Di CHIARA GIORGI
Da Rossana Rossanda abbiamo ereditato un ricchissimo lascito di idee, di vita, di modi di pensare e agire nel mondo. Ci limiteremo a due aspetti.
Il primo riguarda l’interpretazione che Rossanda ha dato della politica, il suo modo di praticarla in prima persona, a partire da una consapevolezza della dimensione collettiva, accompagnata sempre a un sentire, a un “accogliere” la voce dell’altra e dell’altro. Una consapevolezza che l’ha resa protagonista delle sorti comuni, e al contempo l’ha resa capace di farsi interprete della singolarità delle vite individuali. È questa combinazione che le ha permesso di “pensare in grande”, di dare alla politica il significato di «forma dei rapporti fra uomini e donne, che sia assieme generalizzabile e gelosa delle specificità». La politica, come dimensione della trasformazione, della creatività e della liberazione, come ambito in cui si realizza la possibilità dell’agire insieme, il vivere associato e comune come relazione tra gliesseri umani.
Nelle conversazioni sulle parole della politica – raccolte nel volume Le altre (nuova ed. Manifestolibri 2021) – Rossanda chiede a se stessa e alle altre, a proposito di femminismo: «come costruire una dimensione politica senza distruggere la diversità della persona, come fondare sulla diversità della persona un principio di validità che vada oltre di essa, e cioè sia politica?». E ancora: «Per me, per la mia generazione, la politica non è stato un modo per realizzare se stessi: io ho cercato di cambiare qualcosa nella società in cui vivevo».
È questa una politica a cui si chiede molto, un agire quotidiano che faccia spazio alla complessità e alla ricchezza delle vite nel loro insieme, una politica che non è isolabile dalle relazioni con gli altri, dalla dimensione umana, dalle scelte individuali che si intrecciano sempre a un percorso collettivo. Rossanda è andata alla ricerca della possibilità di nominare, configurare la realtà in modo altro, di agire per produrre una trasformazione, per aprire nella realtà crepe, possibilità diverse, inaspettate, altre. Il pensiero e l’agire di Rossanda consisteva nell’andare incontro, ogni volta, ai cambiamenti in corso, per decifrarli e imprimere a essi una forma – una forma politica – legata alle soggettività e alle nuove consapevolezze che andavano emergendo.
È su queste basi che Rossanda ha sviluppato una visione politica complessiva all’altezza delle sfide che ogni volta si sono proposte, senza disgiungere teoria e pratica, cultura e agire politico.
Una visione che ha investito tutta la nostra storia, dalla Resistenza ai tempi odierni, prima con un’apertura inedita all’interno del Partito comunista, poi dentro la vicenda del Manifesto, poi in un dialogo corpo a corpo con il femminismo. Che si trattasse dell’Italia o del “Terzo Mondo”, della battaglia delle idee o della politica europea, delle trasformazioni del capitalismo o degli operai di Torino, delle vicende del sindacato o degli altri movimenti, le sue analisi hanno fornito contributi di grande importanza per capire i cambiamenti in corso, nel segno della costruzione di un nuovo paradigma nel rapporto tra saperi, soggetti sociali e pratica politica. Un impegno a interpretare la realtà a partire da un pensiero integrato, una ricerca e apertura a sensibilità culturali e disciplinari molteplici.
Il secondo aspetto, strettamente legato al primo, riguarda la sua visione congiunta di uguaglianza e libertà, la proposizione rivoluzionaria dell’égaliberté. Libertà e uguaglianza, osservava Rossanda ne Le altre, hanno continuato nel tempo a conservare una grande carica emotiva e passionale, questo perché ogni volta ne riscopriamo significati nascosti; perché ogni volta gli accadimenti del mondo ci costringono a ripensarle e riarticolarle; perché la proposizione dell’égaliberté contiene, come ci ha più volte ricordato Étienne Balibar, una insopprimibile dimensione rivoluzionaria. E infatti, poco prima di lasciarci Rossana voleva tornare a occuparsi e a riflettere sulla Comune di Parigi, «la forma politica finalmente scoperta, nella quale si poteva compiere l’emancipazione economica del lavoro», «il prodotto della lotta della classe dei produttori contro la classe appropriatrice», come scrisse Marx (ai cui testi Rossanda rimandava con rigore); la Comune come esperienza storica in cui l’uguaglianza e la libertà tornarono ad abbracciarsi.
Potremmo allora usare parole simili a quelle con cui Rossana Rossanda parlò di Rosa Luxemburg: una rivoluzionaria che si riaffaccia come figura politica, morale ed esistenziale, «in tempi torpidi», «come riscatto dell’immagine militante contro la cultura del disprezzo di ogni speranza di cambiamento». Immagine della politica «come passione e pazienza», nella loro comune radice, «patire, fortemente sentire». Figura inattuale in tempi di rinuncia a decifrare la crisi, il lutto e la perdita, figura in cui si diede «l’unità della persona nell’indolenzita trama del dolore e della speranza, dell’intelligenza e dei sentimenti, dell’io e del mondo, ricomposti» (La Rosa inattuale, Rizzoli 1987).
È questo il fascino e il lascito di Rossana Rossanda, come di Rosa Luxemburg da lei amata: quello di «un’esistenza interamente vissuta come senso», quello di una donna, di una militante comunista tenace, eretica, sempre coerente e curiosa, tragica; tragica, nel senso da lei restituito nel dialogo con Manuela Fraire nel volume La perdita (Bollati Boringhieri 2008). Qui scriveva: «Certo, non tutti accettano il tragico dibattersi degli uomini per qualcosa che va al di sopra di loro. Io ho avuto una formazione diversa, ero abituata a pensare che la vita è tragica nel senso cinquecentesco della parola – Racine, Pascal – dove il conflitto non si aggiusta, non si risolve, non c’è pacificazione».
Si tratta del lascito di una donna, di una militante comunista, capace di interpellarci di continuo nel nostro agire e pensare quotidiano: di costringerci a capire, a cercare, a trovare, a cambiare, a ricordare, a scegliere.
Questo articolo è uscito per Alias il 19 gennaio 2025. Immagine di copertina da Wikipedia.