di DETJON BEGAJ.

 

Dopo l’articolo sull’esperienza napoletana di Massa Critica, pubblichiamo ora un pezzo molto utile sull’altrettanto significativa esperienza bolognese. Continuiamo a raccogliere materiali sugli esperimenti neomunicipalisti, convinti che connettere questi processi ed elaborare insieme un orizzonte politico sempre più ampio e inclusivo, fuori da ogni localismo, può essere oggi un contributo per il lavoro di costruzione – dal basso e finalmente! – di efficaci coalizioni sociali (EN).

 

Le cronache nazionali hanno cominciato da poco ad occuparsene ma sul tavolo di Renzi (e Alfano) i nodi politici della città felsinea sono in attesa di essere sciolti già da un anno, nonostante già il 30 luglio l’assemblea cittadina del PD abbia dato formalmente il via alla ricandidatura, per un secondo mandato, dell’attuale sindaco Virginio Merola.

Una ricandidatura tuttavia ancora in bilico che sebbene venga ribadita come definitiva, indiscutibile e l’unica capace di vincere al primo turno continua a non convincere tutto il PD. Voci di corridoio e gli attacchi del Ministro dell’ambiente Galletti, che più volte ha espresso di voler preferire a Merola un’alleanza centrista sul modello di governo nazionale, potrebbero non fermarsi persino di fronte all’esito, giudicato positivo, del sondaggio commissionato dal partito romano. Quel che è certo è che una ricognizione su altre figure candidabili c’è stata e forse è tutt’ora in corso.

A contendere la poltrona da primo cittadino vi è poi una destra troppo frammentata (la recente adunata Salvini-Berlusconi-Meloni non è servita ad illuminarne il cammino locale), mentre sul fronte del  Movimento Cinque Stelle, considerato il più papabile per il ballottaggio grazie più alla rendita del “marchio” che ai suoi esponenti, il tappeto che Beppe Grillo ha steso per la candidatura di Massimo Bugani è ormai fin troppo macchiato dalla lotta intestina lanciata da un documento in cui 100 iscritti accusano il Movimento di mancanza di democrazia e trasparenza. Dopo giorni di dure polemiche e assemblee di fuoco, i padroni del Movimento hanno ceduto: richiesta di primarie accolta.

Per chi governa la questione dunque è certamente più complessa dello scegliere o meno un candidato simpatico a Renzi fregandosene di una moria di tessere senza precedenti (a Bologna erano 19.500 nel 2013, 14.000 nel 2014 e 11.000 nell’anno che sta per concludersi), ma ha a che fare con l’importazione del progetto di “Partito della Nazione” e le sue politiche ultra-liberali in una città per cui l’eredità della “febbre del fare” del PCI e il grande sogno social-democratico sembrano ormai più delle fiabe che racconti nostalgici. Il PD oltre alle tessere sta perdendo il sostegno di importanti associazioni culturali, storici circoli lgbtq, organizzazioni e associazioni che operano nei settori della marginalità sociale: un mondo per il quale in quel progetto non c’è più agibilità nonostante abbia costituito per anni forti legami col partito nel territorio bolognese. Pezzi di società abbandonano la grande nave per salpare verso altri mari, in cui il municipalismo non è la ricerca più chi può rappresentare quelle identità, ma il coalizzarsi per porsi direttamente obiettivi di governo.

L’ebollizione di Bologna non la si comprende però senza analizzare il ruolo delle lotte sociali, in particolar modo di quelle per il diritto all’abitare, e di come queste si sono scontrate con il nuovo questore e il Procuratore con deleghe all’ordine pubblico Valter Giovannini, noto per la sua costante ricerca di attenzione mediatica. L’ultimo anno ha visto infatti una vera e propria parabola del movimento per la casa, prima protagonista con la proliferazione di numerose occupazioni a scopo abitativo, successivamente con una seconda stagione fatta di violenti sgomberi e polemiche politiche che stanno lasciando un segno indelebile, tra velenose dichiarazioni, accuse reciproche e interrogazioni parlamentari che segnalano ancora lo scontro tra poteri e un clima teso tra l’amministrazione e i titolari dell’ordine pubblico. Ci sono infatti ben tre inchieste aperte dalla Procura nei confronti di Merola, tutte riguardanti proprio la gestione delle occupazioni in città, oggetto fra l’altro proprio del sondaggio elettorale: aver allacciato l’acqua in un palazzo violando l’art. 5 del cosiddetto “piano casa” e due omissioni di atti di ufficio per mancato sgombero tempestivo. Basterebbe questa differenza sostanziale per dire che non siamo di fronte ad un “caso Marino” in ragù bolognese, se non per dimostrare ancora una volta la gestione proprietaria del PD.

I dati, del resto, indicano che quest’anno gli sfratti in città raggiungono la quota record di 1500. La torsione in questa seconda fase repressiva, tale per cui qualcuno ha definito Bologna “capitale degli sgomberi”,  si è articolata a cavallo dell’annuncio della ricandidatura di Merola avvenuta con la trattativa sul superamento, seppur temporaneo, delle turbolenze provenienti dall’ala renziana del PD e dopo l’insediamento del nuovo questore “tolleranza-zero” Ignazio Coccia (che alla sua prima conferenza stampa dichiarò tra le priorità la battaglia contro “le forme di antagonismo”).bologna1

Mesi di accanimento giudiziario sui militanti politici ed un autunno cominciato con una pioggia di misure cautelari – tutt’ora vigenti – tra cui quelle a cinque attivisti del Tpo e di Làbas per “fatti di piazza” riguardanti lo sgombero in primavera di una palazzina e una manifestazione antifascista dello scorso anno, raggiungono il picco con le immagini di decine di famiglie e bambini per strada assediati dai reparti antisommossa in via Solferino e all’ex Telecom. Il clamoroso sgombero di Atlantide, storico spazio autogestito LGBTQ che in Porta Santo Stefano è stato di casa per 17 anni, è stato invece deciso direttamente dal PD in contrasto con l’assessore Alberto Ronchi che ne stava trattando le sorti. In queste ore si è consumato infine il braccio di ferro sull’occupazione dell’ex sede delle Poste Italiane , che ha visto decine di famiglie resistere sopra un tetto, per quasi tre giorni, all’assedio della polizia. Oltre alle già richiamate inchieste giudiziarie sull’operato del Sindaco, le vicende hanno portato sulla graticola l’assessore al welfare Amelia Frascaroli  e alla cacciata dalla giunta comunale proprio dell’assessore alla cultura Ronchi, che ha definito poi il PD “una disgrazia per la città”.

Per intenderci, si tratta di un arco di periodo in cui emergeva la più grande inchiesta sulla mafia in Emilia Romagna denominata “Aemilia” con 219 imputati, si iscriveva al registro degli indagati il Direttore Generale di Legacoop Bologna per il caso “Colata di Idice” e si apprendeva il dramma del rischio fallimento, poi concretizzatosi, di Coop Costruzioni con i suoi 370 dipendenti. Ultimo in ordine cronologico c’è anche l’annuncio di Philips di licenziare 243 lavoratori della Saeco. Non proprio bazzecole per la “Città Rossa”, alle prese con megalomani e testardi progetti che sembrano essere rinviati all’infinito: ampliamenti della tangenziale, passanti nord, un contestatissimo People Mover per implementare inutilmente il collegamento all’aeroporto, la costruzione di un nuovo campus universitario fino alla tanto chiacchierata “Disneyland del cibo” all’ex Caab.

A questo punto occorre essere chiari: la fase esprime non solo la manifesta difficoltà di estensione dei movimenti sociali, ma forse anche l’inadeguatezza degli spazi ricompositivi di cui ci abbiamo provato a servirci per legare fra loro i conflitti.  La scommessa è questa: agire con gli occhi delle esperienze europee che rompendo la gabbia ideologica dell’alternativa secca tra riforma e rivoluzione si pongono come possibile alternativa maggioritaria alle derive centriste o di destra. Si può essere Bologna a Barcellona e Barcellona a Bologna? Qui fa irruzione il progetto di alternativa civica al Partito Democratico, al M5S e alla destra. La lotta allarga il terreno di contendimento del potere, affinché si possano costruire altre istituzioni, contrarie e nuove.bologna2

Siamo partiti da sei punti programmatici: un progetto aperto; nessun simbolo di partito; una lista civica unitaria; facce nuove e nuove leadership; nessuna poltrona garantita; si lotta dal basso contro la casta dell’alto fatta di palazzinari, speculatori, affaristi e poltronisti. Centri sociali, lavoratori autonomi e precari, insegnanti protagonisti della battaglia sul referendum (poi tradito proprio da questa amministrazione) per la scuola pubblica, operatori sociali, figure note nella promozione dei valori dello sport, attivisti per la parità di genere e comitati cittadini ambientalisti si sono messi in gioco attraverso molteplici e partecipate assemblee pubbliche. Il processo dovrà condurre ad una lista civica unitaria dove le parzialità esercitano fra loro un mutuo riconoscimento reale e non solo di scopo.

È significativo che il percorso di #bonalè (“bona lè”, locuzione bolognese che significa “basta”) sia stato lanciato da una condizione di arresti domiciliari e abbia portato centinaia di persone ad incontrarsi, per discutere di come determinare il governo della città, dentro un’ex caserma occupata da tre anni (Làbas), di proprietà di Cassa Depositi e Prestiti, che nonostante i noti progetti di mutualismo e welfare partecipativo è stata destinata da un piano edilizio alla speculazione, per divenire un albergo di lusso, un ristorante ed un parcheggio.

Al di là di tutto, il processo politico che si è aperto sembra avere un forte carattere di irreversibilità, almeno per quanto riguarda la ribellione dell’Urbs al destino di divisione imposto dalle cricche che detengono il potere in città. Anche a Bologna i ricchi diventano sempre più ricchi e i poveri sempre più poveri, con meno diritti e servizi alla persona. Per rendere la nostra città la meno diseguale d’Europa occorre unire queste componenti e rompere il legame tra il decisionismo reazionario del PD e l’incapacità della rappresentanza di tradurre in azione lo scopo per cui è stato eletta, causata da metodi vetusti e da un commissariamento della politica operata da un pezzo della Magistratura e da altri poteri forti. Sta a noi, infine,  ribaltare la scena e commissariare per sempre il vecchio per conquistare il diritto al nuovo che verrà. Direzione: #tuttinsieme dal basso contro l’alto.

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