di AOMAME HARUKI.

Proseguiamo la discussione sul renzismo aperta dal → testo di Marco Bascetta.

“Renzi è circondato, però, da mezze tacche: gli ex lacchè di Berlusconi. (…) Schifani, Alfano: personaggi non certo di livello. Berlusconi ha sbagliato con le giovani donne, ma soprattutto circondandosi di personaggi di bassa levatura… Penso a Verdini, un mediocre uomo di finanza; è un massone… credo, ma non della nostra squadra”. (Licio Gelli)
“Dietro i finanziamenti milionari a Renzi c’è Israele e la destra americana”. (Ugo Sposetti, ultimo tesoriere dei DS)
“Non troverete alla Leopolda i portavoce del movimento degli sfrattati, né le mille voci del Quinto Stato dei precari all’italiana. Lui (Renzi) vuole impersonare una storia di successo. Gli sfigati non fanno audience”.
(Gad Lerner)

Il 22 febbraio 2014 l’Italia entra ufficialmente nell’era del ‘Renzi primo’. Cosa porti con sé la nascita del governo Renzi è forse ancora un rebus, per alcuni versi. La nuova era si presenta inedita, si presta a bilanci per ora solo provvisori e approssimativi, si apre ad una prospettiva non chiara tranne che per un aspetto: il nuovo ‘imperatore’, Matteo Renzi da Rignano sull’Arno, ha tutte le carte in regola per restare sul trono molto a lungo. Perché l’era che porta il suo nome sarà anche inedita, sarà piena di annunci proiettati sulla rottura degli schemi del passato, ma si poggia su solidi intrecci di potere, antichi e riciclati, da lasciare immaginare una dinastia duratura. Quella messa in moto da Renzi è una vera e propria macchina da guerra che si muove molto abilmente tra media e propaganda, affari e finanziamenti, legami politici italiani e internazionali. L’improvvisazione è solo un effetto voluto di una strategia di presa del potere che parte da lontano, da quando dieci anni fa Renzi fu eletto per la prima volta presidente della provincia di Firenze. Già da quella posizione il giovane di Rignano riuscì a calamitare attenzioni, interessi e speranze. Come quella del patron di Mediaset, Fedele Confalonieri, che già nel 2010 aveva deciso: «Non saranno i Fini, i Casini e gli altri leader già presenti sulla scena politica a succedere a Berlusconi. Sarà un giovane».

La benedizione di Confalonieri.

Era esattamente l’11 dicembre 2010. A Roma il governo Berlusconi soffriva del ‘tradimento’ di Gianfranco Fini, ma non cadeva. Confalonieri parlava a Firenze, ad un’iniziativa di ‘Progetto Città’, organizzata da Andrea Ceccherini. «Firenze vanta due giovani campioni che potrebbero diventare leader nazionali – diceva Confalonieri – ognuno nel proprio campo, però: per il centrodestra vedo Andrea Ceccherini, per il centrosinistra potrebbe essere Matteo Renzi. Mi sembrano due fuoriclasse». Ma evidentemente, il riferimento a Ceccherini era semplicemente un piccolo omaggio al padrone di casa, nulla di più. Confalonieri già guardava a Renzi. E non era l’unico nel centrodestra.

Verdini, il macellaio, banchiere.

Già allora era forte il legame tra l’attuale premier e il berlusconiano toscanissimo Denis Verdini: l’ex macellaio diventato banchiere e poi politico, consigliere del leader di Forza Italia nonché di Renzi su riforme e legge elettorale. Denis è arrivato nel campo visivo di Renzi prima di Confalonieri, prima di Berlusconi. Denis ha visto Matteo crescere. Non è un caso che sia lui adesso l’architrave sul quale il premier ha piantato il ‘Patto del Nazareno’ con Berlusconi.
Editore di quotidiani locali – come il Giornale della Toscana, il Cittadino di Siena, Metropoli – Verdini era legato da vecchia amicizia con il padre di Matteo, Tiziano Renzi, che di mestiere faceva appunto il distributore di giornali. Amicizia e frequentazioni in famiglia, Denis nota il ‘promettente’ Matteo. Di fatto non lo perde di vista. Marzo 2005, Renzi è arrivato da solo un anno alla presidenza della provincia. A Firenze il capo della Croce Rossa Maurizio Scelli organizza una kermesse al Pala Mandela: i giovani di Silvio dovevano essere lì ad attendere Berlusconi. L’evento si rivela un flop ma qualcosa produce: la prima stretta di mano tra Matteo e Silvio. È Verdini a fare le presentazioni: «Silvio, c’è una persona che devi assolutamente conoscere. Non è dei nostri. Ma è bravo»”. A Berlusconi brillano gli occhi.
Nel 2008 Verdini inviterà Renzi al decennale del Giornale della Toscana in una sontuosa villa fiorentina, tra parlamentari e notabili di Forza Italia. Un invito d’obbligo, si dirà, perché all’epoca Renzi era già presidente della provincia. Ancor di più se si pensa che proprio da quella presidenza, il giovane di Rignano sull’Arno aveva lanciato la sua Florence Multimedia, società organizzatrice di eventi nonché erogatrice di pubblicità e dunque di soldi per i giornali di Verdini. Il capo di Florence Multimedia è Andrea Bacci, amico di Riccardo Fusi, ex patron della Btp costruzioni, nonché socio in affari di Verdini: proprio su un sospetto movimento di 400 milioni di euro tra la Btp e il Credito cooperativo fiorentino di Verdini indagò Bankitalia nel 2010. Per non parlare dell’arcinota telefonata intercettata tra Bacci e Fusi, in cui i due pianificavano l’arrivo di Matteo Renzi alla trasmissione di Mediaset Amici niente meno che in elicottero. Obiettivo era mettere a segno un colpo ancor più mediatico, strafare, come se non bastasse la sola partecipazione del ‘Renzie Fonzie’ allo show di Maria De Filippi. In ogni caso, niente elicottero, non se ne fece nulla e pare che Renzi nemmeno sapesse del piano.

Verdini, padre della Costituzione.

Fino al Verdini di oggi. Pare che Denis entra ed esca da Palazzo Chigi anche senza farsi annunciare dal protocollo. Sulla scrivania di Renzi ci sono proiezioni, sondaggi e studi elettorali commissionati da Verdini. Da ex macellaio diventato banchiere e rinviato a giudizio per il crac del Credito Cooperativo Fiorentino, a padre della Costituzione. Roba che ha fatto infuriare persino un ‘amico’ di Renzi, l’imprenditore Diego Della Valle: «La Carta è stata scritta da persone come Einaudi, non la facciamo cambiare dall’ultimo arrivato che seduto in un bar con un gelato in mano decide cosa fare. Su queste cose bisogna stare molto attenti…». Il “fiorentino” Della Valle ce l’ha con il conterraneo Verdini, è anche arrabbiato con Renzi che pare stia ricucendo il legame con Sergio Marchionne, ma soprattutto ce l’ha con il premier che sembra l’abbia scaricato non poco.

Il Patto di sangue Pd-Fi.

Intrecci di potere e politica, affari e scambi per assicurare quel pizzico di cambiamento necessario a mantenere lo stesso sistema. La trattativa sulla legge elettorale contempla un patto blindato a due: Pd-Fi, per assicurare all’Italia un assetto maggioritario ma non rivoluzionato, bensì composto dagli attori che propone la tradizione. Conducono qui le antiche frequentazioni con Verdini, i ponti costruiti con l’ex Cavaliere, l’affetto e la stima che confondono destra e sinistra, lasciando tracimare tutto in un unico indistinto. Renzi lo chiama “Partito della Nazione”. Berlusconi, dall’alto dei suoi 78 anni gravati dai guai di giustizia, ormai vola più basso, pensa alla sopravvivenza personale e politica e ringrazia il nuovo patrono: Matteo.
Nel rapporto tra Renzi e Berlusconi c’è sicuramente la questione del futuro di Mediaset: il rapporto stesso con l’imperatore è una buona garanzia di continuità aziendale. E poi le rassicurazioni sui guai giudiziari dell’ex Cavaliere. Quella “pacificazione”, di cui parla bene Confalonieri, convinto che Renzi ne sia “il segnale”. E insiste: «Io ci credo. Non è roba da inciuci. Ma è la fine di un periodo storico. Io l’ho vissuto così l’incontro tra Berlusconi e Renzi nella sede del Pd al Nazareno. Penso che sia possibile, adesso, un’Italia diversa. Senza più Ludovico il Moro che chiama i francesi. Insomma un paese normale». Tanto che c’è chi è convinto che lo stesso Verdini voglia approfittare del nuovo clima pacificato per mettersi a posto i propri guai giudiziari. Il senatore del Pd Massimo Mucchetti, ex vicedirettore del Corsera, lo ha messo nero su bianco in una lettera a Berlusconi: «Il suo amico Verdini deve rispondere della bancarotta del Credito Cooperativo Fiorentino e di altre imputazioni…. I processi non sono ancora entrati nel vivo. giovanni_galli_maradonaE qui diventa interessante vedere se lo Stato e le istituzioni si costituiranno parte civile laddove possibile o se chiuderanno un occhio e, ove lo facessero, se schiereranno i migliori avvocati o se troveranno il Giovanni Galli della situazione per giocare a perdere come accade alle elezioni amministrative fiorentine. Verdini ha maggiori possibilità di ottenere vantaggi dalla benevolenza del Principe rispetto a lei».
Già: Giovanni Galli era l’ex portiere nazionale che proprio Verdini schierò contro Renzi alle comunali di Firenze nel 2009. Galli non parò, Matteo mise a segno il colpo e molti pensarono che fosse una partita già scritta, Galli schierato apposta per perdere. Però ora nella tela di potere che ‘regge’ Renzi non ci sono solo le promesse e le garanzie sul futuro. Ma anche gli affari del presente.

Anche Verdini finanzia Renzi?

Dal 2009, cioè dalla prima elezione a sindaco di Firenze ad oggi, Renzi e la sua “macchina da guerra” raccolgono ben 4 milioni di euro. Servono per finanziare le campagne elettorale per le primarie, sono la rampa di lancio per il salto decisivo dalla Toscana alla politica nazionale. Quattro milioni di euro, raccolti tra finanziatori privati dalle tre fondazioni renziane: la “Festina lente” e la “Link”, le prime due nate, e poi la “Big bang”, che da un anno fa ha cambiato nome e si chiama ‘Open’. Molti finanziatori sono noti e si trovano sul sito di ‘Open’. Si va dall’imprenditore mezzo fiorentino e mezzo genovese Fabrizio Landi, che Renzi ha messo nel cda di Finmeccanica, a Jacopo Mazzei, ‘marchese’ dell’aristocrazia fiorentina, membro del consiglio di sorveglianza di Banca Intesa, fino al famoso – suo malgrado – Davide Serra, il broker delle ‘Cayman’, come fu bollato dagli anti-renziani quando si scoprì della sua presenza a Milano alla cena di finanziamento per Renzi per le primarie del 2012. Ma molti finanziatori sono ancora ignoti. Soprattutto non si sa se nelle casse di Renzi siano arrivati i soldi di Verdini, i soldi del centrodestra. A domanda, gli esperti renziani rispondono sempre con un no comment. Un silenzio di cui si trova traccia negli articoli di vari quotidiani e siti internet.

Marco Carrai, il fund raiser senza puzza sotto il naso.

Insieme ad Alberto Bianchi, Carrai è da sempre fund raiser strategico di Renzi, pronto a tornare a in piena attività per le cene di auto-finanziamento annunciate per l’autunno. ‘Marchino’, come lo chiamano tutti per la corporatura di certo non imponente, è il personaggio chiave della tela dei rapporti costruiti da Renzi con il mondo che conta: in Italia e all’estero, dall’alta borghesia fiorentina fino a Israele e gli Usa, passando per Londra. Di fatto è il “Gianni Letta” di Renzi, soprannome coniato dalla stampa: azzeccatissimo. A questo 38enne di Greve in Chianti Renzi deve moltissimo. Dai contatti con Tony Blair ai legami con figure di peso della politica americana, progressista e di destra. Ma prima va spiegato chi è Carrai, l’uomo che concentra su di se decine e decine di cariche in società pubbliche e private.
È il fondatore della Big bang, consigliere comunale, poi consigliere dell’Ente Cassa di Risparmio di Firenze, amministratore delegato della Firenze Parcheggi, presidente di aeroporto di Firenze Spa. E ancora membro della Banca di Credito Cooperativo di Impruneta e della Banca di Credito Cooperativo del Chianti fiorentino. E poi: consigliere di Cki Srl, presidente di Cambridge Management Consulting Srl, direttore generale di Your Future Srl e socio di quest’ultima, della menzionata Cambridge, di D&C Srl, Panta Rei Srl, ItalianRoom Srl, Imedia Srl, Car.Im Srl e indirettamente anche di C&T Crossmedia Srl. Non è finita, anzi arriva il bello. Carrai è socio di Wadi Ventures Management Company Sarl, società registrata in Lussemburgo e comproprietaria di Wadi Ventures, in cui Marchino è membro del consiglio di sorveglianza.

Carrai e la tela di potere da Israele agli Usa.

Wadi Ventures è un fondo speculativo lanciato da un altro supporter renziano e amico di Carrai: Marco Bernabè, figlio dell’ex numero uno di Telecom, Franco Bernabè, forti legami di famiglia con Tel Aviv. Magari sarà anche per tutto questo che di recente, in un articolo sul Messaggero, Carrai ha chiesto che «nel semestre europeo l’Italia difenda la voce di Israele”. Perché, spiega Carrai, “sarebbe anche riduttivo che oggi in nome della realpolitik, che tanto danno ha fatto a questo continente, un’unica voce non si levasse per condannare senza se e senza ma quello che a poca distanza da noi sta accadendo in Israele ai danni di un Popolo, a cui la storia europea ha tanto da chiedere scusa».
Non solo Israele. Per Renzi, Carrai significa anche Washington. Dove incredibilmente Marchino riesce a instaurare legami con figure di mondi opposti. Da un lato, Matt Browne, 41 anni, ex collaboratore di Tony Blair, ora nel think tank neo-progressista con John Podesta (ex braccio destro di Clinton, ingaggiato da Barack Obama). Dall’altro, una vecchia conoscenza delle trame più oscure del passato italiano: Michael Ledeen, 73 anni, consulente strategico della Casa Bianca con Ronald Reagan e George W. Bush, ma soprattutto consulente strategico della Cia. Un incarico che lo ha portato ad essere la mente della linea dura nella Guerra Fredda di Reagan contro Mosca, la mente degli squadroni della morte in Nicaragua, nonché consulente del nostro Sismi nella Strategia della tensione degli anni ’70. Bene, questo anziano signore è ora consulente di Renzi in politica estera. Chiacchierano spesso. E la cosa in giro si sa, tanto che il New York Post ha scritto che i maggiori ammiratori di Matteo negli Usa stanno negli ambienti della destra neo-con, legati alle lobby pro-Israele e pro-Arabia Saudita. Di sicuro, è con Ledeen e con gli ambienti di destra Usa che il sindaco di Firenze ha costruito i suoi primi rapporti oltreoceano, tanto che nel 2012 non riuscì a ottenere un incontro con Bill Clinton in visita a Firenze. Renzi avrebbe voluto farne il suo testimonial della campagna per le primarie contro Bersani, ma l’ex presidente Usa non si concesse.
Macbeth_stregheOra è diverso, la macchina da guerra renziana è riuscita a bilanciare i legami con Ledeen tessendo contatti anche nel mondo progressista a stelle e strisce. Browne lo trova normale. «Quando un politico straniero con grandi ambizioni visita Washington è giusto che stabilisca rapporti con tutte e due le parti politiche. Ma gli incontri di quel genere sono diversi da quelli in cui si scambiano idee, valori e modi di far politica. Dubito che discuta di queste cose con conservatori», dice al Sole24ore. Ledeen dice che con Renzi parla «delle cose che mi illudo di conoscere, Medio Oriente, Russia, chi sale e chi scende nella scena politica americana».
Chi sale e chi scende nella corte di Renzi sarà materia di studio dei prossimi anni. Tante se ne vedranno, come in tutte le lunghe dinastie che si rispettino. Nuovi acquisti e abbandoni, antichi cortigiani o paggi di primo pelo. Il tutto senza steccati ideologici, oltre destra e sinistra, a sfidare le antiche definizioni pur usando personaggi del passato, come Verdini o Ledeen. In fondo, siccome nato dal ‘letticidio’, il mondo renziano è un po’ come il Macbeth: lì dove «il bello è brutto il brutto è bello», ammonivano le streghe shakespeariane.

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