di BEPPE CACCIA e SANDRO MEZZADRA.

Andrea Ypsilanti è una figura anomala nel panorama politico tedesco. Militante della SPD in Assia, la regione di Francoforte, ha avuto responsabilità politiche importanti negli anni scorsi, come lei stessa racconta all’inizio della nostra intervista. Dal 2010, tuttavia, il suo nome è legato a doppio filo all’Institut Solidarische Moderne (ISM), del cui comitato direttivo è una delle portavoce. L’ISM lavora a dare sostanza programmatica alla prospettiva di un governo di sinistra (“rosso-rosso-verde”) in Germania, riunisce al suo interno non solo esponenti dei tre partiti ma anche attivisti dei movimenti ed è diventato con il passare degli anni un interessante laboratorio politico, noto per la sua spregiudicatezza e per la radicalità delle sue posizioni. Incontrare Andrea Ypsilanti in questi giorni (20 febbraio 2017) è un buon modo per avere un’introduzione di prima mano ai temi fondamentali della politica tedesca mentre il Paese si avvia alla campagna per le elezioni del prossimo settembre.

Vorremmo cominciare chiedendoti di presentare brevemente il tuo percorso politico e di inquadrare in questo percorso il tuo impegno attuale.

Sono deputata al parlamento regionale dell’Assia, ormai da diciotto anni. Attualmente sono impegnata in modo particolare, quasi a tempo pieno, sulla questione dell’accoglienza dei profughi. Nel 2007/2008 sono stata candidata della SPD alla Presidenza del governo dell’Assia, e dopo le elezioni ho tentato di formare un governo rosso-rosso-verde. Diciamo che non ha funzionato, senza entrare ora nei dettagli del rapporto con la direzione del mio partito: sarebbe stato il primo governo di questo tipo in un Land dell’ovest, e all’epoca era ancora un assoluto tabù. Successivamente, con molti altri (tra cui Katja Kipping, attuale segretaria della Linke, ma anche con molti attivisti e intellettuali), ho partecipato alla fondazione dell’ISM. La convinzione alla base di questa decisione era che ci fossero in Germania molte persone che non si sentono rappresentate da nessun partito ma vogliono cambiare qualcosa politicamente. Fin dall’inizio, dunque, l’ISM guarda oltre i partiti, alla società, alla cultura in senso ampio. Torneremo a parlarne in questa conversazione, immagino.

Nonostante l’esperienza di cui ci hai parlato, sei rimasta fino a oggi all’interno dell’SPD. Che tipo di partito è oggi la socialdemocrazia, dopo gli anni di Schroeder e dopo le due “grandi coalizioni”?

I sondaggi hanno registrato impietosamente, negli ultimi anni, il calo di consenso e di attrattività della SPD. Io riconduco questa crisi all’“Agenda 2010”, la riforma del mercato del lavoro e della previdenza di Gerhard Schroeder, del 2003: ha provocato ferite troppo profonde, sul terreno del lavoro e dei diritti sociali, e queste ferite si sono manifestate non solo nei sondaggi ma anche in tutte le ultime elezioni. Questa è una prima cosa. Poi siamo entrati nelle grandi coalizioni, e non si tratta di negare che i socialdemocratici abbiano effettivamente ottenuto qualche miglioramento, il salario minimo ad esempio. Ma quello che il partito ha completamente smarrito è un orizzonte strategico oltre la formula della grande coalizione. Molto semplicemente: quali prospettive esisterebbero per i socialdemocratici se non fossero all’interno di una grande coalizione? Attorno a questa domanda è venuto meno il dibattito, non si è più spesa nessuna immaginazione politica. Non solo: il partito ha cessato di lavorare programmaticamente come partito. La base stessa del partito si è completamente adattata alla mentalità tecnocratica della dirigenza, ha fatto propria questa mentalità: ha perso ogni vitalità, ogni propensione al dibattito, alla controversia. Il partito negli ultimi anni ha vissuto questa crisi profondissima.

Questo ha a che fare con la composizione, sociale e generazionale del partito, naturalmente…

Certo! Subito dopo il varo dell’“Agenda 2010” centinaia di migliaia di persone hanno abbandonato il partito. Era naturalmente la componente critica della militanza, quella che voleva una politica diversa dalle “riforme” di Schroeder. E hanno spiegato chiaramente perché se ne andavano. Quelli che sono rimasti hanno tutti in qualche modo un compito, una carica, una posizione, un mandato. Questa è la base materiale di una lealtà al partito che ha fatto sì che nel dibattito interno non vi fossero più resistenze, posizioni in controtendenza. Il partito è cambiato profondamente, siamo un partito vecchio e dominato da uno spirito da funzionari. Certo, esiste ancora la storica organizzazione giovanile, gli Jusos, che di tanto in tanto esprimono posizioni critiche. Ma non è nulla rispetto allo spirito di ribellione della mia generazione, quando dietro agli Jusos c’era l’esperienza del ’68. E questo ha anche a che fare con il fatto che questi giovani sono cresciuti soltanto nel neoliberalismo, non hanno appunto alle spalle un’esperienza di rivolta, di resistenza. Vengono formati allo spirito da funzionari, alla lealtà già nella scuola. Anche contro l’“Agenda 2010” sono stati più i pensionati che i giovani a esprimere opposizione! E per quel che riguarda i giovani che stanno fuori dal partito, e che magari si impegnano politicamente nei movimenti, la SPD non esercita più nessuna forza di attrazione, su temi come quelli ecologici ad esempio non ha nulla da dire, non ha un’idea alternativa di futuro: alla fine dei conti non può che apparire come il partito della conservazione dell’esistente, al più con l’obiettivo di evitare il peggio.

E qual è oggi il rapporto della SPD con i sindacati, quel rapporto storicamente alla radice della forza del partito?

Posso solo dire che il rapporto in questi anni è stato tutt’altro che semplice, ci sono state molte tensioni anche per quel che riguarda l’“Agenda 2010”. Oggi ci sono dei nuovi avvicinamenti, ma bisogna sottolineare che anche il sindacato, preso in se stesso, non ha assolto al suo mandato politico: anch’esso non ha fatto altro che impegnarsi per evitare il peggio, per fare qualcosa per la “parte che lavora” della società, ma si è ben guardato dall’intervenire sulle nuove povertà, sull’estensione dei rapporti di lavoro precari. I sindacati tedeschi devono essere criticati da questo punto di vista: esattamente come la SPD sono rimasti totalmente interni allo status quo, al più con un atteggiamento difensivo. Sia chiaro: ci sono nei sindacati, come in fondo nella SPD, persone che la pensano diversamente, che resistono e che si ritrovano in coalizioni a cui io stesso partecipo, come Europa neu begründen (“Rifondare l’Europa”). Ma le élite dei funzionari hanno questo tipo di posizione: e penso che anche nel caso della crisi greca, i sindacati tedeschi avrebbero potuto e dovuto fare molto di più!

Nella SPD, tuttavia, sembra essere successo qualcosa di nuovo. La candidatura di Martin Schulz alla guida del governo ha repentinamente cambiato i risultati del partito nei sondaggi, con un guadagno di oltre il 10 % nel giro di un paio di settimane, fino al sorpasso di domenica scorsa nei confronti della CDU. Attorno a Schulz pare essersi determinato un entusiasmo inatteso, e il candidato proprio in questi giorni ha dichiarato la sua intenzione di mettere in discussione proprio l’“Agenda 2010”. Come valuti questo fenomeno?

Fermo restando che anch’io sono stata relativamente sorpresa dalla misura del successo di Schulz, credo che ci siano tre punti che vanno tenuti in considerazione per comprenderlo. In primo luogo tutti erano contenti che il candidato non fosse qualcuno dell’establishment berlinese del partito, non Sigmar Gabriel, non Andrea Nahles, non uno dei nomi dell’apparato ma qualcuno che viene in qualche modo da fuori, che non può essere appunto identificato con l’“Agenda 2010”. Martin Schulz non l’ha mai criticata apertamente, ma non era coinvolto, era in Europa non a Berlino. Il secondo punto è per me il più importante: sono convinta che oggi in Germania siano molto diffusi un interesse e una preoccupazione di fondo per l’Europa. Questa questione non ha mai giocato un ruolo decisivo nella politica interna tedesca, ma oggi che l’Europa sembra in discussione, con il Brexit, con lo stesso Trump, con l’ascesa di partiti populisti di destra anti-europei c’è una reazione molto forte in Germania, in difesa dell’Europa, nonostante gli errori, le vere e proprie catastrofi degli ultimi anni… E Martin Schulz rappresenta in qualche modo l’Europa: era in Parlamento, e quindi non viene identificato con i fallimenti dell’Unione Europea ma piuttosto con una “speranza” per l’Europa. L’interesse per l’Europa in Germania, in questo momento, è davvero stupefacente, lo si può notare dalla partecipazione ai dibattiti, alle manifestazioni che pongono all’ordine del giorno la questione europea. C’è poi un terzo punto che spiega il successo di Schulz: semplicemente, c’è una parte crescente della società tedesca che è stanca di Angela Merkel. Sono in qualche modo stupita, ripeto, per la rapidità del successo di Schulz, mi sono chiesta se sarebbe durato. Ma per quanto soltanto ora, e molto timidamente, stia cominciando a fare dichiarazioni sui contenuti della sua politica (la critica all’“Agenda 2010”, l’assicurazione di un impegno per stabilizzare le pensioni), sembra essersi affermato come portatore di una nuova speranza. E per quanto nel partito ci siano naturalmente molti che non vedono di buon occhio le sue posizioni, lo sosterranno fino alle elezioni, semplicemente perché in questi anni non sono stati in grado di trovare nessuna soluzione alla crisi del partito stesso.

È molto interessante per noi, naturalmente, quel che dici sull’Europa. La Germania sembra essere da questo punto di vista in controtendenza rispetto al resto del continente, forse anche per la banale ragione che a dispetto di molte retoriche la Germania ha guadagnato molto dall’integrazione europea. Pensi che quella che hai descritto come una profonda preoccupazione per l’Europa possa essere la base per una politica che punti a rinnovare profondamente l’Unione Europea?

Deve essere così, anche se Martin Schulz finora ha detto molto poco in merito, e in particolare non si è espresso sulla continuità delle politiche di austerity, sulla questione greca, sul modo in cui si possono rafforzare i diritti sociali in tutt’Europa. Ma vi ripeto: sono convinta che ci sia oggi in Germania una tensione in qualche modo europeista, un desiderio di una “buona Europa” che non si esprime ancora in rivendicazioni precise, ma è tangibile nell’opinione pubblica, nei movimenti, nelle manifestazioni, nei dibattiti, nella partecipazioni dei giovani in particolare. Il timore di perdere l’Europa, di tornare alla frammentazione politica del continente è molto grande.

Sulla questione europea c’è stata la proposta di Merkel, a Malta, di un’Europa a due velocità. Che tipo di ricezione ha avuto questa proposta nel dibattito pubblico in Germania?

Sinceramente si tratta di una proposta che non ha ricevuto particolare attenzione (semmai la questione dell’Europa a due velocità è un tema che in modo ricorrente viene discusso nella sinistra e nei movimenti, senza che si sia pervenuti a una posizione univoca). Angela Merkel continua a essere sotto pressione all’interno del suo schieramento, in particolare da parte della CSU bavarese, per quel che riguarda la questione dei profughi. E farà tutto il possibile per “risolvere” questa questione, con proposte che vanno sempre più nel senso di una “esternalizzazione”, ad esempio con l’apertura di campi di raccolta in Nord Africa. Voglio sperare che non troverà nessun tipo di appoggio nella SPD! In ogni caso, Merkel si impegnerà in primo luogo su questo fronte, mentre non credo che abbia la forza – e forse neppure l’intenzione – di imporsi su Wolfgang Schäuble per quel che riguarda la questione dell’austerity. Sono anzi convinta che Merkel sia a favore della continuità delle politiche di austerity con tutte le conseguenze che questo ha per il futuro dell’Unione Europea. E se posso dire qualcosa che non ha a che fare con la Germania, mi stupisce molto il fatto che in Francia questa questione non sia al centro del dibattito elettorale.

Anche in Francia, tuttavia, c’è stato qualcosa di inatteso. Benoît Hamon, il candidato socialista che a sorpresa ha vinto le primarie, propone il reddito di cittadinanza come base per una complessiva riorganizzazione del Welfare. È una rottura significativa con la tradizione “lavorista” della socialdemocrazia. Ci sono segnali in questo senso anche in Germania?

C’è naturalmente una discussione su questi temi, ma purtroppo non all’interno della SPD. Le dichiarazioni di Martin Schulz si riferiscono al mondo del lavoro dipendente inteso in senso molto tradizionale. “Ci occupiamo di quella parte della popolazione che lavora e che si attiene alle regole”: è una frase tipica della retorica socialdemocratica, orribile! È una politica che esclude strati sociali e questioni fondamentali: chi non lavora, chi vive condizioni di precarietà, i grandi temi ecologici, la questione della redistribuzione della ricchezza, il problema di un nuovo rapporto tra lavoro e attività di cura. Le posizioni di Schulz, insomma, sono estremamente tradizionali, questo deve essere chiaro.

Veniamo alle elezioni di settembre e alle prospettive che si apriranno. Hai parlato all’inizio del tuo impegno per la formazione di una coalizione di sinistra, rosso-rosso-verde, in Assia, nel 2008. L’ISM, di cui sei una delle esponenti più in vista, continua a lavorare per questa prospettiva. Come valuti oggi le chances per un simile governo?

Be’, intanto diciamo che dal mero punto di vista dei numeri la crescita della SPD rende un governo rosso-rosso-verde più probabile. Sinceramente, sei mesi fa non avrei mai pensato che questo potesse accadere. Naturalmente una variabile importante è da dove vengono questi voti per la SPD: sono voti di elettori delusi che ritornano al partito, o vengono dai verdi se non addirittura dalla Linke? Non è una cosa chiara, per ora. Ma io penso che il campo elettorale dei tre partiti “progressisti” si stabilizzerà, e con la SPD di Martin Schulz un governo rosso-rosso-verde è possibile: la questione è a quali condizioni, e gli altri due partiti devono riflettere a fondo su questo. I verdi, in fondo, sono diventati un classico partito liberal-borghese, ma la Linke deve aprire una discussione: ci limitiamo a difendere lo status quo, con un progetto “tattico” volto ad assicurare qualche conquista per i ceti sociali più deboli? In ogni caso, le cose sono per ora del tutto in movimento. Se dai risultati elettorali, ad esempio, uscisse la possibilità di una coalizione tra verdi e democristiani, credo che i verdi non avrebbero esitazioni a percorrere quella via. Ma se ci fosse la possibilità di una coalizione rosso-rosso-verde, sono convinta che Martin Schulz non potrebbe accettare una riedizione della “grande coalizione”, neppure come cancelliere: dovrebbe formare un governo di sinistra. Ma ripeto: la questione è il programma di un governo di sinistra!

A questo proposito: quali pensi che possano essere i punti di incontro tra i tre partiti? E attorno a quali questioni pensi che si possano registrare i problemi migliori?

Penso che in particolare la questione ecologica possa essere all’origine di difficoltà e conflitti, per via dei sindacati, che insistono ossessivamente sulla “crescita” e non hanno al loro interno nessun tipo di discussione sulla componente ecologica della crescita stessa. Nelle questioni “culturali”, delle minoranze e dei diritti civili non credo che ci sarebbero grandi problemi. E in fondo neppure sulla questione dei profughi. Terreni difficili rimangono la politica estera, il lavoro, le pensioni. Ci sono comunque sufficienti questioni su cui i tre partiti possono trovare un accordo. Ma non è questo per me il problema: il punto è capire se è possibile che una coalizione rosso-rosso-verde non nasca da compromessi al ribasso per la gestione dell’esistente ma piuttosto come un vero elemento di rottura, di interruzione della continuità delle politiche degli ultimi anni, di apertura di un’epoca di trasformazione sociale ed ecologica che un Paese come la Germania è in grado di produrre.

Questo tema è al centro di un documento prodotto dall’ISM a dicembre, significativamente intitolato “Tentare l’impossibile”. Già abbiamo visto che un governo rosso-rosso-verde appare oggi meno “impossibile”. Ma l’ambizione dell’ISM, come ci hai appena spiegato, va ben al di là della semplice formazione di un governo di coalizione di sinistra (o forse sarebbe meglio dire di centro-sinistra). La prospettiva rosso-rosso-verde, per voi, si pone al di là dei tre partiti e dei rapporti tra di essi, acquista un’essenziale dimensione sociale e di “movimento”. Puoi spiegarci meglio questo punto?

Sì, è così. Noi siamo convinti che in Germania esista quella che chiamiamo una minoranza qualificata che non si sente rappresentata da nessuno di questi tre partiti progressisti e che è pronta a mobilitarsi per un vero cambiamento politico. E siamo anche convinti che una vera politica della trasformazione richieda cambiamenti così profondi che nessun governo può determinarli dall’alto. È necessaria appunto una mobilitazione che attraversi la società, che coinvolga la cultura e la stessa accademia per porre le basi per questi cambiamenti. La funzione di questa mobilitazione deve essere duplice: da una parte esercitare una funzione di controllo sul governo, dall’altra spingerlo avanti e incitarlo sulla via di una politica della trasformazione, impedendogli di deviare da questo percorso. Siamo insomma convinti che sia necessaria una forza sociale che si riconosca in un governo rosso-rosso-verde ma al tempo stesso mantenga da esso la distanza necessaria per criticarlo, se necessario, all’interno di quello che potremmo appunto definire un rapporto di “lealtà critica”. Ci sono questioni fondamentali di cui già abbiamo parlato, dal reddito di cittadinanza alla crescita ecologica, dall’accoglienza dei profughi al rapporto tra lavoro e attività di cura, su cui il ruolo di una simile forza sociale, della pressione dal basso è assolutamente fondamentale. In diverse città e regioni stiamo lavorando alla costituzione di assemblee e “forum” che possano prefigurare una simile forza sociale. È un tentativo di unire movimenti e iniziative che esistono in abbondanza nella società tedesca, sui temi più diversi: e il problema principale che incontriamo è la frammentazione di queste realtà, la convinzione di molte di esse di poter fare da sole. La sfida è unirle, producendo una visione d’insieme che tenga conto di quello che è stato fatto in questi anni su molti terreni.

Torniamo alla questione del programma di un possibile governo rosso-rosso-verde. Ne hai già parlato, ma vorremmo chiederti quali sarebbero in particolare le misure che potrebbero qualificare l’azione di un tale governo come un vero cambiamento politico e non come la semplice prosecuzione dell’amministrazione dello status quo con qualche miglioria.

In primo luogo la fine dell’austerity in Europa, la riorganizzazione dei rapporti tra i Paesi membri dell’Unione Europea su una diversa base. In secondo luogo un piano innovativo di investimenti in infrastrutture. E poi una diversa soluzione della questione dei profughi nei confronti di quelle attualmente in discussione, l’apertura di una versa discussione sulla questione della qualità della “crescita”, i grandi temi ecologici. E ancora, ripeto: la questione del rapporto tra lavoro e attività di cura, i rapporti tra i generi, la “buona vita”. Ripeto queste cose perché per noi definiscono una soglia programmatica minima, al di sotto della quale non si capisce per quale ragione avremmo bisogno di un governo rosso-rosso-verde.

Torniamo, per chiudere questa conversazione, alla questione dell’Europa, che abbiamo già affrontato da diversi punti di vista. Come immagini la politica europea di un governo rosso-rosso-verde capace di determinare un vero cambiamento in Germania? Fine dell’austerity, hai detto. E poi?

Be’, c’è intanto il problema dei partner per una simile politica. Ci sono le elezioni in Olanda, in Francia, forse in Italia: e dall’esito delle elezioni dipenderà il quadro complessivo della politica europea dei prossimi anni. La situazione non è molto incoraggiante, pensando ad esempio alla situazione in Spagna o alle difficoltà della Grecia. Penso comunque che gli altri Paesi europei dovrebbero indirizzare in qualche modo le loro aspettative anche alla Germania: è evidente che la possibilità di fare un’altra politica in Europa dipenderà in buona misura dal tipo di governo che avremo in Germania dopo le elezioni di settembre. La Germania è nei fatti oggi il Paese più forte, e se noi ci mettiamo in movimento, se anche semplicemente ci presentiamo con un altro ministro delle finanze, non sarà difficile formare dei blocchi di Paesi, delle nuove alleanze per una diversa politica europea. Certo: la condizione è che anche altrove si riesca a bloccare l’ascesa della destra, con Le Pen presidente in Francia temo proprio che diventerebbe difficile parlare di politica europea in generale.

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