Di ROBERTO CICCARELLI

«Non appartengo a nessuna religione, non sono nemmeno battezzato, non sono marxista, né cattolico, né anarchico, né freudiano o lacaniano, niente. Continuo a usare le idee e le teorie, in particolare quelle di Marx che è stato un genio straordinario. Ha letto la storia, l’economia e la produzione della soggettività in un modo completamente nuovo». C’è tutta la vita, e il metodo, dello psicoanalista, filosofo e militante francese Félix Guattari in questo autoritratto del 1982 fatto durante uno dei sette viaggi fatti nell’amato Brasile. Guattari dialogò con Lula, oggi presidente del Brasile per la terza volta, allora in campagna elettorale per il governatorato dello Stato di San Paolo. Con la psicoanalista Suely Rolnik decisero di farne un libro che ha il valore di un documento storico. Ora è in Micropolitiques, un libro pubblicato in Brasile nel 1986, in francese nel 2007.

EFFETTO GUATTARI. Il suo pensiero della liberazione è disseminato nel mondo. In Brasile oggi lo vedono così. Durante le Journées Internationales Guattari +30 organizzate all’università di Parigi 8 dal 20 al 22 ottobre nell’ambito dei festeggiamenti lunghi un mese avviati dall’associazione degli amici di Félix «Chaosmosemedia», il filosofo brasiliano Peter Pál Pelbart ha raccontato: «La nostra è una potente terra piena di spiritualità politica. È attraversato dal duro conflitto tra gli schiavi del trascendentale e delle merci (capitalisti bianchi e religiosi evangelici) e le alleanze tra il popolo dei terrestri, le classi lavoratrici e le popolazioni autoctone e afrodiscendenti. Due generazioni sono cresciute con il pensiero di Guattari e hanno imparato a usare le sue idee di rivoluzione molecolare e di ecosofia per aprire nuovi territori esistenziali possibili lì dove tutto sembra chiuso su se stesso».

QUESTA è anche una storia italiana. «A me Félix ha salvato la vita un paio di volte – racconta Franco Berardi (Bifo) autore del toccante ritratto Félix (Luca Sossella, 2001) – La prima fu nel 1974 quando ero in una caserma del sud italiano come bersagliere. Dopo due mesi mi ero scocciato e volevo fare qualcosa per liberarmi della divisa. Leggevo il suo libro Una tomba per Edipo. Psicoanalisi e trasversalità (Mimesis). Dopo avere letto feci il pazzo. Dopo dieci giorni mi mandarono a casa. Dopo l’insurrezione di Bologna nel 1977 e la chiusura di Radio Alice, gli arresti, Guattari svolse un ruolo più diretto, politico e mediatico. Organizzò la raccolta delle firme contro la repressione in Italia. Fu per noi importante perché ruppe l’unanimità giornalistica e intellettuale contro il movimento. Mi ha tirato fuori dal carcere quando fui arrestato a Parigi. Mise in moto una macchina tra gli intellettuali e ottenni lo statuto di rifugiato in Francia. Quello con Félix è stato l’incontro con una forza e uno stile che libera».

IN ITALIA, e non solo, Guattari è stato fatto passare come il coautore di Gilles Deleuze con il quale ha scritto libri folgoranti come L’Antiedipo (1972) e Mille Piani (1980). Deleuze sarebbe stato il filosofo «puro». Guattari l’avrebbe portato sulla cattiva strada. «In realtà – sostiene Bifo – Guattari ha dato un contributo filosofico fondamentale alla coppia ed è un pensatore importante e autonomo. Ha portato nel discorso post-strutturalista una specie di linguaggio da meccanico, idraulico, chimico e farmaceutico: le macchine o il molare e il molecolare, ad esempio. Ha messo in movimento il pensiero deleuziano che già aveva introdotto la singolarità dell’evento nella filosofia. Il suo pensiero è pieno di formicolii, una proliferazione di entità materiche concrete e virali. Con Deleuze ci hanno dato una prassi che è l’antidoto al pensiero identitario attuale e mostra che l’identità è una pericolosa finzione. Loro proliferano».

GUATTARI è stato il «professore di una pratica politica fondata sull’autonomia e che smontava le gerarchie tra partito, movimento e sindacato. Qualcosa che gli autonomi non hanno messo in piedi concretamente» sostiene Toni Negri che con ha scritto con lui Le verità nomadi per nuovi spazi di libertà (Les nouveaux espaces de liberté, 1985 in francese, in italiano dal 2007 per Selene). «Era un grande costruttore di reti, non aveva paura di nulla, ci metteva dentro ogni possibilità proposta e riusciva a collegarla con il resto. Mi coinvolse nella costruzione di un partito dei Verdi in Europa. Insieme abbiamo costruito un discorso sul capitalismo globale negli anni Ottanta, il «capitalismo mondiale integrato» lo chiamava lui. Era l’alternativa al discorso sull’imperialismo che faceva la sinistra di allora. E abbiamo analizzato insieme la nuova composizione sociale ed eventualmente politica del proletariato che allora stava emergendo e che oggi è pienamente squadernata nel neoliberalismo. Credo che la cosa formidabile che ha scritto Félix è stata Le tre ecologie (Sonda). La tripartizione tra ecologia ambientale sociale e mentale oggi si capisce perfettamente. Il mentale non è solo la cura della follia da parte dello psicoanalista, ma è l’analisi collettiva condotta attraverso la lotta che produce soggettivazione contraria a quella imposta dal capitale. L’ecologia mentale è una produzione di soggettività adeguata all’orizzonte attuale. Un’operazione di una radicalità inaudita».

QUELLO CHE OGGI, nella rivoluzione passiva che ha rovesciato la liberazione nel suo opposto di (auto)sfruttamento risulta difficile da comprendere è che Guattari è stato un uomo del Sessantotto. Questa non è solo una data, un’insurrezione nel Quartiere Latino. È uno dei nomi di una costellazione di movimenti che hanno cambiato il mondo dal secondo Dopoguerra e contro il quale il neoliberalismo continua a reagire. «La sua vita era legata a un giro molto importante a Parigi che viveva quella proposta politica in maniera radicale sia dal punto di vista umano che in quello dell’amicizia politica e scientifica.

NON C’ERANO MARGINI della loro vita che non fossero dominate dalla testimonianza continua del 68 – racconta Negri – Félix era come una cometa. In un momento lo trovavi in Polonia, poi tornava in rue Condé a Parigi dove faceva il suo lavoro di psicoanalista. In cucina trasmetteva la radio libera Tomate e lui suonava Chopin al piano con un amico americano. Era un centro sociale nel centro di Parigi dove si tenevano anche seminari. Io l’ho conosciuto nel 1977 durante l’Autonomia operaia quando sono scappato per la prima volta dall’Italia con il mandato di cattura di Catalanotti dopo Bologna – continua Negri – Tra il 1979 e il 1983 quando Calogero ci mise in galera mi venne a trovare diverse volte. Aiutò chi mi venne a prendere quando mi fu tolta l’immunità parlamentare. Ha insistito sul fatto che non dovevo consegnarmi. Ci voleva poco a convincermi, però devo dire che il suo parere è stato decisivo. Divenni per un tempo un sans papier. E iniziai a farmi chiamare Antoine Guattari. Félix firmava i contratti, pagava l’affitto. Ho vissuto da lui, poi in case diverse. Si è preso cura di me, non clinica ma affettiva. È stato un tesoro dal punto di vista umano».

UNA PARTE IMPORTANTE della storia di Guattari si è svolta in un castello del XIX secolo, al centro di un parco di 23 ettari vicino a Cour-Cheverny nella Valle della Loira. Qui si trova la clinica La Borde. Ci arrivò nel 1955 su invito dello psicoanalista e psichiatra Jean Oury che, insieme a François Tosquelles e Lucien Bonnafé, creò l’«analisi istituzionale» e anti-manicomiale che ha influenzato anche Frantz Fanon. In questo movimento di «umanizzazione della psichiatria» la psicoanalisi è usata nella clinica delle psicosi. «Le mie presunte competenze venivano dalla politica – ha raccontato Guattari – Dai 16 anni in poi non ho mai smesso di militare in tutta la gamma dei movimenti di estrema sinistra. Sapevo animare una riunione, strutturare un dibattito, sollecitare le persone silenziose a prendere parola». «Tutte le domeniche – ha raccontato il regista François Pain – c’era anche una riunione politica con gli stagiaires che radunava persone provenienti da tutta la sinistra. Félix le animava. Fu l’apprendistato di un lavoro politico che usciva dalla struttura piramidale dei partiti».

SI RUPPERO le gerarchie tra pazienti, medici, infermieri e lavoratori. Nacquero «strutture multiple» che abbattevano le frontiere disciplinari e sociali. «Era una politica disalienante – ha raccotnato lo psichiatra e psicoanalista Jean-Claude Polack, caporedattore della rivista Chimères fondata nel 1987 da Deleuze e Guattari – Il suo era un attacco sistematico alle gerarchie. Creò anche le unità terapeutica di base composte dai lavoratori e dai pazienti che aveva una grande libertà e garantivano la rotazione dei ruoli. Era la critica all’istituzione totale e l’invenzione di un’istituzione che non è una bolla ermetica ma una modulazione con l’altrove». Critico dell’«antipsichiatria» inglese di Ronald Laing e David Cooper, Guattari ha apprezzato l’esperienza italiana di Franco Basaglia a Gorizia e Trieste per la sua capacità di connettere la critica del manicomio alla trasformazione della società attraverso i partiti, i sindacati e i movimenti sociali. Possibilità che si è data parzialmente in Francia. Anche con Basaglia, o con il fondatore delle terapie familiari Mony Elkaim, Guattari formò la «Rete europea di alternativa alla psichiatria», un organismo mondiale che chiedeva la soppressione degli ospedali psichiatrici, criticava le tecniche di controllo sociale e si occupava di tossicodipendenze. «Bisogna allontanarsi dall’idea che il lavoro sociale sia una semplice animazione, un’ergoterapia o il fare i boy scout. L’analisi delle formazioni della soggettività conscie e inconscie non è appannaggio degli specialisti ma è un problema di tutti» ha scritto Guattari.

QUESTA IDEA di «analisi» evidenzia la differenza tra Guattari (e Deleuze) con la scuola di Jacques Lacan in cui si è formato e con il quale ruppe in maniera radicale. Indica il superamento dei dualismi (eros/morte; conscio/inconscio; individuo/società; molare/molecolare). L’inconscio è «produzione di affetti e di concatenamenti», non è ridotto al linguaggio, al simbolico o al soggetto. La «schizoanalisi» e la «micropolitica» trattano «il desiderio come l’innesco potenziale di un divenire e non della castrazione».

LA SOGGETTIVITA’ è dunque un campo di battaglia, il centro di un’economia capitalistica, una forma di vita che riduce il mondo alle merci e alla psicosi (auto)distruttiva. Guattari sosteneva che bisogna farla «biforcare» dalla sua forma attuale che ha imposto passività, «microfascismi», razzismo e sessismo. Bisogna invece «risingolarizzarla», esprimendo il suo «divenire differenziale» attraverso alleanze «multiple e autonome». «La rivoluzione molecolare si farà recuperare se non si fonderà con la lotta di classe – scriveva nel 1978 – Quest’ultima scivolerà nel dogmatismo se non si farà contaminare dalla rivoluzione molecolare». L’alleanza tra i movimenti di liberazione e quelli della «lotta di classe operaia» è «necessaria». Una «convergenza» mai del tutto riuscita. È ancora questo il problema con il quale si confrontano i movimenti ecologisti, decoloniali, antirazzisti e femministi.

«FELIX lavorava per produrre le ’rivoluzioni impercettibili’ che cambiano in maniera irreversibile le soggettività e il volto del mondo – ha raccontato Anne Querrien, sociologa e codirettrice della rivista Multitudes, attivista del «Movimento 22 marzo» a Nanterre nel Sessantotto e segretaria del Centre d’Études, de Recherches et de Formation Institutionnelles (Cerfi) creato da Guattari. «Voleva rompere con il mito della presa del palazzo d’Inverno e praticare una rivoluzione trasversale a tutte le dimensioni dell’esistenza».

POI SONO ARRIVATI gli «anni d’inverno»: il neoliberalismo (Les années d’hiver, 1986). Per Guattari non è un discorso, o una retorica, ma un’organizzazione capitalistica che trasforma anche la soggettività: «Tutto un macchinismo schizoide – così lo descriveva – che apre e chiude, deterritorializza e riterritorializza individuazioni sregolate e identificazioni reazionarie, se non addirittura religiose». Oggi siamo nel pieno di un congelamento della soggettività. «Il capitalismo mondiale integrato ha installato un’immensa macchina produttiva in una soggettività industrializzata che controlla la formazione della forza lavoro collettiva». Il principale contributo alla critica del capitalismo di Guattari è avere esteso la critica dell’economia politica a quella dell’”economia politica della soggettività». I conflitti sociali non sono riducibili all’economia, ma interessano la produzione del desiderio, il montaggio delle percezioni, gli schemi seguiti dalle condotte di una vita desertificata, serializzata e normalizzata nel consumo dei rapporti sociali.

SCOPO della critica e dell’analisi intese come una prassi rivoluzionarie è riconoscere e dissolvere le connessioni generate da questa organizzazione, liberare la produzione di soggettività da fantasmi e dualismi. Guattari ha invitato a creare «macchine da guerra» a ogni livello, individuale mentale e collettivo, capaci di operare secondo nuove logiche del desiderio non separabili tra un alto e un basso, una struttura e una sovrastruttura, il lavoro da un lato e il desiderio dall’altro. Come se ci fosse una lotta particolare da fare nelle fabbriche, un’altra negli ospedali, e un’altra ancora nelle scuole o nelle relazioni. È proprio questa separazione che bisogna mettere in questione.

NON FUNZIONA? «Bene – rispondeva Guattari – Si sperimenta ancora». La critica dell’economia soggettiva del capitalismo attraverso l’idea di «rivoluzione molecolare», o «micropolitica», risponde a una crisi in cui la politica è incastrata oggi. L’operosa attesa di una nuova stagione ha conosciuto sconforti e altre contraddizioni. Ma dura già da quando Guattari vide le intimità resistenti e praticò le potenze inquiete. Tutto un mondo nell’ombra prepara la primavera.

«DOBBIAMO riconoscere che le nostre lotte trasversali per la trasformazione della soggettività hanno fatto ben poco per deviare dal corso controrivoluzionario di una tendenza fascista di un Capitalismo Mondiale Integrato» sostiene il filosofo Eric Alliez che ha aperto il colloquio parigino, ha vissuto e lavorato in Brasile ed è autore tra l’altro con Maurizio Lazzarato di Guerre et Capital (Editions Amsterdam). «Il problema è al centro dell’ecologia generalizzata di Guattari che anche su questo è stato chiaroveggente. Due sono gli strumenti che possiamo usare: la creazione di una «nuova sensibilità», oggetto di una prassi politica, dell’etica e dell’estetica, una tesi che rinvia a quella di Herbert Marcuse nel Saggio sulla liberazione . E poi c’è la sua teoria dell’organizzazione che può essere usata da un rinnovato pensiero della classe come agente collettivo del divenire rivoluzionario pronto a confrontarsi in modo nuovo con l’urgenza della rivoluzione senza correre il rischio dell’estetizzazione della rivolta, idea che non piaceva certo a Guattari.Il suo discorso non era quello umanistico dell’Antropocene ma quello del Capitalocene. Oggi ci permette di mettere in relazione l’analisi con la critica del capitalismo che non è più solo una governamentalità della e nella crisi ma della catastrofe».

Guattari: la vita, le politiche
Pierre-Félix Guattari è scomparso a 62 anni nel 1992 nella clinica psichiatrica La Borde dove lavorava dal 1955. Con Gilles Deleuze (1925-1995) ha scritto quattro libri «L’AntiEdipo» (Einaudi), «Mille Piani» (Orthotes), «Kafka: per una letteratura minore» (Quodlibet), «Che cos’è la filosofia» (Einaudi). Filosofo e psicoanalista, ruppe con la scuola lacaniana. Militante delle sinistre rivoluzionarie formulò una serie di critiche decisive per trasformarle. Lavorò con i movimenti italiani dell’Autonomia ed è stato uno degli protagonisti, organizzatori e teorici del movimento ecologista. Autore di un’opera eccezionale e proliferante ha scritto anche «La rivoluzione molecolare» (Einaudi), «Una tomba per Edipo» (Mimesis), «Les Années d’hiver 1980-1985» (Les Prairies ordinaires), «Caosmosi» (Sonda), «Le tre ecologie» (Mimesis), «Micropolitiques» (Les Empêcheurs de penser en rond), «Qu’est-ce que l’écosophie ?» (Lignes).

Questo articolo è stato pubblicato su il manifesto il 12 novembre 2022.

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