione che il PT aveva ormai un cattivo rapporto le popolazioni metropolitane che, già coinvolte nella crisi economica del Paese e toccate dall’inflessione neoliberale delle politiche di Djilma, avevano chiesto fin dal 2013 al governo ed alle municipalità un cambio di linea.

 

La seconda domanda è stata: perché tanti giovani neri continuano a morire? Risposte, su questo argomento, non mi sono state date. Come da sempre, da quando visito il Brasile, la questione nera è completamente sottaciuta. L’incomprensione di questa situazione, la non volontà di assumerla come problema fondamentale, dopo aver determinato l’impotenza del PT, non dico a risolvere, ma semplicemente ad affrontare il problema delle favelas (fuori dalle dinamiche del capitale immobiliare), ora lo ha precipitato in un vuoto di rapporto che ha non solo permesso ma facilitato l’ingresso della destra religiosa (e non) fra il proletariato nero. La funzione delle chiese evangeliste è sottovalutata nella sua capacità di organizzare i nuovi strati del ceto medio nero dentro e fuori dalle favelas e ha permesso la penetrazione ideologica della destra ed una propaganda di “valori” totalmente soggiogata da proposte reazionarie e/o di restaurazione della moralità etc… Qui si annoda probabilmente uno dei punti centrali della crisi del PT, nella sua perdita di contatto (o comunque di capacità di indirizzo) con il proletariato nero del sistema industriale in crisi (se non in dissoluzione) nelle periferie delle grandi metropoli (São Paulo e Minas Gerais in particolare). È al di dentro dell’ex-classe operaia (spezzatasi fra nuovo ceto medio e moltitudine disoccupata o precaria) che si rivela la più pesante crisi della sinistra – laddove essa era egemone. La caduta di egemonia su questi strati del proletariato metropolitano è sentita dai quadri del PT come un tradimento. Si guarda con stupore all’emergere e all’affermarsi di nuovi “quadri” neri nella destra. Insomma sembra esserci una totale ignoranza delle modificazioni strutturali della produzione e della divisione del lavoro metropolitano. Che si aggiunge all’abbandono, come vedremo, degli strati proletari più poveri.1

 

Terza questione: perché il PT non è riuscito a rispondere all’attacco della destra che gli era portato (a partire dal 2013) facendo reagire le organizzazioni di massa che gli erano legate? Qui le risposte rivelano che il rapporto anche con le organizzazioni tradizionali (il sindacato CUT, il movimento contadino MST etc…)  era ormai divenuto irrilevante, se non in termini propagandistici. Il sindacato era ormai “corporativizzato”, con gli stessi problemi che ha in Europa a fronte dell’iniziativa “imprenditoriale” del padronato finanziario; l’MST era ormai frustrato dal rifiuto o dallo sviluppo troppo lento e contraddittorio delle espropriazioni agricole (e, di conseguenza, radicalizzato su un sordo risentimento nei confronti di un governo che non poteva comunque abbandonare per non essere sottoposto al contrattacco delle forze del latifondo agrario). Sindacati industriali e agricoli finivano dunque per esercitare controllo politico, ed eventualmente repressivo, sui movimenti. Come chiedere loro una reazione organizzata al prevalere della destra? Quanto alle altre organizzazioni di movimento o popolari, anch’esse erano state represse duramente. Si può qui probabilmente comprendere la conquista dell’egemonia sulle proteste metropolitane da parte di una nuova destra che riesce, per la prima volta dopo il 2014, a portare in piazza centinaia di migliaia di persone, in assenza di qualsiasi risposta antagonista. L’elemento che accende e permette alla destra il predominio della piazza si lega alla campagna contro la corruzione che il combinato disposto magistratura/grandi media scatenano contro il PT, cogliendo perfettamente (“tempesta perfetta”) il momento di crisi nel suo rapporto di massa. Il modello utilizzato nell’attacco al PT dalla magistratura/grandi media è espressamente ricalcato su quello italiano di “Mani pulite” (il giudice Moro, che rappresenta il centro dell’iniziativa giudiziaria, lo aveva scritto e teorizzato). Due brevi riflessioni a questo proposito: la corruzione di una buona parte delle élite PT nasce dalla necessità di comperare una “maggioranza” nel parlamento brasiliano dove una maggioranza PT non è mai esistita; si complica poi per l’appetito, costruito nell’abitudine alla corruzione politica di arricchimento personale di molti esponenti del partito. Si tratta comunque di corruzione generalizzata nel sistema politico brasiliano: la forza e l’astuzia della destra (e del sistema giuridico/mediatico) sono state di rovesciarne la denuncia contro il governo del PT. Sembra ora che, oltre che sul disastrato PT, la magistratura stia rivolgendosi contro settori della destra – senza più esercitare, tuttavia, quell’efficacia terroristica che essa ha prodotto sul PT.

 

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Ne seguono due domande. Una prima: perché con tre legislature presidenziali il PT non ha messo mano ad una riforma costituzionale che garantisse la governance dalla necessità di corrompere? E in secondo luogo: perché in quello stesso periodo non ha costruito un sistema di comunicazione/media etc. che permettesse al PT almeno una difesa dai dinosauri mediatici (Globo, Folha etc…) di questo paese? Le risposte che ho avuto sul primo punto, sono state ambigue e confuse. Per alcuni non si poteva ritoccare la costituzione di un paese appena uscito da una lunga parentesi dittatoriale. Conseguentemente, l’idea di governare attraverso corruzione, riprendendo cioè le consuetudine della destra, non sembra aver turbato il progetto del PT fin dall’inizio. Un sistema costituzionale in cui il Presidente viene eletto con il 60% – tali le cifre dei successi di Lula – , in una repubblica federale-semipresidenziale in cui il congresso e il senato non raggiungono – in un sistema elettorale quasi proporzionale – mai la maggioranza (presidenziale) necessaria al funzionamento legislativo ed esecutivo, è un mostro costituzionale, condannato ad instabilità e a diuturna contrattazione – vi lascio immaginare i metodi. Quanto alla questione mediatica, molti dei miei interlocutori sono stati meno reticenti. Mi sembra di aver capito che vi è stato fin dall’inizio dei governi del PT un tacito accordo di fair play con i conglomerati mediatici: nessun attacco nei loro confronti da parte del governo e reciproca lealtà da parte mediatica. Questo accordo si è rotto non appena la destra ha conquistato la piazza e la capacità di esprimere un’opposizione organica. Naturalmente non sto imputando all’ingenuità del PT la responsabilità della caduta del suo governo, della sua maggioranza e, soprattutto, della perdita di egemonia. Il problema sta evidentemente altrove, nell’incapacità politica di resistere all’offensiva neoliberale, di aprire a una risposta moltitudinaria (quale quella accennata nel 2013 da parte dei movimenti metropolitani) ma è fuori dubbio che queste ingenuità, divenute per così dire strutturali, non hanno aiutato.

 

Una nuova questione: perché la crisi economica mondiale è stata percepita con tale violenza in Brasile, al punto di divenire incontrollabile, ovvero controllabile solo con strumenti neoliberali? Qui la risposta è stata più precisa. Abbiamo qui dei documenti, da parte del PT, che ci illustrano la situazione. Dicono: avevamo vinto le presidenziali nel 2014 con una campagna a sinistra (aggiungo io: tentando di riprendere il contatto con i movimenti repressi nel 2013) ma Djilma, appena rieletta, rovescia la sua politica, intimidita dalla forza della crisi e della recessione in atto. Adotta le misure macroeconomiche classiche ma in tal modo, incidendo sulle politiche energetiche, scopre i nervi di forze finanziarie a livello globale e da queste viene una dura reazione. Vi risparmio la narrazione del seguito che non è altro che la narrazione di quanto è avvenuto, ossia la formazione di un blocco avversario che vede il partito tradizionalmente alleato del PT – il PMDB – convertire in maniera subitanea la sua linea in termini neoliberisti; un tentativo di Djilma di correggere la linea…immediatamente infranto. È come dire che la frittata neoliberale, timidamente tentata, non è riuscita al PT mentre invece è stata imposta dalla destra con il “colpo di Stato” – una destra ormai capace, questa la sua “novità”, di discriminare le politiche finanziarie sulla scena globale rispetto al privilegiare misure semplicemente a favore dei ricchi – come faceva tradizionalmente. Ma com’è triste sentire uomini che erano stati militanti, marxisti, compagni di movimento, interpretare tutto in termini di bilancia governamentale e parlamentare quando avevano perduto l’occasione di rilanciare un’azione di sinistra e di rinnovare lo stesso partito reprimendo le lotte del 2013! Si noti inoltre che nel 2008 alcuni di loro avevano considerato che dinnanzi alla crisi erano state costruite sufficienti barriere di difesa. Si trattava evidentemente di un’illusione. Ma loro erano sinceramente convinti di aver costruito un ciclo indipendente dal comando finanziario del Nord – ciclo finanziato dal petrolio e difeso dall’intesa politica dei Brics2

 

Altra questione: che cos’è questa benedetta “classe media” o “ceto medio” che le politiche del PT al governo hanno creato e che – incomprese – avrebbero commesso parricidio? Qui le risposte che ho avuto, riportano intere al 2013. Per alcuni del PT, il 2013 è stato un delitto che il popolo compiva contro se stesso, contro il potere popolare – insomma è come se una bestia immonda si fosse allora rivelata… e rivoltata. È strano quanto l’incomprensione politica della necessità di “contropoteri” agenti nella società possa rivelarsi letale per le forze della vecchia sinistra divenute socialdemocratiche! C’è un’incomprensione totale dell’azione di minoranze moltitudinarie attive. Parlando con ex-funzionari del Municipio di São Paulo – già passato alla destra nelle recenti elezioni – che erano stati la causa accidentale dei processi di lotta del 2013 quando avevano rifiutato di abbassare il prezzo dei trasporti, la mia percezione dell’incapacità di comprensione dei meccanismi elementari del potere da parte di questi burocrati, è stata confermata. C’è nella loro testa una doppia illusione: che la legittimità delle lotte non possa andare oltre la fabbrica, che le lotte sociali siano anti-democratiche. Ogni tecnocrate comprende perfettamente che la metropoli è ormai il meccanismo centrale nell’accumulazione capitalista, che i processi di estrazione di plusvalore la investono ma non vuol capire che la forza lavoro metropolitana va, proprio per questo, in qualche maniera riconosciuta ed eventualmente retribuita – che quel “comune” metropolitano sfruttato va in qualche modo “salarizzato” (per esempio, attraverso la gratuità dei trasporti in una metropoli di 38 milioni di abitanti, di un’estensione e di un caos che rendono la mobilità quotidiana un’ardua impresa). Comunque non c’è risposta precisa a cosa sia questa fantomatica nuova classe media. Sociologicamente, essa è quel che abbiamo già notato esser divenuta una classe operaia evoluta verso nuove forme di composizione cognitiva e metropolitana, ora attaccata dalla crisi e dalle politiche neoliberali: essa difende conquiste che aveva creduto acquisite e si ribella ad una situazione miserevole verso la quale è respinta. Politicamente, questa moltitudine metropolitana è classe produttiva, che vuol essere riconosciuta come tale. I movimenti ne hanno rappresentato una sorta di propedeutica politica, ed indicato – dentro un avvicinamento al potere – un tentativo di esercizio di contropotere. Di conseguenza, il fallimento dell’azione dei movimenti, in seguito alla repressione, toglie ogni possibilità di recupero e di mediazione al governo della città: lascia via libera ad azioni rivendicative che si rivolgano a poteri di mediazione e decisionali non più espressi da volontà democratiche e soggetti ad un controllo democratico. Gli strumenti di questo sono stati disattesi e/o distrutti. Si aggiunga che tutto ciò si svolge su un terreno di rovine. A São Paulo, semplicemente circolando in città o in alcune periferie di ceto medio, la miseria trabocca: miseria indiana ormai, poveracci stesi per terra- non si capisce se dormienti o morenti -, questuanti ovunque, violenza notturna etc… Spettacoli intollerabili.

 

Nuova domanda: qual è il peso e qual è il gioco delle varie componenti della destra brasiliana (la fascista antica, la moderna neoliberale, la nuova destra militante, il fondamentalismo evangelico, la destra cattolica…)? Se il ceto medio in crisi è stato l’elemento determinante del sommovimento reazionario, perché e come?  Vi risparmio la testimonianza di alcune delle persone, appartenenti al PT, che ho incontrato: perseguitate e sottoposte ad una specie di linciaggio pubblico, dai passanti, da conoscenti, da bottegai – uno mi ha raccontato di essere stato apostrofato come “comunista” e “ladro” nella business di un aereo… minacce e manifestazioni sotto le finestre dei “petisti”, denunciati come affossatori della nazione, la crisi economica è loro imputata… senza dimenticare ( e non va certo dimenticato) che si attende l’incarcerazione dello stesso Lula. Tornando a noi: questa è per esempio una novità, il fatto cioè che una destra aggressiva, squadrista, si manifesti oggi sulle strade. È dai tempi della caduta della dittatura che questo non avveniva. La caduta di potere municipale del PT è stata massiccia nelle elezioni dell’inizio di novembre, nessuna città è stata riconquistata laddove il PT ne aveva quasi monopolio. Dunque, che cos’è la nuova destra? Per molti versi indefinibile, è al momento una forza indistinta, ferocemente anti PT, spesso anti-sindacale… gli elementi ideologici classici del neoliberismo la attraversano. Accetta le pesantissime operazioni che il nuovo governo ha da subito deciso: rigore budgetario, flessibilizzazione del mercato del lavoro e soprattutto la decisione di limitare – costituzionalmente- per vent’anni, la progressione delle spese dello Stato al ritmo dell’inflazione (identica operazione in Argentina da parte di Macri). Il deficit del sistema delle pensioni giustificherebbe inoltre il fatto di fissare a 65 anni il limite di pensionamento, finora fissato ai 35 anni di anzianità di pagamento. Stato minimo, privatizzazioni, eccetera costituiscono una prospettiva prossima. Potrà tenere questa nuova destra per molto tempo o è essa destinata a dissolversi? Su questo le opinioni sono diverse, il problema è aperto, ma è chiaro che una nuova fase si è aperta. Il Brasile è un paese potenzialmente ricchissimo ma la sua struttura sociale è forse più ingiusta (quasi assurda) di quanto lo siano altri Paesi dal potenziale analogo. Una destra che mantenga intatte le attuali condizioni sociali, è impensabile: il passaggio del PT al potere ha da questo punto di vista segnato una svolta decisiva. Per la destra, mantenersi al potere significherà allora sconvolgere le strutture democratiche dello Stato. C’era qualcosa di patetico nei miei interlocutori PT, quando li rimproveravo per il loro comportamento nel corso dei moti del 2013-14: “ma noi difendevamo lo Stato di diritto!”. Ma non era più difendibile, questo non avevano capito – quindi meglio scommettere sui contropoteri dei poveri che essere travolti dalla controrivoluzione, dallo sconvolgimento autoritario dello Stato di diritto – che la destra non può non operare. Che cos’è la destra, dunque? È una nuova macchina di potere che non potrà che consolidare, in forme autoritarie, il comando finanziario sullo sviluppo del Paese. In più, a questo tronco si innesta una destra razzista, schiavista, bianca e oligarchica che da sempre, anche quando non ha dominato, ha imposto la sua volontà in Brasile. Tenendo presente questo dato, è in Brasile irripetibile qualsiasi slogan indignados che equipari sinistra e destra. In Brasile è stato anticipato Trump.

 

Ne viene un’ultima domanda: che cosa resta del partito (PT)? Perché non ha prodotto un ricambio di quadri, un ringiovanimento del partito? Perché si è rivelato un corpo molle sul quale l’affondo del nemico è stato facile e profondo? Il mio parere è che il PT non riuscirà più a presentarsi come forza egemone. Per ben che vada, diventerà uno dei tanti partitini di sinistra che affollano la scena brasiliana. Diverso è tuttavia il parere di alcuni dirigenti del PT, cosa non irrilevante data l’intelligenza strategica che continuano ad esprimere. Sostengono che il partito deve rinascere ed è interessante la forma nella quale ne immaginano la rinascita. Deve tornare all’antico e cioè rinascere come movimento. Un movimento orizzontale che si proponga in tutte le fasce della società laddove si lavora e si è sfruttati. La situazione è completamente mutata da quando il partito è nato e i processi di sfruttamento si sono estesi a tutta la società: è lì dentro, dunque, che bisogna agire. E tuttavia, oltre l’azione di movimento nella società, è necessaria la verticalità di un’organizzazione. Il Brasile è un continente, un’azione riformatrice non può che passare attraverso un governo, una verticalità mediatrice che sappia proporsi all’altezza di quel che esige il Paese e della terribile complessità delle questioni che insorgono e che vi si oppongono. E qui essi rivendicano nuovamente il fatto di aver condotto una politica qualificata, oltre che per la rivoluzione interna al Brasile, per aver compreso la necessità dell’unità continentale dell’America Latina e per averla aperta ad un’iniziativa politica, intercontinentale – quella dei Brics. Rappresentanza orizzontale, unità continentale, connessione con i Paesi dell’emisfero Sud contro il capitalismo finanziario: questo continua a sembrare loro il quadro dentro il quale deve rinascere il partito. Che dire, a questo punto? Il fatto che questi dirigenti non vogliano discutere del 2013 e che lo imputino alla CIA, è cosa abbastanza comica – come ho già detto. Bisogna tuttavia ben ammettere che in una quindicina di anni questi stessi uomini hanno cambiato il Brasile e hanno tratto fuori dalla povertà cinquanta milioni di persone. E infine, bisognerà ammettere che il PT è stato piegato dal suo proprio successo. In realtà, quel che è differente, nell’esperienza brasiliana rispetto a quella di altri Paesi, è il fatto che la dirigenza PT è stata sconfitta da quel ceto medio che aveva emancipato da una condizione di subalternità e che talora aveva addirittura creato dalle ceneri di una classe operaia ormai vetera. Più che una sconfitta politica, quello che sta succedendo in Brasile, sembra alla vecchia dirigenza una nemesi antropologica – e forse lo è. Indubbio è inoltre il fatto che quelle nuove generazioni, che avrebbero potuto rappresentare un’ulteriore avanzamento nella rivoluzione brasiliana, sono state invece preda dell’avanzata della destra neoliberale. Non so dunque che cosa avverrà del PT. In ogni caso è escluso che possa ridiventare quel che nel momento più felice è stato, una forza capace di egemonia. Comunque non è tutta merda da buttare, come vorrebbero alcuni: c’è un sacco di vita, ancora, attorno a quel partito e ogni movimento che voglia assumersi il compito di ricostruire egemonia, deve tenerlo presente.

 

Qui vanno aggiunte un’esplicita difesa di Lula “rivoluzionario” ed anche una lettura non derisoria del suo essere “uomo di Stato”. Se infatti è inaccettabile che egli abbia considerato le manifestazioni del 2013-14 come promosse dalla CIA, è fuori dubbio che l’iniziativa di Lula sul terreno latino-americano ed internazionale per garantire la tenuta interna e lo sviluppo esterno del progetto petista, abbia in qualche modo danneggiato, se non strappato, la rete del comando finanziario globale e forse indicato un modo per aggirarne il controllo: costruire unità continentali omogenee dalle quali esercitare resistenza e ridefinire il potere sul terreno globale. Chiunque non tenga presente questi presupposti non comprende quanto il processo di inserimento nel sistema globale del Brasile e dell’America Latina ( la condizione GlobAL) sia avanzato. Lula ha intuito un passaggio di rottura: unità continentale AL, apertura – con tonalità non solo tattiche – ai Brics, con particolare interesse ai più “sudici” – Africa del Sud, India e soprattutto Iran. Questa intuizione di Lula (permettetemi di esprimere rispetto alla sua intelligenza rivoluzionaria) è leniniana. Questa è una ragione di più per insistere sul fatto che un’alternativa al PT, oltre a svilupparsi sul terreno di classe e ad aprire alla comprensione del problema “nero” nei processi organizzativi, deve raccogliere dal PT quell’intuizione politica globale (fuori dalle buffonate populiste del bolivarismo ed in rottura con il riflusso nazionalista del progressismo andino).

 

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Movimenti ricostruttivi? Non so se ne diano, e neppure se nuove esperienze organizzative, capaci di futuro stiano dandosi. È certo tuttavia che in Brasile si dà la sensazione generalizzata che qualcosa di nuovo stia avvenendo – contrario ed irriducibile alla destra neoliberale e razzista. È qualcosa di nuovo che va oltre l’attesa di una crisi interna alla classe neoliberale di governo, supponendo che l’attività giudiziaria possa ora far danni in quella direzione. Credo comunque poco al fatto che qualcosa di nuovo possa subito nascere. Anche in Brasile il ciclo neoliberale è lontano dal suo compimento ma è evidente che il “colpo di Stato”, oltre a colpire il PT, ha colpito il sistema e la costituzione dell’ ‘88, lo ha indebolito, ha forse bloccato le articolazioni e la capacità di mediazione del potere. È qui dunque che mi sembra di poter dar conto degli incontri con compagni dei movimenti, attenti all’attuale fasi di crisi. Da loro mi sono fatto indicare linee di ricomposizione e di programma per ricostruire una forza antagonista.

Ecco i punti più importanti che ne ho ricavato:

1) La denuncia della violenza della polizia, dello Stato. Una violenza non rivolta solo contro i neri ma contro ogni insorgenza sociale – violenza dell’istituzione, in una situazione dove “l’eccezione” è norma. Si tocca la normalità di una violenza schiavista e coloniale, mantenuta e sviluppata nelle/dalle istituzioni dello Stato. Su questo punto l’attenzione unanime è concentrata sullo sviluppo di strategie di resistenza che conducano fuori dalle condizioni di eccezionalità delle quali si soffre. Viene fuori qui una caratteristica del dibattito autonomo brasiliano laddove, nella qualificazione delle forme di lotta e di programma, la richiesta di costruire “politiche del desiderio” diviene centrale. Si intendono così azioni politiche nelle quali prevalgano le componenti desideranti, forme di aggregazione nelle quali i punti motore siano gli aspetti creativi del fare politica. Pacifismo contro la polizia? No di certo, ma creazione di gioiose forme di resistenza contro la violenza e la cieca brutalità del potere. Si capisce qui perché Felix Guattari sia ancora tanto citato in Brasile.

2) Ci sono lotte in corso (oltre che contro le politiche del governo sull’assistenza ospedaliera) soprattutto nelle scuole secondarie, lotte che hanno coinvolto gran parte di queste istituzioni a São Paulo e che adesso si sono trasferite nel vicino Stato del Paranà. Sono lotte per il finanziamento pubblico della scuola e per l’autonomia dell’insegnamento. Lotte lunghe, occupazioni della durata di mesi, condotte dai ragazzi e sostenute dalle famiglie. A queste lotte sulla scuola si uniscono, assai frequenti, lotte di stile argentino, da parte dei movimenti femministi, insieme contro la violenza sessuale e contro la violenza sulla riproduzione (rivendicazioni: reddito garantito, salario al lavoro domestico etc…). In tutta l’America Latina alla sconfitta dei governi progressisti seguono soprattutto lotte nelle scuole e lotte condotte dalle donne. Si tratta di nuovi fronti sociali – centrali nella lotta di classe. Il sapere e la riproduzione costituiscono infatti nodi essenziali che il capitale deve dominare – forme dirette dell’emergenza di un tessuto biopolitico sul quale si svolge lo scontro di classe. È lì che nuovi spazi sociali di lotta anticapitalista si aprono.

3) E poi la lotta delle popolazioni nere, innanzitutto contro la strage degli innocenti, ossia l’eccidio continuo dei giovani ai bordi delle favelas. Ma la questione nera non emerge solo a proposito del genocidio dei giovani neri – la questione nera è dappertutto nella società brasiliana, costituisce “l’eccezione” su cui è fondata la “costituzione materiale” del Paese. Anche la questione della povertà è completamente legata alla dimensione razziale-schiavista della società brasiliana. Non è pensabile l’accedere del Brasile ad una piena democrazia se la questione nera non viene risolta. Le lotte dei neri costituiscono dunque il vero sommovimento della società brasiliana. Ho discusso con giovani compagni e vecchi attivisti neri, questa la loro conclusione: senza la direzione di una forza militante nera sarà impossibile la costruzione di una qualsiasi nuova forma di organizzazione autonoma in Brasile e di ogni rivolgimento politico di liberazione.

4) Le forze principali che oggi si muovono sul terreno sociale a São Paulo, in particolare il movimento contro le tariffe dei trasporti urbani e il “movimento dei senzatetto”, portano la discussione su un terreno immediatamente politico. Questi movimenti, protagonisti delle lotte del 2013/14, gli uni per averle iniziate, gli altri perché vi hanno immesso la forza di decine di migliaia di famiglia “senzatetto”, sono anche quelli che hanno una consistenza numerica (quadri di organizzazione) ed un rapporto di massa importanti. Sono forze che producono programma politico nella metropoli e che, in maniera nuova, costituiscono contropoteri sociali a livello metropolitano. Nella discussione con questi compagni, il tema del “comune” è centrale, reso immediatamente evidente – così com’è – dalle lotte sulle tariffe del trasporto e da quelle sulla casa. Il “comune” lo si può tradurre – dicono questi compagni – in obiettivi immediatamente agibili. Il dibattito ha inoltre sottolineato l’importanza dello “sciopero sociale” come forma di lotta che può unificare l’insieme delle forze che si agitano nel contesto metropolitano. Resta il fatto che le grandi manifestazioni di massa (e pacifiche) sono ancora considerate l’arma fondamentale.

5) Che fare? La conclusione di molti di questi compagni di movimento porta sul fatto che il PT è ormai una “sinistra bianca”, pallida nei confronti della questione razziale e molle nei confronti delle politiche neoliberali. Esso ha perso il rapporto con la società e non potrà più essere locomotiva dello sviluppo politico. Bisogna dunque ritrovare forza politica e costruire una nuova organizzazione sociale e politica a partire dai movimenti. L’autonomia dei movimenti è ora fondamentale per iniziare una nuova stagione politica.

 

E come? Il punto centrale – come si è visto – sarà quello di declinare il (progetto del) comune come tema unificante delle lotte. Il “reddito universale incondizionato biopolitico” è in questo quadro la trama sulla quale possono svolgersi il discorso politico e la mobilitazione dalla difesa della “bolsa familia” fino alla gratuità dei trasporti metropolitani. E sempre in questo quadro vanno esaltati altri tre campi di lotta: 1. l’intervento sulla scuola e sul sapere; 2. sul lavoro di riproduzione (in particolare quello femminile); 3. sulla questione razziale e la povertà. Il primo intervento sulla scuola e sul sapere è centrale nell’attuale fase di accumulazione capitalista sul terreno cognitivo. Non a caso la scuola è divenuta uno dei punti centrali di costruzione della nuova legittimità neoliberale. Le lotte in corso sul terreno della scuola sono perciò strategiche e in esse possono costruirsi nuove avanguardie. Ma il discorso può essere allargato e probabilmente è proprio da quest’angolo – quello della critica e dell’intervento sul sapere – che la tematica del nuovo ceto medio potrà essere affrontata – perché è qui, dentro questa composizione sociale e produttiva, che il sapere è soprattutto sfruttato. Il ceto del lavoro intellettuale e di servizio costituisce infatti ormai – anche in Brasile – la medietà sociale ed è qui che il plusvalore è soprattutto estratto. Quanto alla lotta sulla riproduzione, l’iniziativa argentina sembra risuonare anche in Brasile come scadenza di movimento. Di quel che tocca alla questione razziale e ai temi della povertà abbiamo già detto. Da São Paulo potrebbe forse imporsi un movimento che combina queste diversi ma convergenti linee d’azione. Questo è quanto mi è sembrato di comprendere nell’interrogare i movimenti autonomi di São Paulo.

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  1. Alvaro Garcia Linera sottolinea fenomeni analoghi in tutti i Paesi dell’America Latina passati attraverso esperienze progressiste. Si vedano questi brani tratti da http://www.consuladodebolivia.com.ar/2016/05/29/disertacion-del-vicepresidente-bolivia-alvaro-garcia-linera-la-universidad-buenos-aires/.

    En lo social, en Brasil, en Venezuela, en Argentina, en Bolivia, en Ecuador, en Paraguay, en Uruguay, en Nicaragua, en El Salvador, vamos a asistir a una potente redistribución de la riqueza social. Frente a las políticas de ultra-concentración de la riqueza, que había convertido al continente latinoamericano en uno de los continentes más injustos del mundo, desde los años 2000, a la cabeza de gobiernos progresistas y revolucionarios, asistimos a un poderoso proceso de redistribución de la riqueza. Esta redistribución de la riqueza va a llevar a una ampliación de las clases medias, no en el sentido sociológico del término, sino en el sentido de su capacidad de consumo. Se amplía la capacidad de consumo de los trabajadores, de los campesinos, de los indígenas, de distintos sectores sociales subalternos”.

     

    “El segundo problema que estamos enfrentando los gobiernos progresistas es la redistribución de riqueza sin politización social. ¿Qué significa esto? La mayor parte de nuestras medidas han favorecido a las clases subalternas. En el caso de Bolivia el 20% de los bolivianos ha pasado a las clases medias en menos de diez años. Hay una ampliación del sector medio, de la capacidad de consumo de los trabajadores, hay una ampliación de derechos, necesarios, sino, no seríamos un gobierno progresista y revolucionario. Pero, si esta ampliación de capacidad de consumo, si esta ampliación de la capacidad de justicia social no viene acompañada con politización social, no estamos ganando el sentido común. Habremos creado una nueva clase media, con capacidad de consumo, con capacidad de satisfacción, pero portadora del viejo sentido común conservador”. 

  2. si veda in proposito: https://www.pagina12.com.ar/diario/elmundo/4-112803-2008-10-05.html