di CENTRO SOCIALE CANTIERE . 

(sulla giornata del 10 febbraio a Milano, riceviamo e riprendiamo volentieri queste note del Centro Sociale Cantiere,  che riprendono anche spunti e domande del nostro ultimo seminario, “Migrazioni: cambio di paradigma“, che abbiamo tenuto  in collaborazione con le compagne e i compagni del Cantiere- EN)

Una forza tranquilla.

“Il potere durevole di coloro che combattono e sono sconfitti”
M. Hardt e T. Negri.  Assembly

Si può essere incazzati, ribelli, radicali ed esprimere in alcune occasioni una forza tranquilla, quasi del tutto estranea alla schizofrenia della campagna elettorale, senza nessuna ansia da prestazione e piena della certezza che ciò che si fa oggi ed è stato fatto tante volte, andrà fatto ancora. Ieri – 10 febbraio 2018 – a Milano decine di migliaia di persone sono scese in strada in solidarietà con tutte le vittime di Macerata e contro la violenza razzista, sessista e fascista. Tra piazza Oberdan e Via Zuretti uno degli storici quartieri meticci della città si è popolato di una folla vivace, ma non scatenata. Non era il corteo più grande, non era il corteo più giusto, non era il primo e non era l’ultimo. Era necessario scendere in strada, passare a salutare il Binario 21 e la stazione Centrale, cantare un coro e ascoltare i cori degli altri, delle altre generazioni, degli altri frammenti più o meno organizzati della città antifascista e antirazzista.

Qualche mese fa abbiamo scritto un testo: chi si ricorda del 20 Maggio a Milano?. Fummo facili profeti: nessuno si ricorda di quelle 100.000 persone durante la campagna elettorale, nemmeno per motivi strumentali. A Minniti pare più prudente minacciare il divieto di tutti i cortei, di ogni colore, per mantenere l’ordine e la disciplina, a Di Maio pare più efficace fare il pesce in barile, Salvini finge di non sapere che anche nella società liquida, nonostante la rabbia e la frustrazione, ciò che è popolare non è affatto diventato automaticamente fascista. Chi se ne è ricordato dunque? Sempre i soliti. I soliti pochi? No, i soliti tanti. Quelli che… le feste antirazziste, le mense di solidarietà, i picchetti anti-sgombero, i presidi per scacciare i nazi, le scuole di italiano per stranieri, le scuole popolari per tutti, le scuole pubbliche occupate e autogestite, la ciclo-officina nel Centro di Accoglienza Straordinaria, le case occupate per necessità, il 25 Aprile, il 12 Dicembre, l’8 Marzo, il 27 Gennaio ed ogni giorno nel mio quartiere. Nessun mistero, la fabbrica sociale metropolitana di Milano è assemblata solo grazie a chi, che sia attivista, militante, volontario, operatore consapevole o cittadino attivo, respinge la guerra civile interetnica considerandola semplicemente una idea abominevole che sembrerebbe pensata per il copione di Crudelia DeMon. Questa muraglia è il più forte (forse l’unico) vero ostacolo che la retorica della destra trova sulla sua strada. Bastava ascoltare, in piazza c’era ogni età: l’eco dell’Onda studentesca del 2008, della Milano contro la guerra e del movimento dei movimenti, del ’77, del ’68, della Resistenza. In nome della Costituzione antifascista, drappo conquistato con una vittoria costata milioni di morti. Ancor prima, in nome di quella costituzione non scritta, conquista effimera e da rinnovare sempre, costituita da ciò che sempre resta quando si lotta; anche se sui libri di storia (o sulle cronache dei giornali) qualcuno distrattamente scriverà: hanno testimoniato, si sono agitati, hanno perso.

Allerta antifascista.

“(…) nel momento in cui una comunità politica sta procedendo a piccoli passi, tortuosamente, verso
l’abisso, nessuno è in grado di prevedere quale forma concreta prenderà il disastro, né in quale
punto esso esattamente verrà a collocarsi. (…) se ogni passo che facciamo, all’apparenza del tutto
insignificante, in realtà può avvicinarci all’abisso, e però anche allontanarcene, la migliore
precauzione consiste nell’essere il più possibile consapevoli della doppia direzione in cui
qualunque passo può portarci.”
Luciano Gallino, nell’introduzione di Come si diventa nazisti di W.S. Allen

 

Attenzione, fuggiamo dalla nostra retorica, i problemi sono tutti aperti davanti a noi, mentre ci fregiamo (e lasciateci farlo con passione) della Medaglia d’oro per la Resistenza. Almeno 2 domande sono ineludibili.

– Per far scintillare le vetrine della settimana della moda servono milioni di ore di sfruttamento di bianchi e di neri, siamo dunque relegati al ruolo di chi opera la riduzione del danno consentendo alla macchina di proseguire indisturbata, mentre in seno coltiva il rancore che si chiamerà fascismo?

– Siamo la città di Berlusconi e di Salvini, la capitale dei soldi, non dell’amore. E’ la Lombardia la regione in cui la Lega che ha trasformato l’autonomia in una bandiera di egoismo si sta saldando con il fascismo spudorato e si appresta a prendere un terzo dei voti validi e farne cassaforte elettorale (sebbene si tratti del voto di poco più di 1 residente ogni 10). Cosa significa oggi la parola “consenso” per noi, ma anche per i razzisti?

Sono domande difficili e noi non siamo abbastanza bravi a scrivere da affidare delle risposte così importanti ad un comunicato di Domenica pomeriggio. Alcune risposte le trovare nelle lotte degli studenti e quelle sul lavoro o nelle resistenze dei quartieri popolari, dove vivono quei poveri che sorreggono la città scintillante. Altre risposte le trovate nell’impegno di tutti coloro che non sono abituati a chiedere “cosa hai votato l’ultima volta” ma a segnare la strada attraverso le pratiche di solidarietà e/o di lotta.
Una risposta certamente è stata quella di stringersi, come possibile, ad una piccola città di Provincia che per un giorno è stata “Capitale dell’antifascismo”. Una traccia di lavoro crediamo di averla trovata: va cercata nell’essenza stessa della produzione e cioè la vita degli esseri umani della metropoli. Il meticciato, la libera cooperazione, la cultura che serve all’emancipazione sono oggi gli ingredienti della produzione. Il capitale non ne può fare a meno, deve comandarne i movimenti, le strategie, la direzione per poterne espropriare le ricchezze. Questa è essenzialmente la ragione per cui cova il fascismo. Non si tratta di un complotto, anche se non mancano traditori, infingardi, mafiosi e piduisti nelle logge del potere che conta. E’ un processo sociale ed economico: le forze produttive superano le briglie del sistema che le ha liberate, se non cambia il sistema non resta che la crisi; a cui risponde un progetto politico: la guerra tra poveri e la giustificazione dell’autoritarismo, come ultimo strumento per mantenere l’ordine.

Ciascun frammento di questo puzzle antirazzista dovrebbe viaggiare senza scordare troppo spesso questo contesto ed alcune cose.

– Non c’è solidarietà (al massimo carità) nella competizione: l’antidoto alla guerra civile interetnica è la lotta per cambiare lo stato di cose presente, per la giustizia e la libertà.

– Non c’è soddisfazione dei bisogni sociali nella rivolta nichilista: per quanto grande possa essere la forza di una ingiustizia, l’intelligenza collettiva della metropoli può trovare una risposta strategica, non solo un espediente tattico, se si libera dal comando e si dedica all’invenzione e all’insubordinazione.

– Non c’è nulla quando viene al primo posto l’urgenza della “rappresentanza politica”, non si tratta soltanto della corruzione del palazzo, ma della necessità di essere protagonista che la società oramai porta con sé.

– Non c’è mai abbastanza potenza nel guscio o nella tana, anche se senza tana, non c’è nessuna talpa che scava.

 

Chi batte il tempo?

«Ci sono momenti in cui la storia si comprime, dove tutto sembra accadere in un lasso di tempo troppo breve
perfino per rendersene conto. L’ultima settimana maceratese ci ha forse insegnato che della storia occorre
esserne parte, senza tirarsene indietro, declinando la tanto sbandierata responsabilità in altri termini»
CSA Sisma

In queste settimane il tempo sembra essere battuto dalla campagna elettorale. Si tratta di un mostro che non ha nulla a che vedere con la democrazia. Macchine di consenso voraci hanno stabilito negli ultimi 2/3 anni a che fetta di mercato dedicarsi. Qualcuno ha consigliato a Salvini di essere fascista e, ingolositi dal successo dei sondaggi, parecchi hanno scelto di contendergli lo stesso target. Purtroppo anche in questo caso l’eccesso di offerta alimenta la domanda a furia di bombardamenti pubblicitari. Si tratta di un brutto reality show che non risparmia neppure la strumentalizzazione della cronaca nera. Se quasi nessun giornalista era presente in corteo a Milano è senz’altro perché non si giocava li questa pietosa competizione, se tante persone hanno riempito la piazza è, anche, per lo stesso motivo. (a proposito un abbraccio a chi, comunque, per il 4 Marzo sta provando ad inventare qualcosa). Siamo grati e vicini ai compagni che, proprio ora, hanno affrontato, loro malgrado, la difficile sfida di essere a Macerata e resistere a tutti gli attacchi che hanno cercato di impedire il corteo, di equiparare nel divieto (come già si tenta di fare nella memoria) fascismo e antifascismo. Siamo felici di avere moltiplicato i loro sforzi facendone eco a Milano. Se è vero che la rappresentanza politica è finita suicidandosi in un teatrino pubblicitario, senza illuderci che venga un tempo più facile, sappiamo che il tempo della vita non lo battono davvero loro. Questo sabato pomeriggio, ad esempio, è trascorso al ritmo dell’antifascismo.

Centro Sociale Cantiere

P.S.
Con Adiaratou Guibre e la sua famiglia abbiamo preso un impegno 10 anni fa, in Via Zuretti, quando un corteo studentesco incontrò per caso una sorella straziata e le prestò il microfono per urlare il suo dolore e la sua rabbia. Il 14 Settembre saranno passati dieci anni da quell’infame omicidio razzista, i bambini di allora sono studenti e i ragazzi di allora si sono fatti grandi. Niente di ciò che abbiamo fatto ha potuto restituire Abba a chi lo amava. L’urlo di Adiaratou non la ha consolata, ma è servito a tutti noi. “Abba” Abdoul Guibre, figlio nero di questa città, strappato alla vita dal razzismo è amato da Milano con rabbia e desiderio di riscatto, come solo si ama ciò che non c’è più.

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