Di ANDREA MORESCO.

I. LA RANA OPERAIA

Presagita dal fiuto perspicace di chi ben conosce i calcoli spietati e diluiti nel tempo delle offensive padronali, è stata infine ufficializzata e trasmessa lo scorso 21 febbraio. La “messa in liquidazione” è la mossa beffarda con cui il compratore della ex- Gkn Francesco Borgomeo ha comunicato la chiusura degli stabilimenti di Campi Bisenzio, che in realtà sotto la sua proprietà non avevano mai ricominciato a produrre. Un atto di delibera nomina i liquidatori, chiamati per la durata di novanta giorni alla vendita dei beni residui dell’attività e al saldo dei creditori. La liquidazione non prevede alcun ammortizzatore, né continuità di reddito per gli oltre trecento lavoratori rimasti in carico all’azienda. È la beffa per chi da venti mesi mette l’anima, il corpo e le ore di sonno nella lotta e da sei mesi a questa parte è senza stipendio, a fatica arriva a fine mese, o proprio non ci arriva. Ma è la beffa anche per tuttə noi.

Non è però scritta la fine: siamo a un bivio cruciale, ma non alla sconfitta; anzi, questa può rivelarsi l’ “occasione” che la rana operaia stava aspettando per saltare definitivamente fuori dal paiolo in cui vorrebbero bollirla.

Ricapitoliamo gli ultimi sviluppi della vertenza. Nel dicembre 2021, Borgomeo, originariamente advisor incaricato da Melrose della vendita di Gkn, decideva di rilevare in prima persona l’azienda, rinominandola QF, Quattro Effe, che stava per “Fiducia per il Futuro della Fabbrica di Firenze”. Un nome che già lasciava trapelare ipocrisia e acrobatiche retromarce, e destava il vigile e sospettoso monitoraggio da parte del Collettivo di fabbrica. Nessun piano industriale da Borgomeo, ma solo vaghe dichiarazioni su una transizione al settore farmaceutico, davano ulteriori elementi di scarsa affidabilità. Intanto, tuttavia, con quell’acquisizione i licenziamenti erano annullati e gli operai tornavano a essere dipendenti di QF. Da gennaio 2022, la nuova proprietà ha sistematicamente disertato i tavoli, non ha mai presentato un piano industriale, ma ventilato presunti e misteriosi investitori segreti. Se fino a ottobre QF ha per lo meno anticipato gli stipendi, da novembre ha persino interrotto i pagamenti, lasciando senza fonte di reddito oltre trecento famiglie.

Secondo Borgomeo, sarebbe dovuta arrivare la cassa integrazione. Non si sa per quale motivo, non trattandosi di un’azienda in crisi, ma anzi pronta a ripartire. A fine dicembre l’Inps ha così chiarito che la cassa integrazione ordinaria, per il periodo compreso da gennaio a ottobre 2022, non poteva essere elargita, per inadempienze nella documentazione presentata dall’azienda. Mentre cercava di spezzare il presidio e minacciava lo sgombero della fabbrica, Borgomeo insisteva con  la richiesta di fondi pubblici. A gennaio 2023 QF apre allora una nuova procedura per la cassa integrazione; questa volta la richiesta è la cassa per riorganizzazione. Rsu e sindacato concordano di collegare all’ammortizzatore la messa a disposizione dello stabilimento per lo scouting pubblico e per la verifica di fattibilità dei progetti operai per la reindustrializzazione del sito (vedi dopo). Gli incontri si dovrebbero tenere a ritmo serrato per concludersi entro il 10 febbraio. Ma la proprietà decide di non presentarsi e il 9 febbraio deposita al notaio l’atto di scioglimento e liquidazione dell’azienda QF.

Nel comunicato che annuncia la messa in liquidazione, la proprietà lamenta che «sono passati 12 mesi dall’accordo sottoscritto con la richiesta di cassa integrazione e dopo 10 mesi di pagamenti anticipati senza una risposta dalla pubblica autorità competente, con la fabbrica ininterrottamente occupata da oltre 12 mesi con assemblea permanente». Con la liquidazione, salta anche la possibilità di agganciare la cassa integrazione per riorganizzazione: niente stipendi, né contributi, né ferie all’orizzonte, ma soltanto un inevitabile stato di progressivo abbandono e incuria del sito o, peggio ancora, una qualche speculazione immobiliare.

Il 10 febbraio, il sindaco di Firenze Nardella invitava gli operai – che non ricevono lo stipendio da cinque mesi, alcuni di loro non riescono a pagare l’affitto – a «ristabilire un clima di serenità». Sulla poltrona si sta indubbiamente sereni.

Dal canto suo, commissariando l’azienda, la Regione Toscana avrebbe potuto garantire la continuità di reddito dei lavoratori e velocizzare le verifiche dei progetti presentati per avviare una reale reindustrializzazione dello stabilimento. Ma il presidente della Regione Toscana Giani ha preferito ancora una volta lavarsene le mani: «non è nostra competenza e conseguentemente preferiamo valutarlo in modo concertato col ministero». Le istituzioni locali, Comune e Regione, guidate dal Pd, sono palesemente complici della proprietà.

La tattica è quella del logoramento: prenderci per fame, costringere i lavoratori a licenziarsi. Quel 9 luglio 2021, il licenziamento via mail del fondo finanziario inglese Melrose fece scalpore, suscitò moto d’indignazione, che immediatamente si prese le strade e conquistò l’opinione pubblica; di lì a poco la gigantesca mobilitazione del 18 settembre.

Oggi, sotto la maschera della “messa in liquidazione”, i licenziamenti sono scadenzati, mascherati, resi più difficilmente comunicabili. La notizia fa meno rumore, ma nella sostanza non è diversa. La messa in liquidazione ci riporta esattamente al punto di partenza, ma con un anno in più di lotta e di fatica sulle spalle del Collettivo di fabbrica.

Borgomeo era consigliere di Melrose durante la liquidazione, oggi mette in liquidazione la ex- Gkn, mentre gli accordi che lo legavano alla precedente proprietà rimangono riservati. O Borgomeo ha condotto l’operazione di mercato aziendale più miope di sempre, o c’era qualcosa sotto.

D’altro canto, ora la nostra sfida si fa ghiotta. Se risale la mobilitazione e Firenze il prossimo 25 marzo insorge un’altra volta e, se di fronte all’insorgenza qualcuno vorrà salvare la fabbrica, non vi è più advisor né compratore su cui la Regione potrà scaricare la palla, ma rimarrà soltanto una possibilità sul tavolo: quella del piano operaio per la reindustrializzazione e per la fabbrica “pubblica e socialmente integrata”, per una riconversione condotta attraverso l’intervento del pubblico e secondo i progetti sviluppati dall’intelligenza operaia. Non sembra essere oggi concessa, allo stato attuale della vertenza, alcuna via di mezzo: o perdiamo tutto, o vinciamo tutto. Se sconfiggiamo la tattica del logoramento e riusciamo a riaprire la fabbrica, saremo anche nelle condizioni di determinare, secondo un adagio dell’auto-valorizzazione operaia degli anni ’70, «cosa e come produrre».

II. IL PIANO

Sin dalle prime battute della lotta, gli operai della Gkn mostrano una consapevolezza politica: per la tutela del salario e dei contratti e puntare alla vittoria, la loro non può essere una battaglia difensiva – una tradizionale, seppur radicale nelle pratiche e nella massificazione, battaglia sindacale per la difesa dei posti di lavoro –, ma una lotta controffensiva e tout court politica. Il settore dell’automotive è duramente colpito dalla spirale inflattiva e dagli obiettivi green delle politiche europee. Si registra un calo del 10% annuo nel 2022 rispetto al 2021 e di oltre il 30% rispetto alle immatricolazioni pre- pandemiche. Anche la filiera dell’elettrico, malgrado i sussidi pubblici, non decolla – con le auto elettriche in leggero calo nel 2022, per la carenza di infrastrutture di rifornimento e, più in generale, di una politica industriale capace di dare una direzione chiara agli investimenti. La crisi apre scenari di una de-industrializzazione particolarmente acuta in Toscana, dove si contano oltre duecento aziende impegnate nella filiera, con 5 mila addetti diretti e 13 mila indiretti a rischio. Il settore dell’automobile privata non rappresenta né il futuro che vogliamo per la nostra società, né un settore espansivo di valorizzazione su cui la classe operaia possa mirare a costruire nuovi rapporti di forza. Mentre il riscaldamento globale avanza, e gli effetti della crisi climatica si fanno visibili e materiali, specialmente la grave siccità che mette in pericolo le economie agricole e le comunità montane, la convergenza della lotta operaia con i movimenti ecologisti e per la giustizia climatica segna una svolta storica per il futuro del nostro Paese.

Da questa prospettiva, gli operai sviluppano un piano di reindustrializzazione autonomo, scritto dal basso, dal punto di vista operaio ed ecologico, insieme a un gruppo di ricerca solidale, che include ricercatorə solidali di economia, ingegneria, storia e sociologia (dall’ottobre 2022 rinominato poi “Comitato Tecnico Scientifico”).

Il Piano per il futuro della fabbrica della Firenze, titolo che fa evidentemente il verso alla fiducia-senza-un-piano di Borgomeo, è stato recentemente pubblicato dalla Fondazione Feltrinelli ed è liberamente scaricabile qui. Il sottotitolo del Piano, “proposte per la mobilità pubblica e la sostenibilità ambientale”, ne svela le due direttrici fondamentali: convertire gli impianti di Campi Bisenzio verso la produzione di componentistica per il trasporto pubblico e sostenibile (autobus elettrici, a idrogeno, treni) e, in parallelo, verso la filiera dell’idrogeno verde e dell’energia fotovoltaica. Stabilità occupazionale e centralità operaia costituiscono le colonne portanti del piano.

Con la prima direttrice, cosiddetta “incrementale”, si sostiene l’importanza di indirizzare la produzione di componenti verso la mobilità pubblica, avviando commesse e contratti a lungo termine e fronteggiando così la volatilità del mercato privato. Lo stesso Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza prevede ingenti finanziamenti per questi settori e impone alle amministrazioni pubbliche l’acquisto di mezzi elettrici o a idrogeno per la mobilità urbana. Il paradosso è che, a fronte di questi obiettivi, coerenti con l’Agenda 2030, non esiste un piano di riconversione delle filiere produttive verso i mezzi del trasporto sostenibile. C’è una carenza produttiva, segnalata dallo stesso ministero delle infrastrutture, tra l’impennata di domanda di mezzi pubblici e la scarsa capacità di produrre gli stessi da parte del tessuto industriale italiano (pp. 68- 70 dell’ebook).

Ma è la seconda direttrice, di natura cosiddetta “radicale”, volta alla generazione e allo stoccaggio di energia pulita, quella su cui oggi esiste il progetto più concretamente pronto a essere avviato. Si tratta di un brevetto relativo alla produzione di pannelli solari, che non prevede l’utilizzo di cobalto, litio e terre rare, e che raggiunge un’efficienza del 20% superiore a quella comunemente rintracciabile sul mercato. Il brevetto, che il Collettivo di fabbrica sta negoziando con una start- up, è al momento mantenuto segreto per ovvie ragioni di tutela.

L’occasione è dunque quella di una riconversione altamente ecologica e sostenibile verso il settore fotovoltaico, sostenuta in parte da un intervento pubblico di partenza e in parte dalla costituzione in più fasi di un azionariato popolareIl nuovo assetto societario potrebbe prevedere il fondo di salvaguardia di Invitalia, come garante pubblico che partecipa con una quota di minoranza al finanziamento complessivo della ripartenza, e numerosissimi micro-investitori con quote di investimento o di pura solidarietà.

Il ruolo dei movimenti sociali e della solidarietà intorno alla Gkn sarà cruciale per la riuscita del crowdfunding e per l’autonomia del progetto produttivo. Il mercato delle energie rinnovabili è risultato nel 2022 in calo rispetto agli anni precedenti, in paradossale controtendenza rispetto agli obiettivi europei fissati al 2030. Nel frattempo, in Italia, i fondi del RePower EU sono investiti per la produzione di biocarburanti di ENI, di impianti cattura e stoccaggio di co2, per la costruzione di rigassificatori o l’ampliamento della rete adriatica a opera di Snam.

Molteplici direttrici potranno naturalmente incrociarsi e contaminarsi nel futuro – quello vero – della fabbrica di Firenze. Il piano studia anche la possibile conversione degli impianti verso gli elettrolizzatori per la generazione di idrogeno. La strategia europea per l’idrogeno annuncia raggiungere almeno il 13- 14% di suo utilizzo entro il 2050, mentre oggi si registra un misero 2% della domanda complessiva di energia in UE. A livello italiano, le Linee Guida Preliminari del MISE nel 2020 prevedono investimenti per 10 miliardi di euro sulla filiera dell’idrogeno, elargiti direttamente da fondi pubblici o derivanti da finanziamenti europei e privati (pp. 70-72).

Intanto, lo scorso 11 febbraio il Collettivo di Fabbrica ha presentato il suo primo modello di cargo bike auto-prodotta, realizzata interamente nello stabilimento, con l’utilizzo di materiali di recupero e beneficiando dei disegni di una piccola rete di imprese emiliane. Questa potrà rappresentare un piccolo tassello della reindustrializzazione, votato alla logistica dolce di prossimità e al trasporto di piccole merci sul territorio. Al momento della presentazione della cargo, il grande entusiasmo lasciava trapelare il desiderio operaio di lavorare insieme, di cooperare sia mentalmente sia manualmente, non più sotto un padrone ma all’interno di un regime cooperativistico, non più orientati alla produzione di beni di mercato e al profitto del padrone, ma all’interesse collettivo della società.

Con il Piano, il Collettivo avanza una visione politica della fabbrica “socialmente integrata”, intesa come luogo di relazione con il territorio, e come luogo di convergenza tra lotte, istanze e bisogni della società. Alla base, un’idea molto semplice: che i fondi pubblici vadano investiti per una produzione destinata ai servizi pubblici, ai bisogni sociali del territorio, all’interesse generale, e non regalati ai privati.

Con il Piano si scrive una nuova pagina dell’ambientalismo operaio, che prosegue la lunga storia delle lotte degli anni Settanta contro la nocività del lavoro e per la salubrità dell’ambiente, nel petrolchimico di Porto Marghera come nei reparti di verniciatura della Fiat, delle successive lotte anti- nucleariste e dei comitati popolari contro le grandi opere. La lotta operaia della Gkn afferma una concezione radicalmente alternativa e giusta della transizione ecologica: una transizione pianificata non sulla pelle delle lavoratorə, ma dallə lavoratorə. La transizione ecologica – utilizzata per lo smantellamento dei posti di lavoro dell’automotive, per le estrazioni di gas fossile e per attrarre nuovi capitali “green” – viene riappropriata dal basso e diviene terreno di trasformazione dei rapporti sociali di produzione e riproduzione. In un comunicato congiunto del Collettivo di fabbrica e di Fridays for future, che lanciava la straordinaria mobilitazione del 26 marzo 2022, si leggeva: «Una reale transizione climatica, ambientale, sociale non può prescindere dalla capacità della società di dotarsi di forme di pianificazione complessiva ed ecosostenibile. E tale pianificazione non si genera nel ricatto, nella gerarchizzazione dei luoghi di lavoro, nell’oppressione e repressione dei territori come succede da anni, ma nel risveglio della democrazia partecipativa e rivendicativa».

Con il Piano, infine, si realizza un esempio concreto ed entusiasmante di ricerca militante da parte di ricercatorə e studiosə che per molti mesi hanno studiato ai cancelli della fabbrica insieme allə protagonistə della lotta, mettendo a disposizione competenze variegate e specializzate, ridando forza alla dimensione sociale e collettiva della ricerca accademica. Mentre moltə di noi sono costrettə — e talvolta fin troppo disponibili – ad attività di ricerca alienanti, iper- individualizzate, sottopagate se non parzialmente gratuite, a passare dieci ore della propria giornata in biblioteca o in laboratorio perdendo di vista il senso politico e sociale della ricerca, le oltre cento pagine del Piano ci danno l’esempio, e chissà se un po’ di forza, di una Terza Missione libera e autonoma della ricerca. Grazie.

III. UN’ECOLOGIA COMPLESSIVA

A Piombino, sabato scorso, gli operai della ex-Gkn si sono mobilitati al fianco dei comitati locali e di molti conflitti ambientali in Toscana e in tutta Italia, circa cinquemila persone, per sostenere la lotta contro i combustibili fossili, a favore di un’immediata transizione alle rinnovabili e al risparmio energetico. A Piombino, come noto, è in arrivo la nave gasiera Golar Tundra, lunga trecento metri e alta quaranta, con una capacità rigassificatrice di cinque miliardi di mc di gnl. Main promoter e commissario straordinario dell’operazione di “sicurezza energetica” è stato, anche in questo caso, il governatore Giani, che nei mesi scorsi ha dato il via libera ai lavori nonostante le mobilitazioni popolari e trasversali (dai commercianti, ai comitati di ex-operai delle acciaierie, fino agli studenti) che esprimevano le esigenze economiche ed ecologiche del territorio.

La presunta “emergenza energetica” ha autorizzato una procedura semplificata, con cui la costruzione del rigassificatore galleggiante è stata approvata in tempi record e senza la VIA (Valutazione di Impatto Ambientale). Piombino è stato, dopo Taranto, il secondo polo siderurgico italiano ed è oggi, insieme a Taranto, una plastica rappresentazione di “de-industrializzazione nociva”, in cui a una drastica scomparsa di posti di lavoro nel settore manifatturiero, si accompagna la permanenza di attività industriali nocive e inquinanti.

Nella città segnata dalla completa dismissione delle acciaierie e da una forte crisi occupazionale, il mercato del lavoro si andava lentamente stabilizzando su turismo, trasporto marittimo e settore ittico, settori che l’arrivo del rigassificatore in porto inevitabilmente compromette. La nave sarà installata a soli duecento metri dalla costa, le perdite di gas e il rischio di incidenti minacciano la salute e la sicurezza di cittadini.

Altri rigassificatori sono previsti entro breve tempo a Ravenna, in Sardegna, in Calabria, nelle Marche e in Sicilia. Quelli già attivi a Panigaglia (La Spezia), a Livorno e a Porto Viro (Rovigo) sono sottoutilizzati, e potrebbero essere potenziati in luogo di nuove installazioni. Intanto, procede la costruzione della Rete Adriatica, il gasdotto che dalla Puglia risale fino all’Emilia Romagna, e si incentivano nuove trivellazioni nel mar Adriatico, in sostegno alle grandi aziende energivore in difficoltà.

Il gasdotto Tap, che trasporta il gas azero e approda nel leccese, entrato in funzione nell’ottobre del 2020, ha raddoppiato la portata nell’ultimo anno (2 miliardi di metri cubi), mentre il nuovo gasdotto algerino Transmed, che approda invece a Mazara del Vallo, supera i 9 mila miliardi di metri cubi ed è diventato il principale punto di ingresso di gas in Italia. La “diversificazione energetica” si traduce nell’intensificazione dell’acquisto di gas tramite gasdotti da Nord Africa e Azerbaijan, e nei progetti di rigassificazione del gnl, con i nuovi impianti sopra citati, gli accordi bilaterali con Stati Uniti, Qatar e Algeria, e la realizzazione di nuovi impianti di liquefazione galleggianti in Mozambico a opera di Eni.

Eni e Snam escono, insieme alle altre multinazionali del fossile, tra i grandi vincitori della guerra, con utili quadruplicati nel 2022 e nessuna tassazione infine applicata sugli extraprofitti e sulle speculazioni del mercato di Amsterdam. È questo il punto più rilevante, su cui la manifestazione di Piombino ha dato indicazioni importanti e su cui convergere il 25 marzo a Firenze: quale guerra si sta realmente combattendo sulla nostra pelle?

Il terrorismo mediatico ha martellato su ogni canale minacciando un inverno senza gas e a luci spente. La menzogna mainstream narra che, per slegarsi dalla Russia e difenderci da Putin, occorrono urgentemente rigassificatori, trivelle e gasdotti, che ci porteranno[1] risparmio economico e indipendenza energetica. La pandemia, il pericolo di generalizzazione globale della guerra, siccità e, infine, crisi energetica hanno costituito un vero “cataclisma nelle nostre menti”, scientemente condotta dagli apparati mediatici di Stato. Non approfondiamo qui la questione oggi in corso di dibattito, ma la nostra mente transindividuale, costituita dalle affezioni sociali,politiche e ambientali-naturali che la affettano, è un campo di guerra per la militarizzazione della società.

La sbandierata emergenza energetica non risulta sostenuta da alcun dato: nel 2022 l’Italia ha aumentato vertiginosamente di oltre il 500% le esportazioni di gas all’estero. Nessuna carenza negli stoccaggi, ma al contrario un sensibile incremento del gas in uscita, che arriva a toccare il record di oltre 1.400 milioni di metri cubi, in particolare verso la Germania, l’Austria e l’Est-Europa (strano, che sorpresa: i dati di Altreconomia).

Come scrivevamo quest’estate, la “diversificazione energetica” è il terreno di nuovi processi di accumulazione capitalistica, che richiedono a loro volta alleanze militari e politiche in loro sostegno. Gli Stati Uniti garantiranno all’Europa 15 miliardi di metri cubi di gas liquefatto nell’immediato, destinati ad aumentare fino a 50 entro il 2030, con l’obiettivo di sostituire nei mercati europei il gas liquefatto nordamericano a quello russo e di rinsaldare l’unità occidentale con l’Europa, di cui placare le istanze progressive e la costituzione materiale dischiuse dal Next Generation EU. La guerra è lo strumento principe per sottoporre nuovi territori allo sfruttamento capitalistico, aprire nuovi mercati e nuove rotte commerciali, intorno all’energia come ad altri settori produttivi. Se la guerra ha sospeso alcuni aspetti della transizione, ad esempio la dismissione delle centrali a carbone, ne ha accelerati altri ampiamente calcolati in precedenza, tra cui la dipendenza dal gas fossile e dalla sua filiera. Nella congiuntura della guerra e delle sanzioni, la transizione mostra il volto più crudo e più ingiusto, che distribuisce i costi verso il basso, devasta i territori e licenzia i lavoratori. Svanisce l’illusione tecno-europea di una transizione pacificata e lineare: Green deal ist kaputt[2]!

I progetti elaborati dal basso, di riconversione produttiva e di autonomia energetica, sono molteplici. Oltre al piano per il futuro della Gkn, pensiamo al “Piano Taranto” di riconversione industriale dell’area dell’ILVA, nato dalla cooperazione di lavoratorə, cittadinə, ricercatorə, o al piano di riconversione della centrale a carbone di Civitavecchia a impianto eolico e solare, con la salvaguardia dei livelli occupazionali, proposto da comitati locali e Fridays for future, contro il progetto di Enel della transizione al gas.

https://altreconomia.it/nei-primi-cinque-mesi-del-2022-litalia-registra-il-record-di-export-di-gas/Molti altri esempi potrebbero essere fatti nella filiera alimentare agroecologica, in primis quello della Fattoria “socialmente integrata” di Mondeggi, che su un’area di oltre cento ettari delle colline fiorentine ha vinto, dopo un decennio di occupazione, la lotta contro l’alienazione di un bene comune e si appresta oggi a una nuova fase, all’insegna della produzione ecologica e cooperativa, che trova molti punti in comune con l’esperienza di re-industrializzazione autonoma della fabbrica di Campi Bisenzio.

Per certi versi, ogni lotta sociale produce, nel contrapporsi a un sistema che sfrutta vite e territori, una propria alternativa. Quello che oggi il Collettivo di fabbrica ci propone non è solo un “piano” per la loro fabbrica, che il 25 marzo dovrà essere imposto alle istituzioni locali attraverso la forza di una grande mobilitazione di piazza; ma soprattutto la capacità di scriverlo insieme, divulgarlo, raccontarlo in giro per l’Italia, su tutti i territori e al fianco delle molteplici vertenze di lotta. Si tratta di un immaginario collettivo, pratico e al contempo comunicativo, in cui le molteplici alternative si possono articolare insieme, all’interno di un orizzonte alternativo ecologico e complessivo. Un’ecologia complessiva, in altri termini, su cui fondare un’alternativa politica duratura e di pace, di transizione fuori dal fossile e dal capitalismo, «di transizione ecologica dal basso».

La lotta della Gkn e quella di Piombino – come le molte altre lotte sindacali, ecologiste, transfemministe e antimilitariste che le hanno incrociate nei venti mesi passati – esprimono una sorta di convergenza spontanea: da una parte si combatte contro il capitalismo fossile, dall’altra si contro- propone la produzione su larga scala, su base pubblica e solidale, di pannelli fotovoltaici; da una parte si contrastano i licenziamenti, delocalizzazioni e de- industrializzazione; dall’altra, dove la deindustrializzazione ha già impoverito e depresso il territorio, si difende l’economia locale contro gli interessi delle potenze globali; da una parte, la stampa dà acriticamente spazio alle calunnie di Borgomeo, che inganna l’opinione pubblica scaricando il suo fallimento sugli operai in lotta, colpevoli di aver politicizzato la loro condizione;, dall’altra i giornali nazionali ci raccontano un’emergenza energetica, funzionale ai profitti delle grandi lobby e alla devastazione dei territori.

Questa “convergenza spontanea” – spontanea non nel senso di casuale e contingente, ma radicata nelle determinazioni oggettive del capitalismo – ci pone l’interrogativo sulla durata temporale e sulla soggettività politica: non quella del coordinamento dell’esistente, ma dell’articolazione organizzativa e discorsiva- mediatica dei molteplici fronti di lotta condotti in ciascun territorio e ambito di intervento.

L’insorgenza e la fondazione dell’alternativa sono i due movimenti complementari della convergenza, che si alimentano a vicenda e si potranno incrociare con inedita attualità nella piazza del 25 marzo. Un terzo elemento apparentemente imprescindibile è quello della contro-informazione mediatica, con cui esprimere e divulgare la nostra visione alternativa e contrastare le fake news che giustificano le emergenze e le guerre di chi ci governa. La “convergenza culturale” è da molti mesi una delle attività condotte all’interno della fabbrica, con la promozione di dibattiti, proiezioni ed esposizioni che culmineranno nel primo festival della letteratura working class, in programma il 31 marzo, 1-2 aprile. Al fianco delle competenze solidali di ingegnerə, economistə, giuristə e storichə del lavoro, anche artistə, letterati, filosofə e comunicatorə sono chiamatə a convergere, per un salto di qualità dalla convergenza ad un vero conflitto in ambito culturale, che individua nelle forme e nei simboli della rappresentazione ideologica della realtà un ambito di intervento decisivo per fondare l’alternativa e attaccare le nostre controparti. La “convergenza culturale” si potrà assumere allora la pratica di interpellare e sollecitare le idee, le immagini, le rappresentazioni e i desideri dei soggetti a cui ci rivolgiamo, di raccontare e immaginare una nuova ecologia, i nostri piani alternativi, la costruzione del comune. Anche per arrivare allə tantə a cui ancora non siamo arrivatə.

Leggi l’appello del Collettivo di fabbrica per la mobilitazione del 25 marzo

Qui l’ebook Un piano per il futuro della fabbrica di Firenze liberamente scaricabile

Qui il video della presentazione dell’ebook, tenutasi presso l’Università di Pisa lo scorso 24 febbraio

[1] R. Sanchez Cedillo, Esta guerra no termina en Ucrania, Katakrak, 2022, p. 252.

[2] Ivi, p. 218.

Questo articolo è stato pubblicato su dinamopress il 17 marzo 2023. Immagine di copertina di Andrea Tedone.

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