Pubblichiamo qui la trascrizione dell’intervento per il seminario organizzato da Gennaro Avallone, i cui atti sono di prossima pubblicazione.

Di ROBERTA POMPILI

La guerra tra noi. Il ritorno del nucleare                 

Siamo in guerra. Che i colpi di fuoco siano lontano da noi al momento poco conta, perché quelle armi forse sono le nostre e perché la guerra arriva qui come guerra ai poveri, guerra alle strutture del welfare, guerra di genere, guerra ecologica. La violenza brutale a cui ci ha abituato in questi anni il capitale non ci fa mettere sempre a fuoco l’accelerazione drammatica che in quest’ultimo anno si è innestata, ma il diktat militare attualmente domina la scena. Fascismo e guerra sono sempre andati a braccetto e certo con le modificazioni contemporanee 2.0, la definitiva svolta autoritaria in Italia è arrivata e ci ha portato al governo Meloni, Fratelli di Italia e il Ministro Crosetto. Insieme alla guerra riappare inesorabile la propaganda dell’apparato bellico- nazional- energetico: il nucleare. Derubricato di recente dal parlamento europeo come “energia rinnovabile”, invocato come elemento magico e taumaturgico risolutivo di ogni problema economico-energetico (come la famosa fusione che riappare ogni tanto come chimera di energia inesauribile per ingannare i meno accorti), oggetto di fatto di interessi e investimenti sul piano internazionale militare.

La guerra tra stati capitalistici è una cosa diversa dalla resistenza, sebbene quest’ultima, durante la seconda guerra mondiale, si sia congiunturalmente intrecciata alla guerra. La seconda guerra mondiale è stata quella ignobile, drammatica e atroce violenza che si è conclusa con le altrettanto ignobili bombe su Hiroshima e Nagasaki. Terminata la guerra “calda”, intorno alla minaccia nucleare si è costruita la “guerra fredda” tra USA e Unione Sovietica, ma l’atomica è iniziata presto anche ad essere usata anche a scopi civili: di fatto la sua ipoteca di morte ha gravato nell’immaginario diverse generazioni e inaugurato simbolicamente, secondo studiosi e scienziati, l’antropocene, l’era geologica in cui l’intervento umano è accelerato nel suo impatto ecosistemico. Sappiamo d’altro canto che parimenti alla malattia marcia sempre la sua cura e che le conoscenze scientifiche che hanno prodotto grandi miglioramenti per l’umanità portano dentro di sé gli stessi anticorpi capaci di rilanciare la trasformazione dentro le mutate condizioni economiche, sociali e politiche.

Aprile 1986. Vibrant Matter

Questo racconto è una piccola storia parziale, incompleta, situata, di parte. Non ha la pretesa di rappresentare la storia di un ciclo di lotte, quelle contro il nucleare nel nostro paese, ma solo di raccoglierne qualche traccia, qualche elemento nell’intreccio della Storia con la esse maiuscola e la storia con la s minuscola, quella di una biografia, la mia, anch’essa continuamente rimaneggiata nel ricordo che riproduce continui aggiustamenti e nuovi assemblaggi. Questa storia minore comincia con me e cercherà nella frammentazione e nella molteplicità dei tempi e degli spazi dei miei ricordi di costruire un filo comprensibile e si spera utile a chi legge.

Cominciamo, dunque da un momento chiave della storia del nostro Pianeta. Il 26 aprile del 1986 accade un disastro quello dell’incidente nucleare nel reattore 4 della centrale Lenin di Cernobyl, un disastro destinato a rimanere a lungo nell’immaginario di molte generazioni.

In quei giorni mi trovo in Sardegna, con il mio collettivo femminista di allora e la mia compagna, siamo ospiti per una settimana, una decina di noi, in una casa Porto Cervo, al nord dell’isola e abbiamo deciso di andare a dormire una notte all’aperto nella Valle della Luna, in spiaggia con i nostri sacchi a pelo.  Siamo abbastanza inquiete perché siamo a conoscenza di ciò che accade dai giornali, ma siamo anche determinate a viverci la nostra vacanza. In quello scenario incantato incontriamo dei giovan* che vivono lì in maniera semistabile. Rocce, sabbia e mare costituiscono il loro ecosistema vitale: dentro alcune grotte hanno costruito le loro abitazioni. Il momento dell’incontro è anche un momento di scontro: i freakkettoni devono sentirsi invasi dalla nostra presenza e durante la sera ci circondano; comprendiamo con tutta evidenza che sono interessat* più alle nostre vettovaglie che a noi. In ogni modo stabiliamo una comunicazione con gli autoctoni. Ci raccontano le avventure della loro comunità avvenute negli anni ’70, con tanto di parabola di una  carica degli hippies, organizzata dal capo indiano Cochise, contro la Polizia, intervenuta inutilmente per sgomberare la zona dalla loro presenza.  Discutiamo con loro anche dell’incidente nucleare e palesiamo la nostra inquietudine. Ma anche lì riscontriamo una diversa attenzione ed interesse per ciò che avviene in una distanza che è geografica, ma anche politica ed emotiva. Ci dicono: “lasciateci perdere, noi stiamo vivendo nelle grotte perché non vogliamo saperne niente della civiltà, la nostra scelta ecologica è radicale, viviamo senza acqua corrente, né luce”. Ma la civiltà arriverà anche tra loro dopo poco, sotto forma di radiazioni. Dovrebbe essere arrivata intorno al 30 aprile la nube tossica radioattiva che ha attraversato anche l’Italia e nonostante tutto troverà anche noi, come tutt@ del resto impreparate. Siamo di ritorno da Porto Cervo, nella casa dove siamo ospiti: io e Anna riusciamo anche a prenderci uno scroscio della neoarrivata pioggia acida e siamo abbastanza spaventate. Arriviamo trafelate nella piccola casa dove siamo accampate con sacchi a pelo e materassini, ci facciamo largo verso il bagno e decidiamo di immergerci in una energica e lunga doccia. Abbiamo visto Silkwood e pensiamo di mandare via le ipotetiche minacciose particelle spazzolandoci, come fa Meryl Streep nel film, ma abbiamo solo spazzolini da denti, proviamo a strofinarci con quelli e il tutto risulta abbastanza grottesco, soprattutto quando ci accorgiamo che il nostro asciugamano è rimasto fuori sotto la pioggia.

Le radiazioni facevano paura e delle radiazioni faceva paura proprio la loro intangibilità: non si vedevano, non si sentivano, ma potevano entrare dentro di te invisibilmente lasciandoti in uno stato di sospensione e incertezza. In quei giorni arrivarono dai media le indicazioni su come comportarsi in termini di biosicurezza: non mangiare verdure, non bere latte. Vincenzo Miliucci[1] mi ricorda che gli attivisti del movimento antinucleare sono stati i primi ad essere in grado di dare le informazioni corrette sui comportamenti adeguati da un punto di vista sanitario. Maristella Pitzalis, docente di Ecologia alla Facoltà di Agraria a Perugia, mi racconta come proprio in quel momento una grande quantità di donne iniziò a cercare di interloquire attivamente con la scienza (il telefono del Dipartimento squillava in continuazione) e le scienziate incominciarono ad avere una maggiore consapevolezza del proprio ruolo aumentando la propria esposizione personale e politica.

Da tempo studios* pongono una attenzione fondamentale al ripensamento della nozione di vuoto, in particolare contro la sua interpretazione newtoniana come assenza di materia ed energia, come ciò che non ha importanza e quindi  giustifica l’occupazione coloniale. Le necropolitiche promosse dalle alleanze di stati e imprese nell’ottica del bene comune nazionale e dello sviluppo, della crescita economica si configurano come estrattivismo e continuazione della pratica coloniale della terra nullius. L’estrazione globale dissennata di minerali ed energia, la rimozione di montagne, lo sbarramento di grandi specchi di acqua per deviare fiumi per l’energia idroelettrica utile a scopi commerciali, la trasformazione di foreste pluviali in piantagioni di palma da olio o in praterie per il bestiame, la costruzioni di cattedrali atomiche vicino a bacini idrici, il sotterramento di scorie atomiche in luoghi resi pericolosamente inagibili e contaminati per centinaia di migliaia di anni: tutto ciò è stato possibile attraverso la produzione di fette popolazione sacrificabile, di forme di vita animale e vegetale sacrificabili, di mondi sfollati e distrutti dalle pratiche di possesso coloniale della terra e della vita.

Anche nella storia che ho appena raccontato la materia, costantemente rimossa dall’immaginario, si riprende la scena testimoniando la sua vitalità e dinamicità. La nuvola di Cernobyl ci espone ad una idea della catastrofe imminente e contemporaneamente ci rinterroga sulla nostra ineludibile interdipendenza ecologica.

Retrospettiva. Le lotte antinucleari

Devo ringraziare Gennaro Avallone che mi ha chiesto di fare delle riflessioni sulla mia partecipazione al Movimento Antinucleare e ciò ha reso possibile la scrittura di questo breve testo. L’occasione in particolare è stata un seminario per ricordare il nostro compagno e studioso Dario Paccino e del suo libro L’imbroglio ecologico. Nel 1985 a Perugia, fondiamo insieme ad altri compagni e compagne a Perugia il Collettivo politico Rosso Vivo, che prende il nome dalla rivista di ecologia politica radicale curata da Dario Paccino. Rosso Vivo si distingue per una spiccata leadership femminista al suo interno e la presenza, in alcuni periodi, di compagn* tedesch*. L’impegno di quest* ultim*, grazie ai quali stabiliamo contatti con il movimento antinucleare e antimperialista in Germania, è testimonianza di un fermento culturale e politico che si pone immediatamente su un terreno internazionalista. Con il mio collettivo sono presente dal 1985 alle scadenze per le varie mobilitazioni del Coordinamento Antinucleare Antimperialista ed in particolare nell’anno 1986 ai blocchi alle Centrali che ci saranno davanti a Caorso, Montalto di Castro e Pec Brasimone. Le lotte antinucleari nel nostro paese iniziano subito dopo i primi piani nucleari degli anni settanta in particolare grazie al lavoro del collettivo politico Enel di Roma. È proprio dopo la guerra del Kippur del ’73 e la crisi energetica e l’austerity di quegli anni che si inizia a progettare la via al nucleare come fantomatica “autonomia energetica”, in realtà nuovo elemento di dipendenza dagli Stati Uniti e la tecnologia USA, che confeziona i reattori spediti in Italia. E già nei primi mesi dell’80, ad esempio, inizia una mobilitazione in Puglia destinata, in quel momento, ad ospitare una Centrale nucleare. Ma è dal 1981 che si intensificano le azioni e le manifestazioni del movimento antinucleare (che hanno come obbiettivo anche la lotta alle centrali a carbone) anche grazie all’impegno del Coordinamento Antinucleare e Antimperialista che assicura una decisiva svolta organizzativa. Dal 1981, infatti, il nostro paese è scenario degli ultimi episodi di guerra fredda: è il momento della Crisi degli euromissili e la Sicilia dovrebbe ospitare missili Cruise con testata nucleare. Comiso diventerà un appuntamento importante per il movimento fino al grande campeggio dell’estate 1983: lì il Coordinamento realizzerà il campo Imac e si organizzerà insieme a residenti[2] in una mobilitazione permanente contro la guerra e il riarmo nucleare. Da Comiso emerge una forte eterogeneità: pacifisti, femministe, ambientalisti, insieme ai militanti dell’autonomia operaia e agli anarchici. Ci sono, ad esempio, le femministe della ragnatela. Iniziano anche ad essere presenti ragionamenti nuovi intorno al consumo consapevole, ed un immaginario politico e un linguaggio nuovo (si usciva dalla forte repressione e ancora c’erano echi della lotta armata nel paese). Al di fuori delle maglie dei partiti (unica eccezione importante sarà in una fase successiva il Partito Radicale) esiste la consapevolezza di giocare una partita fondamentale: c’è una ipoteca forte sul futuro e l’impegno si traduce in pratiche condivise. L’azione diretta (i blocchi, le occupazioni) diventano, infatti, l’elemento pragmatico in cui si traduce l’impegno di questi mondi eterogenei.

Dal 1983 al 1986 il Coordinamento Antinucleare e antimperialista manterrà costante e significativo il suo impegno di azione diretta in tutto il territorio nazionale contro l’energia nucleare.

1986. Dopo Cernobyl

A maggio 1986 c’è enorme manifestazione a Roma contro il nucleare e per la prima volta partecipa ad una iniziativa del genere il PCI. È arrivato agosto e io sono nel campeggio antinucleare di Montalto di Castro. I campeggi sono momenti di socialità oltre che di impegno e noi ci dividiamo tra assemblee, bagni di sole e mare e, di mattina presto, gli inevitabili blocchi alla centrale con il cambio turno degli operai per cercare di parlare con loro. Non godiamo di grande simpatia da parte del sindacato, filo-nucleare, ancorato all’ideologia lavorista e acritica del progresso-sviluppo, ma anche Lega ambiente che è legata al PCI è spaccata al suo interno. Ma a dire il vero se, quando siamo in paese, raccogliamo sempre una buona partecipazione a mostre e dibattiti, davanti alla centrale gli operai non sono particolarmente felici della nostra presenza. È ovvio, non è così facile parlare con chi è schiacciato dentro il ricatto salute- lavoro.

Il 6 agosto mattina siamo, come sempre, davanti alla Centrale per l’Hiroshima day per celebrare a nostro modo il lutto per i morti delle bombe atomiche. Siamo per terra seduti davanti ai cancelli, schierati per ritardare, perlomeno, l’ingresso degli operai al lavoro; dalle macchine i nostri compagni megafonano. Siamo immobili anche quando la Polizia, contrariamente alle nostre aspettative, carica dall’interno della Centrale e tirano dentro i cancelli uno o due compagni. C’è molta confusione, molta tensione, nei capannelli gli operai si uniscono ad attivist* e per la prima volta accade un fatto nuovo, gli operai decidono di non entrare in quel turno: la nube di Cernobyl è arrivata fino a Montalto.

Le iniziative e i blocchi continueranno nei mesi successivi, ad esempio a Trino Vercellese, dove si entrerà nel cantiere occupandolo. E poi di nuovo Montalto. È il 9 dicembre. Sono in macchina, abbiamo fatto diverse macchine per raggiungere le altre e gli altri. Partiamo alle 4 credo. È ancora buio quando arriviamo. Quanti saremo? Mille? Le forze dell’ordine sono del nostro stesso numero, in più sono agguerriti, preparati, decisi ad andare giù pesante. Le cariche questa volta sono violentissime, sparano lacrimogeni ad altezza d’uomo e proiettili veri. Dovevamo bloccare una strada di accesso alla centrale e adesso ci ritroviamo a correre nei campi, ci raggiungono. Siamo stanchi, è arrivata la luce della mattina. Ci fermiamo insieme ogni tanto per riprendere fiato e ci serriamo dietro i nostri striscioni. Non basta, ripartono le cariche, siamo adesso in tangenziale e ce li abbiamo addosso.

La violenza del 9 dicembre contro il movimento antinucleare non pagherà. Ormai nel paese è avvenuto un salto radicale di consapevolezza sul tema che porterà alla istituzione dei quesiti referendari, anche grazie al lavoro dei ricercatori ambientalisti Mattioli e Scalia: di fatto l’insieme di questi avvenimenti segnerà un cambio di direzione rispetto alla scelta energetica nucleare.

Gratitudine

Ripensare al concetto di vuoto è anche rinterrogare le separazioni, le cesure, ma anche le connessioni soggettive che ci producono e producono le nostre azioni nel mondo e il nostro stesso impegno politico. Riconoscere il flusso vitale nel quale siamo immers* ci restituisce dentro una ontologia politica di intrecci, legami, dinamiche, nelle quali l’io ridimensiona la sua dimensione egocentrica e la sua sovranità politica. Per avere un atteggiamento di cura e di respons/ability occorre riconoscere il rapporto di interdipendenza e di reciproca costituzione, il comune che ci costituisce, tenere desta l’attenzione ed esercitarsi in un continuo “tradimento” del sé: tale operazione può essere resa possibile secondo Isabelle Stengers attraverso l’esercizio della gratitudine. Per fare questo lavoro mi sono aiutata attraverso la rilettura di alcuni materiali e la realizzazione di colloqui con alcune attiviste e attivisti che hanno fatto parte di un movimento che in Italia ha espresso negli anni ’80 una grande capacità di mobilitazione sul tema della lotta al riarmo e alla guerra e alla scelta energetica nucleare. Ringrazio dunque, prima di tutto i miei compagn* del collettivo Rosso Vivo con cui ho condiviso pezzi di vita e storia, e tra di loro in particolare Vimille Fallavollita fondamentale protagonista del gruppo e mio sostegno in questo lavoro ricerca. Maristella Pitzalis, già docente di ecologia presso l’Università degli studi di Perugia, da sempre impegnata in lotte ecologiche e femministe, e animatrice negli anni ’90, insieme al contributo di Dario Paccino di un collettivo di Agraria, il Gramigna, impegnato nelle lotte territoriale e sul tema dell’ambiente. Anna Gaudiano con cui ho condiviso la vita e le lotte in quel periodo che va dal 1984 e 1986, Roberto Aprile, per tutt* Bobo, il compagno di Brindisi cuore delle lotte nella dorsale pugliese, del Coordinamento nazionale Antinucleare e Antimperialista, Sandro Scarso compagno di Radio Sherwood Padova e del Coordinamento nazionale Antinucleare e Antimperialista e, infine, di Vincenzo Miliucci Comitato politico Enel, imprescindibile figura leader del coordinamento Antinucleare e Antimperialista.

Senza di loro e della generosità e dell’impegno di tant* altr* questa piccola storia non sarebbe mai stata scritta, né io sarei la persona che sono.


[1] Figura fondamentale del movimento antinucleare dagli anni ’70 in poi, il suo lavoro coincide con il lavoro di critica politica della energia padrona e il lavoro di informazione e organizzazione e mobilitazione del collettivo politico romano Enel, e del Coordinamento nazionale Antinucleare Antimperialista.

[2] Non dimentichiamo la mobilitazione dei siciliani ed anche l’importante contributo di Pio La Torre.

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