Di MARIA ROSARIA MARELLA

Pubblichiamo qui l’intervento di Maria Rosaria Marella al seminario di Quarticciolo ribelle tenutosi a febbraio. Qui il link per gli altri materiali.


“Una visione del futuro”: è proprio questo il motivo per cui è necessario che ci sia una grandissima attenzione sull’esperienza di Quarticciolo, per le energie trasformative che qui sono messe in campo. Per la loro capacità di produrre, appunto, una visione del futuro alternativa a quella prefigurata dal Decreto Caivano Bis e dalla politica securitaria di questo governo.

È opportuno osservarla da vicino questa politica, a cominciare dal decreto legge 208 del 2024 – il c.d. decreto Caivano bis – che parla il linguaggio del degrado, della vulnerabilità sociale, del disagio giovanile. Il decreto Caivano parla di decoro, di vivibilità, di un osservatorio sulle periferie. Tutto questo va poi letto in combinato con il famigerato Ddl sicurezza, dove tra l’altro c’è un intero capo dedicato alla sicurezza urbana. Dunque la vita, le vite nelle città sono al centro di questa nuova politica securitaria.

Vorrei qui sottolineare un primo punto: il degrado, la vulnerabilità, la percezione della pericolosità, la mancanza decoro, non sono il frutto del caso e non sono il frutto di dinamiche sociali spontanee. Sono invece il frutto di scelte politiche e regole giuridiche. Si decide che tipo di edilizia promuovere in una certa area, si decide se dove collocare siti inquinanti, si decide di disinvestire da determinate aree, si creano i presupposti della segregazione urbana e del cosiddetto degrado.

Ho letto di recente un libro bellissimo statunitense che si chiama “The Color of Law”, Il colore del diritto, e racconta come negli Stati Uniti il diritto abbia prodotto la segregazione razziale, costruendo il territorio in un certo modo con la zonizzazione, prescrivendo come costruire in certe aree, imponendo ai proprietari e ai costruttori bianchi divieti di alienare le case alle famiglie afro-americane, destinando siti inquinanti ai quartieri dove vivevano le persone di colore. Questo è avvenuto fino alla presidenza Kennedy per tutto il novecento e poi ha continuato in realtà a sussistere. La segregazione razziale è stata addirittura l’obiettivo di programmi federali che finanziavano e assicuravano mutui edilizi ai bianchi e non ai neri, rendendo sostanzialmente le case delle persone di colore più care e facendo in modo che non avessero poi i soldi per la manutenzione, quindi gettando le basi per la creazione di slums

Queste sono scelte politiche sostenute e create dal diritto, non delle dinamiche spontanee. Quello che voglio sottolineare è che sono, purtroppo, normali nelle democrazie liberali, sono modi per semplificare la complessità delle società e sostanzialmente stabilire delle forme di controllo. Dopo di che intervengono i programmi di inclusione sociale, che è il linguaggio che utilizza per esempio il Comune di Roma in questo caso, nel caso di Quarticciolo e di altre aree cosiddette degradate. Programmi inclusivi dove appunto si parla il linguaggio dell’uguaglianza, si parla il linguaggio, in definitiva, della costituzione repubblicana.

Il punto è che il governo di destra che abbiamo oggi in Italia non parla più questo linguaggio, ma parla invece il linguaggio della repressione, che è proprio di quella che si appresta ad essere una democrazia illiberale – ce lo dobbiamo dire. Quindi la repressione non è più l’eccezione giustificata dall’emergenza, ma è la regola e  mostra più o meno esplicitamente la stigmatizzazione per certe realtà sociali che si etichettano come degradate. È una politica che non esprime più un progetto di uguaglianza, ma piuttosto il disgusto per l’uguaglianza e le diversità.

Il contesto politico in cui tutto questo matura e prolifica mi sembra si possa rintracciare nella contingenza del regime guerra in cui purtroppo ci troviamo. Ne sono caratteri evidenti: il focus sulla sicurezza nazionale, con una ‘estroversione’ dell’azione dello stato verso i ‘confini’, e contemporaneamente la riduzione del livello di  democrazia all’interno; un regime di warfare, cioè di spesa militare per la sicurezza e la difesa nazionale e il conseguente disinvestimento nel welfare, nella spesa sociale, nei servizi per la popolazione; la creazione del nemico interno, che sostanzialmente si identifica nella marginalità e  nell’opposizione sociale, con una drastica semplificazione dell’analisi della società.

Quali sono gli effetti e insieme gli strumenti per realizzare questo nuovo corso politico? Essi emergono chiaramente dalle ultime leggi che citavo. Intanto c’è una nuova esaltazione della proprietà, specialmente urbana: il ddl sicurezza, con la creazione di nuove figure reato per l’occupazione degli immobili residenziali e l’inasprimento della tutela penale della proprietà, ci parla di una difesa sostanzialmente incondizionata della proprietà, che è anche difesa di un modello di società non solidale. La portata simbolica (il carattere puramente repressivo) di questa enfatizzazione della tutela penale è resa palese dal fatto che nel nostro sistema giuridico, come ovunque, esiste la tutela civile della proprietà che rende non necessario il ricorso al diritto penale per difendersi dalle occupazioni. Ma tanto dà l’idea della strategia repressiva che si vuole perseguire.

Un secondo dato è la razzializzazione del securitarismo che emerge chiaramente se solo si tiene conto del fatto che misure come il daspo urbano, la creazione di zone rosse, ma la stessa criminalizzazione delle occupazioni di immobili, nonché l’abbassamento dell’età dell’imputabilità penale non sono dispositivi neutri dal punto di vista della classe e della razza, ma sono indirizzati a fasce popolazione di una determinata composizione etnica e sociale.

Una novità del decreto Caivano e un’inversione di rotta rispetto a quelli che sono i principi generali e le tendenze dominanti quantomeno nei sistemi giuridici occidentali è l’attacco alla condizione giuridica e ai diritti delle persone minori d’età. Il principio dell’interesse prevalente del minore è un principio cardine che informa le politiche giudiziarie e legislative – nazionali, internazionali e sovranazionali – degli ultimi decenni, ma qui trova una clamorosa smentita. Sono previsti provvedimenti di carattere penale contro minori di 18 anni, purché abbiano compito 14 anni d’età, si introduce un generale inasprimento delle pene e si configura addirittura un attacco alla responsabilità genitoriale. Fattispecie sintomo di condizioni di disagio sociale, come  dispersione scolastica e delinquenza minorile diventano il presupposto per sospendere la responsabilità  genitoriale, in sostanza una sanzione a carico delle famiglie. Con il che sostanzialmente si profila una privatizzazione della tutela dell’ordine pubblico, nel senso che il peso dell’ordine pubblico è spostato sulle famiglie. Sono i genitori che devono provvedervi, l’ordine pubblico diventa un affare privato, viene privatizzato.

Tutto questo si contrappone al modello Quarticciolo che è esattamente l’opposto del modello Caivano. Mentre quest’ultimo propone e impone un modello di contenimento del disagio dall’alto, quando non repressivo sicuramente paternalista – anche nel linguaggio che usa, ciò che meglio descrive e qualifica il modello Quarticciolo è il “fare in comune”, che non vuole realizzare mera “inclusione sociale”, ma qualcosa di più e di diverso: rivendicazione di libertà, che non è la libertà borghese, ma la libertà dai bisogni. Ed è anche liberazione da un destino iscritto nella marginalità sociale. Nella trasformatività che emerge da tutte le esperienze che fanno di Quarticciolo un modello, un tassello importante è a mio avviso nel disinteresse per la proprietà, che trova espressione nell’uso virtuoso di luoghi abbandonati, non più usati dai loro titolari. C’è in questo la saggezza antica della non proprietà, dell’uso, che è molto più antica della proprietà privata ed è estremamente spiazzante per il modello di società attuale che le politiche correnti raccontano. Una saggezza che il modello Quarticciolo, le militanti e i militanti che lo incarnano, esprimono proprio attraverso l’uso dei luoghi abbandonati nella prospettiva della liberazione dai bisogni. Nella prospettiva di una visione diversa di futuro.

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