di MARCO ASSENNATO e TONI NEGRI.

 

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1. Potrà l’Europa sopravvivere all’ondata razzista e nazionalista che l’ha investita? Quello che soprattutto spaventa è il fatto di trovarsi di fronte una destra estrema ed una sinistra residuale unite nella lotta contro la costruzione europea – spaventa perché nel batterci per un avanzamento dell’idea europea ed una trasformazione delle sue istituzioni, noi rischiamo di essere schiacciati sul centro dello schieramento politico. Rischiamo l’effetto negativo dell’identificazione della nostra lotta per l’Europa con il sostegno dell’austerità.

E d’altro canto rischiamo, sempre più concretamente, che prenda forma un nuovo equilibrio inter-amministrativo, segnato da politiche securitarie e repressive, erezione di nuovi muri, raffreddamento della porosità delle frontiere, razzismo e violenza. I continui riferimenti alla necessaria revisione dei trattati di Schengen a null’altro alludono: la via sovrana di contestazione dell’euro non guarda alla rottura del dispositivo neoliberista, ma al contrario, ad un inedito costrutto continentale che tiene insieme l’azione muscolare dei singoli stati sul corpo biopolitico della produzione e una malcelata indisponibilità (o impotenza) di fondo ad agire sulle dinamiche della governance finanziaria del debito – la quale, sia chiaro una volta per tutte, potrebbe tranquillamente riassestarsi su un regime monetario pluralistico, specchio dei rapporti di forza tra le differenti amministrazioni regionali.

 

2. Data questa situazione ci chiediamo se sia possibile costruire un insieme di lotte che determinino l’accrescimento dei diritti dei lavoratori e lo sviluppo di un progetto federalista. È ciò a cui si oppongono nazionalismo e sovranismo. Sia il partito popolare che la socialdemocrazia, intimiditi dall’ondata razzista e nazionalista, rifiutano di muoversi su questo terreno. Pur essendo incalzati dal bisogno di “governo dell’Unione”, temono ogni passo in avanti. Anche perché nessun passo in avanti è possibile senza introdurre forme di partecipazione e di decisione democratica su scala continentale, cosa che, inevitabilmente, produrrebbe uno spostamento degli assetti dell’Unione e una decisa variazione delle sue politiche. Democrazia significa mettere in discussione quel «pilota automatico» che Mario Draghi ha indicato alla guida di ogni singolo paese europeo. Il governo inglese ha colto questa difficoltà e rafforza il suo progetto (peraltro sempre condiviso con il governo statunitense) di impedire ogni reale costituzione europea e, su questo terreno, punta ad un definitivo blocco della costruzione europea. Cameron ha cominciato a porre le sue condizioni per evitare un brexit: fine di ogni decisione maggioritaria nell’Unione; e tanto più rifiuto di ogni decisione pur maggioritaria presa dai governi dell’“area euro”; Europa a più monete (difesa strenua della valuta inglese); interdetto quindi contro ogni progetto federalista, ecc. A questa preclusione a qualsiasi passo avanti del progetto federalista si aggiungono poi sconce proposte di legge e di governance contro i migranti e contro l’omogeneizzazione salariale in Europa. Chiedersi dunque se in Europa si possa andare avanti verso un progetto federale e democratico, significa oggi probabilmente chiedersi se ci sia la forza di rompere con la Gran Bretagna, di determinare un brexit. Ma vi sembra possibile, rebus sic stantibus?

 

3. D’altra parte è su questo stesso terreno che proliferano i nazionalismi neofascisti. L’Europa come territorio invaso, ridotto ad insieme di province governate da poteri che decidono «a Berlino, a Bruxelles o a Washington»: questa è l’immagine che Marine Le Pen ha voluto proporre lo scorso 7 Ottobre al «vice cancelliere François Hollande», ripetendo il mantra della difesa della «sovranità del popolo francese» da questa invasione. Di nuovo, questo è il punto, anche per la Lega italiana di Matteo Salvini, o per buona parte del M5S in Italia: la minaccia dell’invasione colpisce tanto le istituzioni politiche, quanto le identità nazionali, che subiscono l’ordalia dei nuovi barbari venuti dal sud del mondo. Ma non è ancora la rivendicazione di piena sovranità che Hollande ha voluto opporre alla Le Pen – seppure sottolineando che l’esercizio della decisione politica per i singoli stati democratici è ormai possibile solo all’interno delle compatibilità decise dall’Unione? E quanta rivendicazione di sovranità nazionale c’è nel piano-b che Jean Luc Melenchon ha provato a lanciare da Parigi? Ricostruire lo spazio di agibilità per gli Stati membri dell’Unione – come se singoli attori potessero avere forza politica risolutiva sul piano continentale: questo pare essere l’obiettivo del Front de Gauche. Per questa via, quel che resta del corpaccione decomposto della cosiddetta sinistra, non può che lasciare il passo al neofascismo. C’è chi pensa che la sola forza capace di abbattere la dittatura finanziaria sia la destra. Noi pensiamo che la possibilità di vincere questa difficile battaglia e decidere sulla congiuntura passi invece per una feroce critica di ogni nostalgia sovrana. Torna utile il motto di Ventotene: «oggi è il momento in cui bisogna saper gettare via vecchi fardelli divenuti ingombranti, tenersi pronti al nuovo che sopraggiunge, così diverso da tutto quello che si era immaginato».

 

4. La lotta contro i nazionalismi e i sovranismi diventa dunque essenziale. Oltre alla Gran Bretagna, i paesi dell’Est europeo giocano la carta del sovranismo nazionale: è una carta reazionaria rivolta essenzialmente al mantenimento del potere, nel timore che fuori dal nazionalismo le forze di destra non abbiano più la capacità di difendere gli interessi della rendita e del capitale finanziario. Battersi contro nazionalismo e sovranismo, per la democrazia, significa oggi sviluppare lotta di classe. E non solo: può significare anche rompere la gerarchia delle divisioni sociali e del lavoro in Europa. Gli stati nazione funzionano ormai semplicemente come strutture di controllo ravvicinato alle realtà sociali dei singoli paesi e come strumenti di mediazione coercitiva. Battendosi contro i nazionalismi sovrani (che sono in realtà semplici nazionalismi ideologici, privi di qualsiasi efficacia sovrana) si ha la possibilità di unificare il progetto europeo alle lotte contro l’austerità e per uno sviluppo economico alternativo. In questa fase, lottare contro i nazionalismi significa imporre alla Banca Centrale Europea un QE che sorregga i paesi più indeboliti dall’austerità imposta dalla Troika.

 

5. Abbiamo la necessità di imporre una nuova lettura e un nuovo progetto dell’internazionalismo – e di farlo soprattutto in Europa  e per l’Europa. Si è detto che siamo in una fase caratterizzata da una stagnazione secolare e, con tutta probabilità, dalla fine degli equilibri imperiali affermatisi dopo la caduta del Muro. Non sappiamo se lo scontro tra Occidente e Oriente possa ricostruirsi in uno schema che, per i più reazionari (repubblicani americani, nazionalisti russi ecc.), vorrebbe ripetere quello di una guerra fredda. Il mondo è ormai globalizzato e lo schema “guerra fredda” ci pare irripetibile. Solo una guerra “calda” riuscirebbe a spezzare il legame che stringe gli attori dell’ordine globale. Ed anche le rigidità sovrane che illusoriamente li qualificano? E a redistribuire i poteri sulla scena globale? Se non è una “grande guerra” che distruggerebbe il mondo, saranno molte “piccole guerre diffuse” che produrranno un assetto internazionale basato su aree relativamente omogenee (Cina, Europa, America Latina, USA, Russia). È questo il quadro verso il quale stiamo probabilmente andando. Nessuno di questi esiti è desiderabile. Contro questi orizzonti dobbiamo costruire un nuovo internazionalismo – meglio: ricostruire un alter-mondialismo – che unisca le lotte contro la nazione sovrana, quella per la pace e i conflitti contro il capitale finanziario. Debbono incrociarsi queste piste. La lotta di classe oggi interpreta questo insieme. Ed è in essa che dobbiamo sviluppare la nostra iniziativa: per immaginare e produrre nuove istituzioni comuni, nell’unità delle lotte europee.

 

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