di SANDRO CHIGNOLA.
Gli ultimi decenni hanno reso necessario un significativo salto di scala nella ricerca sulle dimensioni globali della politica.
Trasformazioni irrecuperabili, che hanno investito istituzioni, soggetti e poteri coinvolti negli spazi di produzione e di circolazione del mercato mondiale, costringono a un nuovo posizionamento teorico e politico. Il recente volume di Maurizio Ricciardi, La politica dello Stato globale. Democrazia, migrazioni e neoliberalismo nella società-mondo, primo contributo della nuova collana «Transnazionale» presso l’editore Meltemi (pp. 184, euro 16), affronta questa sfida.
Quella di Ricciardi è una storia costituzionale dello Stato globale. Questo è definito come la forma politica metastabile che, reagendo ai movimenti transnazionali di capitali e di persone, si trova a fare i conti con i limiti della propria sovranità ma a dover contemporaneamente attivare il proprio intervento per legittimare e per implementare le misure delle istituzioni tecniche e sovranazionali che quei movimenti, di capitali e di persone, governano.
Di fronte alla piattaformizzazione dell’economia globale e alla composizione di classe contemporanea, rispetto alla quale i migranti hanno un ruolo decisivo, lo Stato non può più essere inteso secondo la sua forma tradizionale – ordine sovrano inscritto su un territorio -, ma il ruolo che continua a svolgere – controllo dei confini, disciplinamento dell’azione collettiva e messa a terra dei protocolli neoliberali, esclusione integrativa del lavoro migrante – non può essere ritenuto, come era potuto apparire nelle fasi espansive della globalizzazione, destituito a favore di altre forme e apparati di regolazione.
Fare una storia costituzionale dello Stato globale implica perciò una ridefinizione dello Stato all’altezza delle trasformazioni che lo investono, ma significa anche problematizzare lo statuto del riferimento costituzionale in esse coinvolto. Costituzione non è intesa qui come la forma dell’istituirsi del rapporto societario nel corpo collettivo della cittadinanza nazionale, ma – e questo viene indagato nell’ordine del discorso neoliberale che segna il punto di soglia genetico dello Stato globale – come allineamento all’ordine economico competitivo che esso è chiamato a formare e a garantire come sistema indicizzato alla differenza, alla negoziazione e alla salvaguardia dei piani di impresa individuali. Una sorta di autocostituzionalizzazione di ordini globali (apparentemente) senza Stato, per usare l’espressione di Günther Teubner, il cui senso è l’organizzazione normativa di transazioni frammentarie e permanentemente a rischio di frizione tra soggetti, interessi e strutture parziali.
Questo implica uno spazio di massima tensione all’interno di quella che Ricciardi chiama la «costellazione costituzionale», una tensione che risignifica i contenuti di altri concetti chiave della Forma-Stato moderna. Democrazia, cittadinanza e uguaglianza, per citarne solo alcuni, sono radicalmente modificati dai processi di decostituzionalizzazione e di destatalizzazione resi operativi dalla prassi neoliberale, sia in relazione al ruolo che assolvono nel paradigma politico moderno, sia in relazione a quello che possono svolgere in relazione alle pratiche politiche che vi fanno riferimento.
Anche il lessico dei «diritti», attraverso cui sono tradotte le eterogenee aspettative di tutela da parte dello Stato, tende a presentarsi come rivendicazione di un’unità sociale ormai inesistente, in forza dell’avanzato lavoro di destrutturazione che l’ha investita, e come indicatore della crisi che attraversa il concetto di cittadinanza: migranti, poveri e rifugiati, che non possono far valere giuridicamente i propri diritti, li rivendicano come limite al materiale dominio cui sono sottomessi, rendendo evidenti le linee di frattura e di scissione attraverso le quali si riproduce un ordine differenziale e gerarchico.
Lo Stato si è fatto globale – in quanto denazionalizzato del popolo e desovranizzato dagli apparati e dai dispositivi di potere che ne hanno sottratto e ridefinito le competenze – e questo implica che esso si trova a svolgere un ruolo inedito, all’incrocio tra precari equilibri postcoloniali e postcostituzionali, nel sistema di relazioni che lo sovrascrivono, in risposta a sfide (le migrazioni; il capitalismo di piattaforma, con le sue conseguenze in relazione al cristallizzarsi di blocchi monopolistici che fondono imprenditoria privata e immediato potere politico; il deformarsi dei quadri della democrazia formale in autocratura o liberalismo autoritario) che non possono essere processate dagli schemi o dagli apparati che ne garantiscono la tradizionale operatività e che impattano lo Stato modificandone significato e compiti.
questa recensione è stata pubblicata sul manifesto del 14 giugno 2025