di SIMONE PIERANNI.

riprendiamo tre interventi di Simone Pieranni sul XIX Congresso del PCC, pubblicati sul manifesto il 18 e 19 ottobre, e su eastwest.eu il 20 ottobre 2017.

Xi Jinping: dal decennio d’oro alla discontinuità

Xi Jinping costituisce uno storico punto di discontinuità nella recente storia cinese. La Cina del «decennio d’oro», il periodo che va dal 2002 al 2012, era un paese contraddistinto da una crescita a doppia cifra, in grado di organizzare Olimpiadi a Pechino nel 2008 e l’Expo a Shanghai nel 2010 – entrambi eventi da considerarsi ben riusciti. Analogamente era il paese che, a seguito dell’epoca delle Riforme volute da Deng Xiaoping, aveva saputo inserirsi nei meccanismi economici mondiali.

Guidando la propria economia in modo pianificato e sapendola difendere da pericolose ingerenze esterne, tanto che la crisi finanziaria del 2008 colpì Pechino solo di rimbalzo mettendo in difficoltà il suo modello legato all’esportazione. Quella Cina era un paese guidato dal Partito comunista, non senza polemiche sui temi dei diritti umani, ma di cui veniva riconosciuta la capacità di una dirigenza di tecnocrati in grado di fare andare la locomotiva cinese nella direzione voluta. Si parlava, non a caso, di «dirigenza» in modo generico: l’allora numero uno Hu Jintao non era certo nei radar dei media internazionali; in pochi ricordano il suo contributo teorico dello «sviluppo scientifico» del socialismo cinese data la sua figura grigia, diluita nella «guida collettiva» del partito.
Dal 2012 tutto questo è cambiato: alla segreteria del Partito e alla presidenza della Repubblica popolare è arrivato Xi Jinping. Il suo nome, allora, venne identificato come «segnale di continuità» con il passato. La realtà ha dimostrato il contrario, fin dall’inizio: quella che doveva essere una successione «pacifica» ha portato alla luce del sole una lotta terribile all’interno del partito.
Ne fece le spese Bo Xilai, legato a una camarilla ultra nazionalista; oggi Bo è in carcere, condannato all’ergastolo, mentre Xi Jinping, dopo questo Congresso, sarà probabilmente il leader più forte che la Cina abbia mai avuto.
E se è scontata la sua nomina a guidare il paese per i prossimi cinque anni, esistono serie possibilità che il suo mandato possa arrivare a 15 anni.

Ha attirato su di sé più cariche di Mao Zedong e con la campagna anticorruzione si è presentato come il risolutore del male dei mali della Cina guadagnando sostegno e credibilità popolare. Ha posto sotto di sé militari, sicurezza nazionale ed economia. È stato nominato «cuore» del partito comunista e il «pensiero di Xi Jinping», così come il «pensiero di Mao Zedong» e la «teoria di Deng Xiaoping» finirà nella carta costituzionale del partito comunista, divenendo una linea guida associata al suo nome finché il Partito esisterà. Di fatto Xi Jinping non è solo l’uomo più potente della Cina ora, ma è l’uomo più potente dalla nascita della Repubblica popolare. Questo accentramento dei poteri ha avuto come direttrici tanto la politica interna, quanto – e soprattutto – quella estera. Il «nuovo sogno cinese», ovvero la volontà di riportare il paese al posto che gli compete, al centro del mondo, «la rinascita della nazione cinese», un mix di tentativi immaginifici molto simili al soft power (calcio, cinema ad esempio) insieme allo smart power (progetti di acquisizione economica tout court) costituisce il fulcro attraverso il quale Xi Jinping ha rimesso la Cina al centro di trame mondiali. Xi Jinping ha disegnato per il futuro una «globalizzazione alla cinese», costituita dalla Nuova via della seta; si tratta di una globalizzazione paternalistica, sicuramente egemonica e per quanto nazionalistica, molto distante dalla muscolarità americana. Internamente Xi Jinping ha spinto su innovazione, robotica, intelligenza artificiale, big data e su una maggiore compenetrazione tra pubblico e privato, arrivando a desiderare una partecipazione statale anche nelle aziende fiore all’occhiello del rinnovato «made in China», non più solo fake, ma campioni del mondo dell’e-commerce (Alibaba) o delle app (Wechat). Chi può fermarlo? Secondo il Wall Street Journal in una Cina di questo genere il pericolo potrebbe arrivare dai miliardari. Ma Xi ha già dimostrato di sapere come gestirli: arrestandoli. Che Cina sarà dunque: un paese sempre più improntato ad allargare il più possibile la classe media e a fare pesare il proprio ruolo internazionale. Ma nelle mani di una sola persona, come non accadeva da tempo.

Xi al Congresso del Pcc: «Ecco la nuova era del socialismo cinese»

La rivoluzione non è un pranzo di gala, lo sappiamo tutti, e ora Xi Jinping ci ricorda che rinnovare il paese «non è come fare una passeggiata nel parco».

Con la consueta verve retorica e ricca di riferimenti colti, Xi Jinping con tre ore e mezzo di discorso di apertura al Congresso del Partito comunista cinese, ha messo nero su bianco quanto emerso in cinque anni di vertice: con lo stretto controllo politico del Partito sulla società cinese, la difesa da influenze esterne e il grande spirito del popolo cinese, la Cina entrerà in una «nuova era» nella quale sarà spinto al massimo il socialismo con caratteristiche cinese, ottenendo una moderata prosperità della popolazione e un ruolo globale rilevante del paese.
Ieri Xi Jinping, il segretario del partito comunista cinese dal 2012 e presidente della Repubblica popolare dal 2013, ha aperto i lavori del diciannovesimo congresso del partito comunista scandendo i successi ottenuti in questi ultimi cinque anni e lanciando il paese direttamente verso il 2050, un anno dopo il centenario della nascita della Cina popolare. A quel punto, ha detto Xi Jinping nel suo lungo discorso, la Cina sarà una grande e moderna nazione socialista. I due fulcri per ottenere questo risultato sono estremamente importanti per comprendere tanto il «pensiero» di Xi Jinping, quanto la tendenza futura della Cina: il primo punto da ottenere sarà quello che consentirà il raggiungimento di una società moderatamente prospera. Significa che la Cina, pur con le sue contraddizioni ai nostri occhi, prosegue una strada di politiche interne miranti ad allargare l’uguaglianza sociale attraverso un miglioramento delle condizioni di vita di tutta la popolazione. Portando al paradosso le parole di Xi, potremmo immaginarci questa tendenza: un paese formato da una élite e da una stragrande maggioranza di popolazione da annoverare quale «classe media». Per ottenere questo risultato il focus sarà il mondo rurale: è in quell’ambito che si annidano i milioni di poveri ancora esistenti in Cina, sacche sociali rimaste indietro per i difetti, che la dirigenza cinese conosce perfettamente, dovuti allo straordinario sviluppo degli ultimi anni. L’urbanizzazione e la spinta su progetti edilizi e di grandi opere hanno lasciato indietro fette di popolazioni che quelle strutture, di fatto, non possono neanche sognarle, altro che viverle, farle proprie o concepirle come centro della propria vita.
Non a caso Tuo Zhen, portavoce del 19mo Congresso Nazionale del Partito comunista, ha ricordato che «la chiave per l’edificazione di una società moderatamente prospera risiede nella popolazione rurale. La vera sfida sta nel sollevare dalla povertà la popolazione delle aree rurali più depresse del paese». Dall’inizio del suo mandato, ha ricordato il portavoce, il presidente Xi ha posto il contrasto alla povertà al primo posto dell’agenda del partito, «presiedendo a 17 importanti riunioni e ordinando 25 studi sull’argomento». Tra la fine del 2012 e la fine dello scorso anno, il numero di cittadini cinesi che vivono in condizioni di povertà, secondo i dati ufficiali, è calato da 98,9 a 43,3 milioni

Il secondo architrave della «nuova era» della Cina moderna e socialista concepita da Xi Jinping è sicuramente la politica estera: Xi ha promesso un paese aperto a investimenti stranieri, come ha sempre ribadito, ma ha anche specificato la necessità di modernizzare le forze armate, vero e proprio gap tra Cina e Usa. E ha ribadito che la Cina avrà un ruolo molto più centrale che in passato sulla scena internazionale.
Da segnalare poi alcuni avvertimenti; Xi Jinping ha specificato che «dobbiamo dire con chiarezza che permangono elementi di inadeguatezza nel nostro lavoro, e numerose sfide a venire». La Cina, ha detto il presidente, si trova a uno «stadio preliminare» del socialismo e il paese è «sotto molti aspetti» ancora in via di sviluppo. Infine Xi Jinping ha avvertito gli oppositori, esprimendo «ferma opposizione» a chiunque possa minare l’unità del paese e – soprattutto – la sua leadership: «Dobbiamo fare di più per proteggere gli interessi del popolo e opporci fermamente a qualsiasi iniziativa possa arrecargli danno, o allontanare il Partito dal popolo».

La Cina promessa da Xi in cinque parole

Dopo le tre ore e mezza di discorso inaugurale di Xi Jinping al diciannovesimo congresso del partito comunista iniziato il 18 ottobre, le speculazioni e le analisi, interpretazioni e previsioni si sono sprecate. Per chi si occupa di Cina si tratta di un’immensa mole di materiale su cui provare a interpretare il futuro della Cina e comprendere al meglio l’indirizzo politico del leader cinese.
Di sicuro Xi Jinping ha sottolineato i progressi fatti dal Paese sotto la sua guida. E proprio uno studio numerico delle parole più volte ripetute nel suo discorso permettono di riassumere alcun punti cardine del suo «pensiero» che, presumibilmente, finirà nella carta costituzionale del Partito Comunista Cinese.

Parola numero uno: Partito

Xi Jinping ha detto la parola «Partito» durante il suo intervento 331 volte. È stata la parola più usata (nel diciottesimo congresso Hu Jintao l’aveva nominata «solo» 235 volte). Tutta la politica di Xi Jinping dal suo arrivo al vertice del potere cinese è stata volta a far sì che il Partito riguadagnasse la fiducia della popolazione.
Non a caso Xi nel suo discorso ha sempre premesso che tutti i successi ottenuti e quelli futuri della Cina dipenderanno dal Partito, ovvero dalla sua leadership, ovvero da Xi Jinping. Xi ha recuperato la fiducia dei cinesi nel Partito in modi diversi: con la campagna anti-corruzione ha dato l’idea di un partito capace di ripulirsi e di rinnovarsi; con il sogno cinese ha consentito di disegnare un partito lanciato sul campo internazionale e teso a «rinnovare» la potenza cinese e porla al centro del mondo, come gli compete.
Il Partito – durante la presidenza di Xi – ha fatto notevoli sforzi nel controllo del web e delle opinioni, si è «difeso», a suo modo, da attacchi esterni e ha provato a utilizzare forme contemporanee di propaganda – specie online – per rinnovare la propria immagine. Una sfida che ad ora è riuscita. E come ha ricordato Xi al congresso, «Dobbiamo fare di più per proteggere gli interessi del popolo e opporci fermamente a qualsiasi iniziativa possa arrecargli danno, o allontanare il Partito dal popolo».

Parola numero due: Cina

Per 186 volte Xi Jinping ha nominato la parola Cina. Scontato, direte, ma questo rende bene il carattere nazionalista e patriottico dell’impostazione politica di Xi e del suo «sogno cinese». Xi ha sottolineato come la Cina sia ancora un Paese in via di sviluppo, come siano tante ancora le sfide e come sia complicato rinnovare una nazione così vasta e popolata.
Ma la Cina e il suo concetto di «patria» costituiscono l’architrave del «sogno cinese», composto dalla «comunità internazionale dal destino comune» al centro del quale  si pone l’operosità, l’orgoglio e la forza del popolo cinese.

Parola numero tre: Forze armate

Il nazionalismo di Xi e la natura accentratrice si riscontra nei tanti riferimenti compiuti dal presidente all’esercito. Xi Jinping ha sottolineato la necessità di modernizzare le forze armate cinesi. Nel corso del suo primo quinquennio, al riguardo, Xi ha già fatto tanto: ha potenziato la marina in virtù delle tante sfide anche commerciali che aspettano il Paese, ha riorganizzato le forze armate, dando più rilevanza ai corpi speciali, e ha provveduto a purgare una serie di generali a lui poco graditi.
L’esercito avrà una duplice funzione: cercare di colmare il divario ancora notevole con gli Usa, difendendo le aree che la Cina contende con altri Paesi e sulle quali rivendica sovranità, e supportare le manovre commerciali della Nuova via della seta attraverso il controllo militare degli «snodi» più strategici, come Gibuti, dove Pechino ha da poco inaugurato una base militare.

Parola numero quattro: Socialismo

Spesso ci si chiede: come può un paese come la Cina, inserita in pieno nell’economia globale, dichiararsi ancora socialista? Secondo i cinesi, come ha ribadito Xi, la Cina è ancora nella prima fase del socialismo; per sviluppare appieno bisogna risolvere alcuni problemi primo fra i quali il benessere della popolazione. Potremmo dunque sostenere che il concetto di uguaglianza che almeno a parole sembra guidare il progetto economico interno, costituisca uno scampolo di «socialismo» ancora esistente. Intendendo qualcosa di reale e non puramente nominale.
A questo proposito i riferimenti alla risoluzione del problema della povertà in molte aree del Paese, principalmente quelle rurali, è molto sentito dalla dirigenza cinese. Vedremo se in questo senso Xi Jinping sarà conseguente ai suoi proclami e auspici.

Parola numero cinque: Diritti umani

Nelle occasioni congressuali o internazionali, in cui vengono lanciate grandi promesse, la Cina viene descritta in modo oltremodo positivo, dimenticando alcune ottusità e falle presenti nel sistema. L’espressione «diritti umani» è stata utilizzata da Xi Jinping solo in un’occasione nelle oltre tre ore di discorso. Ha parlato di «stato di diritto» e leggi internazionali, ma è stato molto chiaro circa le differenze tra sistema cinese e democrazie occidentali.
Il tema dei diritti umani, è chiaro, non è al momento una priorità per la dirigenza cinese. Per il partito comunista, infatti, non costituisce un limite del proprio modello. E visti i nodi da risolvere in futuro, questa potrebbe essere una pericolosa dimenticanza.

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