Di ROBERTA POMPILI

“A differenza delle riflessioni, le diffrazioni non si spostano altrove, in forma più o meno distorta, dando così origine a industrie [di storia delle origini e delle verità]. Piuttosto, la diffrazione può essere una metafora di un altro tipo di coscienza critica” (Donna Haraway 1997)

Aggiornamenti

L’Europa, come dichiara l’Oms, appare sempre più l’epicentro di una cosiddetta quarta ondata di Covid-19. L’Organizzazione mondiale della sanità ha sottolineato, infatti, come l’Europa sia l’unica regione al mondo dove sia i casi che i decessi continuano a crescere costantemente. L’aumento dei casi viene spiegato con la copertura vaccinale insufficiente e l’allentamento delle restrizioni negli ultimi periodi (limiti nell’assembramento e utilizzo delle mascherine in primis) avvenuto in diversi spazi nazionali. Dai media arrivano notizie sulla gestione della pandemia da parte dei paesi europei, alcuni prevedono chiusure e lockdown per i soli non vaccinati; in Italia si prospetta, da dicembre, la terza dose di vaccino per la fascia di età sopra i 40 anni. Contemporaneamente è arrivata la notizia che la Francia ha sperimentato un nuovo vaccino prodotto dalla casa farmaceutica Valneva; il vaccino, noto anche come VLA2001, è considerato tradizionale perché funziona attraverso la inoculazione di virus inattivato, come i vaccini cinesi Sinovac e Sinopharm. L’idea è che introducendo un intero coronavirus nel corpo umano, anche se inattivato, il sistema immunitario riconoscerà l’intero virus come estraneo e non solo le proteine spike: ciò darà una risposta immunitaria più ampia e aumenterà le cellule in memoria in grado di riconoscere diverse parti del virus nel caso in cui l’individuo venga in contatto con il vero coronavirus.

C’era una volta

C’erano una volta le epidemie e c’era la scienza positivista. Tenendo fede al progetto di miglioramento della salute e della società che derivava da una certa visione illuminista, fino a tempi recenti la vaccinazione era considerata generalmente un presidio importante e riconosciuto. D’altra parte saperi locali, saperi popolari su corpi, vita e ambiente rendevano difficile l’intervento della “scienza”. Cosi in maniera lucida organizzata e programmata, almeno sulla carta, le campagne di vaccinazione che si sono date nel mondo delle lotte nel welfare fordista avevano una base, un impianto ragionevole: investimenti di risorse, mezzi, ma soprattutto immancabili sciami di scienziati sociali, e antropologi prima di tutto tra questi che si premuravano di intervenire negli universi di senso e cosmologici dei vari mondi, contadini e operai in primis per rimuovere quelle che -secondo il paradigma bio-medico imperante- erano considerate le “false credenze” e dare un supporto agli interventi nel rispetto di tutte le componenti sociali. D’altra parte nella scuola di antropologia medica un posto d’onore toccava proprio alla “educazione sanitaria”, intesa nel senso di ricerca e formazione. L’antropologia ha, infatti, sempre tenuto presente in un piano di complessità la stretta relazione tra condizioni di vita materiale, soggettività e saperi.

“Le credenze non scientifiche, “sbagliate”, si basano sulle condizioni materiali di esistenza, sui rapporti di egemonia, non è dunque un caso che la gente creda certe cose piuttosto che altre. Così, quando si fa educazione sanitaria si trovano false credenze che hanno, tuttavia, una causa  oggettiva, e  quindi  non  è  facile  superarle.  Ma soprattutto perché i di scorsi sopra richiamati rimangono a livello culturale, senza mettere in discussione i processi strutturali, complessivi. Non è ragionevole che io possa cambiare la coscienza delle persone, la loro consapevolezza, senza cambiare, per così dire, i sistemi di vita, le esperienze di vita delle persone. Quelle credenze che combatto sono cioè i risultati di un sistema di vita, di esperienze di vita che sono un dato oggettivo. Quindi non oso credere che un paio di lezioni possano bastare, perché si tratta di cambiare radicalmente l’atteggiamento nei confronti della morte, della malattia. Devono cambiare le condizioni oggettive e non solo soggettive, e l’errore è fondare l’intero discorso sulla soggettività, sulla soggettività culturale, senza considerare che la soggettività culturale è il risultato dell’esperienza in condizioni oggettive di vita”. (Da una intervista all’antropologo Tullio Seppilli, realizzata da Rita De Cassia Gabrielli Souza Lima, Anuac, 2021, volume 10. n.1)

Un’altra scienza, un altro mondo

Dentro il regime neoliberale di gestione della pandemia covid-19 assistiamo oggi ad una proliferazione di numerosi vaccini, prodotti in velocità con grande impiego di investimenti pubblici e di cui le multinazionali faranno lucrosi guadagni e i soggetti/modalità che li hanno prodotti ci rendono a torto o a ragion veduta sospettosi. La situazione di incertezza e precarietà nella quale ci troviamo è amplificata dai messaggi contraddittori ad opera delle stesse istituzioni che ne governano diffusione ed utilizzo (no con Astrazeneca sotto i 60, si con Astrazeneca sotto i 60, si alla “eterologa”, etc). Questa confusione e ambiguità istituzionale viene amplificata dai media mainstream e dal mondo dei social, delle piattaforme in cui siamo immersi e che sono strutturati proprio in modo tale da facilitare la produzione di arene contrappositive e dualistiche, dove la complessità della situazione nella contingenza grave ed urgente viene di fatto schiacciata dentro un binomio semplificatorio: no vax, si vax, no green pass, si green pass. In pratica ci troviamo in alcuni casi, nostro malgrado, dentro un meccanismo nel quale siamo noi stessi parzialmente co-produttori di una politica populista semplificatoria.

Neanche la “scienza” d’altra parte se la passa così bene. Come forma di sapere e narrazione è stata da tempo messa in discussione la sua assoluta “oggettività”, “neutralità”. Lo stesso femminismo ha disvelato da tempo come essa rivestiva una forma particolare di narrazione, più o meno efficace, che comunque opera dentro canoni legati a questioni di genere, razza e classe. Come il racconto dello spermatozoo mobile e dell’ovulo in attesa, la scienza spesso si presenta come metafora dei rapporti di potere esistenti nella società (si è scoperto poi che l’ovulo ha di fatto una potenza tutta sua di attrazione). Innumerevoli studi convergono inoltre nel prendere distanza dalla posizione di una epistemologia tradizionale che implica un soggetto consapevole e i suoi costrutti di conoscenza (una figura prevalente nella narrazione della modernità): non solo la distanza tra oggetto osservato ed osservatore è messa in discussione, ma gli stessi strumenti di analisi e la stessa materia vengono analizzati come puntualmente co-prodotti (Barad). La conoscenza viene interrogata dentro il suo apparato discorsivo in quanto intreccio ontologico: le persone fanno parte delle configurazioni in corso nel mondo e la conoscenza deve essere trattata come una parte dell’essere. Nella contemporaneità i molteplici saperi dei soggetti subalternizzata, messi al lavoro e sfruttati corrispondono alla eterogeneità del soggetto produttivo che è implicato nei diversi grovigli material-discorsivi. Frammentazione ed eterogeneità di soggetti con parziali “verità” che tra i quali possono esserci punti di convergenza, cosi come punti di divergenza. In questo senso appellarsi ad una presunta infallibilità della “vera scienza oggettiva”, a maggior ragione in una fase di smantellamento di diritti, di impoverimento collettivo e di rottura proprio di quel contratto sociale welfaristico fordista che era legato nel bene e nel male a quel modello di “scientificità”, per molti equivale ad appellarsi ad uno stregone potente e privilegiato di cui poco si conoscono gli obbiettivi e ricadute sul proprio corpo (vedi la crescita di narrazione bislacche su terrapiattismo, antivaccinismo, immediatamente ricatturate a destra dentro un quadro di ristabilimento di un ordine gerarchico delle cose versus il caos della contemporaneità).  Mentre la scienza ha perso, dunque, la sua capacità onnisciente e attrattiva di riorganizzare gerarchicamente eventi, fenomeni, cose, dentro i nodi più o meno tossici della rete, acquisire informazioni sui vaccini, può essere importante, ma anche spiazzante da questo punto di vista. Le notizie si affastellano, una negando e sovrapponendosi all’altra. Per non parlare del fatto che la disuguaglianza nel mondo di accesso ai vaccini, la proprietà dei brevetti, fa in modo che il virus possa continuare a circolare e riprodurre varianti. Di certo dietro tutta questa confusione ed incertezza della gestione istituzionale della pandemia di certo si nasconde l’inefficienza di un sistema sanitario in fase di smantellamento da tempo e che adesso cede sempre più sotto i colpi di neoestrattivismo e privatizzazione.

Mutare l’ordine del discorso

Dentro questo magma di complessità, eterogeneità e pluralità di implicazioni e apparati di soggettività e saperi –provvisori, parziali, parzialmente contradditori e incerti- appare, tuttavia, insufficiente semplicemente porsi in relazione e in connessione con i piani discorsivi emergenti, nel tentativo di intercettare il disagio e la sofferenza sociale nella fase pandemica. Gli stessi, infatti, si basano non solo su condizioni materiali di esistenza, ma su condizioni di egemonia della “classe sociale dominante” avvertiva l’antropologo Tullio Seppilli, e dunque “Non è dunque un caso che la gente creda certe cose, piuttosto che altre”. La pluralità dei saperi situati, minori, popolari può essere sempre di fatto catturata e orientata dentro un’ottica non di trasformazione, ma di reazione. (vedi il movimento No vax e ora No green pass). E allora come, al contrario, costruire dai saperi popolari delle azioni istituenti di prevenzione e salute?

Occorre innanzitutto contribuire a mutare l’ordine del discorso, produrre un altro groviglio etico-onto-epistemologico con cui rileggere l’eterogeneità soggettiva, degli atteggiamenti, dei nodi singolari delle vite, dei saperi locali e situati. Va ripensato un approccio neouniversale sulla salute che indichi una postura etico-politica ecologica che abbia come nodo fondamentale la cura e l’intreccio e l’interdipendenza umana e non umana. La salute sociale e collettiva è una dimensione del comune e delle singolarità nel comune: le singolarità sono altro dall’individuo maschio eterosessuale borghese prodotto della egemonia capitalista e che si basa sulla idea di proprietà a partire da quella del proprio stesso corpo.

E dunque che cosa è la salute per ciascuna singolarità? Come si mettono insieme dentro una respons/ability fragilità e potenza dei corpi in questa fase difficile? Come si costruisce insieme dal basso controllo, monitoraggio, e raccolta delle informazioni? Come si ripensano le banche dati del comune? Occorrerà moltiplicare le strategie di prevenzione e salute per tutt* a partire dall’accesso gratuito a vaccini, cure, tamponi, con la consapevolezza che l’equità di accesso a cure ed interventi non equivale da sola ad una qualità della salute/vita per ciascun*. Le lotte per gli Investimenti significativi per la sanità pubblica sono fondamentali, ma parimenti vanno ripensate la cura e le istituzioni di salute psicosociale dentro tutte le vertenze e le sperimentazioni che si apriranno nelle molteplici articolazioni dello sfruttamento e dell’estrattivismo contemporaneo, così pure nelle sperimentazioni del mutualismo.

Immagine di copertina di Aldo Cavini Benedetti su Flickr.

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