di SAVERIO ANSALDI.

 

 

 

 Quelle donne  e quegli uomini che i neo-fascisti jiadisti  hanno sterminato al Bataclan e nelle strade della città nella notte di venerdi 13 novembre siamo noi. Contro quelle donne  e quegli uomini i neo-fascisti jiadisti non potranno mai vincere. Non si tratta di far giocare lo schema (che potrebbe in un senso facile e rassicurante funzionare) dell’oscillazione profonda fra la pulsione di vita e quella di morte, la creazione e la distruzione, ossia di ciò che rende visibile il significato della storia umana e delle nostre lotte per la libertà, come Norman O. Brown e Herbert Marcuse ce l’hanno insegnato, molto meglio di Freud,  ormai più di un mezzo secolo fa. C’è questo e c’è dell’altro. C’è tutto quello che i “teologi”, come li chiamava Spinoza allorché si era messo a scrivere il suo manifesto di combattimento per la democrazia, il Trattato téologico-politico,  trovano intollerabile : la vita che sta nel mezzo delle relazioni e che non ha origine, che non ha né inizio né fine, che scorre in “mille piani”, che è libera e potente perché è contaminata e dispersa, leggera e pesante, piena di gioia e di sofferenza, di lavoro sporco e di vuoto riposo,  ma proprio per questo da amare fino in fondo – da amare per poterla cambiare e trasformare essendoci dentro, “nel mezzo” fino al collo, perché è in quel “mezzo” che troviamo il nostro “fuori” giocandoci sempre tutto. Non sappiamo e non desideriamo sapere che cosa sia una vita pura e nuda, una politica che ci indichi il cammino verso il ritorno assoluto di quel che la storia ha imbrattato con la morte e lo sfruttamento. I teologi sono quelli che credono che la vita e la politica dipendano dal Grande Altro, i teologi sono quelli che, nella loro  superba idiozia, non sanno che se ci tagliano la lingua, mille altre ne ricresceranno, per pronunciare parole più belle e più giuste, che se ci tagliano le mani, mille altre se ne riformeranno, più abili e più concrete, per fabbricare un mondo sempre più libero ed infinito, che se ci mozzano la testa, mille altre ne rispunteranno, ciascuna con mille occhi e mille orecchie, per vedere sempre più lontano e per ascoltare sempre meglio, perché siamo tutti Idra e siamo tutti Proteo, siamo metamorfosi, fuga e lotta, affermazione e critica, cura e disprezzo, siamo resistenti e traditori, senza identità, senza nome, senza proprietà, donne e uomini senza qualità, ma ricchi e generosi, coraggiosi e caparbi. I nuovi teologi sono quelli che credono di poter risvegliare in noi la piccola anima fascista, ma non sanno che noi un’anima non ce l’abbiamo mai avuta e mai ce l’avremo, perché non sapremmo cosa farcene, perché l’anima ci ha sempre fatto ridere, soprattutto la loro. Noi siamo come quelli del Bataclan, foglie d’erba tutte uguali e tutte diverse,  che spuntano chissà dove e chissà perché, proprio lì dove nessuno se l’aspetta, nell’ombra e nella luce, di giorno e di notte, fra il cemento più orrido e il cielo più limpido. noi siamo come quelli che il poeta delle moltitudini, Walt Whitman, ha cantato, perché “attraverso di me molte voci che sono state a lungo mute, / voci di interminabili generazioni di schiavi, / voci di prostitute e di persone deformi, / voci di malati e disperati, e di ladri e di nani, / voci di cicli di preparazione e di crescita, / e di fili che collegano le stelle, e di uteri, e di sperma paterno, / e dei diritti di coloro che altri calpestano, / di ciò che è banale, piatto, sciocco, disprezzato, / nebbia nell’aria, scarafaggi che rotolono palline di sterco. […] Anche noi sorgiamo sfolgoranti e tremendi come il sole”.

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