Di TONI NEGRI.

Che cosa succede in Francia? Lo comprenderemo nei prossimi mesi. Per ora, se restiamo in superficie, non si può che constatare una situazione estremamente tesa. Se solo andiamo un po’ più a fondo, la durezza della lotta di classe risalta con piena con evidenza.

Macron ha costruito le elezioni europee come un referendum tra se stesso e il Rassemblement National (RN) della Le Pen – alla stessa maniera nella quale si era mosso due anni fa, al momento della sua elezione. Ma allora era stato costretto a questa condizione, ora l’ha creata pensando di valersene. Ed ha perso. Una sconfitta dura che male configura un futuro prossimo facile per le radicali riforme liberali che il suo governo continua a imporre.

Marine Le Pen lo ringrazia. Potrebbe far meglio di lui, strategicamente, nell’imporre alla Francia un regime neoliberale? No di sicuro: quindi, tatticamente, lo tallona e lo denuncia scagliandogli contro geremiadi populiste. Il RN aspira ormai, su suggerimento di Salvini, a non essere considerato un partito estremista, ai bordi del fascismo, ma un forte partito nazionale – in questa prospettiva auspica di divenire la forza egemone di una destra, un tempo gaullista e potente, ora ridotta alle dimensioni e all’immagine di quella guidata da Berlusconi in Italia. Anche Macron può vincere daccapo se si mangia quel che resta della destra. Lo scontro con il RN della Le Pen è diventato concorrenza su chi sarà più abile a digerire la vecchia destra, un tempo – vien quasi la nostalgia – antifascista. Si aggiunga, per caratterizzare l’orizzonte politico interno, che la sinistra è spappolata e inesistente sul terreno parlamentare. PCF, socialisti fedeli alla social-democrazia e socialisti infedeli (Hamon), France Insoumise, son tutti in grave crisi.

Fuori da questo panorama ci sono solo i gilets jaunes. Ed anche su questo lato la situazione è, per Macron, pericolosa. I gilets jaunes non hanno partecipato alle elezioni e chi pensava di trarre vantaggio dalla loro assenza, nulla ha ottenuto. Né il RN né la France Insoumise hanno raccolto voti dai gilets jaunes, che rappresentano un’incognita ed un ostacolo per tutte le forze politiche presenti in Francia.

Da sei mesi il movimento continua. Dà segni di stanchezza, ma certamente tiene. È un contropotere in atto. Ha incassato i 17 miliardi che gli sono stati offerti da Macron (più di quanto i sindacati abbiano ottenuto negli ultimi dieci anni) ma non glien’è stato grato. Il movimento ha rifiutato il Grand débat ed ha sviluppato una sua più avanzata presa di coscienza e definizione di programma nei dibattiti che si danno dentro ogni manifestazione, nella riconquista (parziale e difficile sotto la violentissima repressione di questi ultimi mesi) dei ronds-points, nei comitati di base e di quartiere, e soprattutto attraverso le due grandi Assemblee delle assemblee che si sono susseguite ed ora la terza che si prepara. Inoltre, dopo sei mesi di lotte, e qualche scontro violentissimo con la polizia (nel dicembre 2018 e nel marzo 2019, oltreché il primo maggio), il movimento continua ad avere un solido appoggio popolare.

La risposta di Macron è sorda. Egli presenta una politica decisamente autoritaria per rimettere il paese in piedi secondo le norme neoliberali – una “politica cilena”, che attacca ogni “privilegio” (così chiamato) del Welfare o dovuto all’eredità delle lotte operaie e sociali dei due secoli passati. Nella crisi attuale del neoliberalismo impressionano la sua ostinazione ad un piano di “riforme”, intrattabili ed irreversibili, e la cinica abilità di una governance usata per evitare o aggirare gli ostacoli e per ricominciare sempre di nuovo, fino ad esaurimento, le campagne di riforma. Il quadro è preciso: sviluppare a fondo, senza alcuna riserva, senza alcun blocco, la ristrutturazione della società prescrittagli dal capitalismo globale.

Macron pensa di poter incrostare questa operazione neoliberale nel nuovo governo europeo. Questo significa imporre un quadro volontaristico, politico, alla realizzazione di un programma neoliberale per l’Europa, se necessario (e a suo parere lo è) alternativo alla gestione tedesca, tecnocratica ed ordo-capitalista, fin qui dominante a Bruxelles. È davvero impressionante notare a che punto, su questo terreno, coincidano le ossessioni neoliberali, nutrite nella crisi, da Macron e le neofite impulsioni autocratiche e fascistoidi di Salvini.

In questo quadro Macron sta sviluppando un programma politico in due direzioni: contro il salario e contro la democrazia, cioè contro i due poli centrali del programma dei gilets jaunes.

Contro il salario, ovvero per la costrizione al lavoro: è un programma netto e preciso, sia esso detto (in maniera colta) in termini meritocratici e di competitività, oppure attraverso più miserabili e consuete ingiunzioni padronali all’aumento delle ore lavorative, alla riduzione manageriale della forza-lavoro occupata (soprattutto dallo Stato), nell’esaltazione degli straordinari e nei ripetuti tentativi di liquidazione degli effetti assicurativi delle contribuzioni pensionistiche. Si aggiungono le privatizzazioni e l’imposizione di uno stile imprenditoriale privato sull’amministrazione pubblica, con i disastri e le sofferenze che ne seguono. In ogni caso, la legge del valore-lavoro è applicata ferocemente, in maniera bonapartista, dal nostro Macron! Proprio ora, quando è finalmente inapplicabile perché la produttività del sistema sta nella cooperazione lavorativa, nella socializzazione produttiva, nella costruzione di linguaggi, nel General Intellect! Ma ancora serve a imporre ordine, disciplina e gerarchia.

Contro la democrazia, ovvero per la difesa dell’ordinamento rappresentativo così com’è – per la sua attuale rigidità nell’escludere forze contrarie al regime neoliberale e per la sua flessibilità e le possibilità che offre ad un disegno di lunga tenuta neoliberale sul livello continentale. Il calcolo macroniano e il cinismo neoliberale si muovono anche sulla certa impossibilità del riorganizzarsi di forze di sinistra, ormai giocate nella loro divisione dagli attuali sistemi elettorali – lo impediscono le nuove condizioni della comunicazione, completamente dominata dal potere e gli strumenti di repressione, la cui efficacia diviene insostenibile per ogni manifestazione di libertà.

I gilets jaunes sono, per ora, l’unica forza politica sul continente che ha preso piena coscienza del pericolo mortale, presentato da Macron, per qualsiasi progetto di liberazione da un regime di sfruttamento e miseria e di affossamento di ogni libertà. Salario sociale e democrazia diretta sono le bandiere dei gilets jaunes. Essi sono un contropotere in atto e un programma per l’avvenire. Macron lo ha compreso e da sei mesi si scontra ferocemente con loro. Solo se li batte, sui due punti che costituiscono – esattamente contrapposti, reciprocamente rovesciati – il programma, suo e dei gilets jaunes: salario e democrazia… solo in questo caso potrà passare all’incasso (la rielezione presidenziale, la continuità delle riforme liberali per l’intera Europa), riproponendo un referendum vincente con la Le Pen.

Attenzione, la guerra di classe in Francia è ridiventata centrale nell’orizzonte europeo. Ed i gilets jaunes, pur sembrando talora comunardi destinati ad un eroico sacrificio (ma in questi sei mesi hanno mostrato di essere più vitali di Belzebù), sono comunque gli indicatori di come oggi si combatte contro l’ordine capitalista: in maniera inscindibile sui due fronti del salario (del costo della vita) e della democrazia (della lotta contro il fascismo della governance neoliberale). Inutile ricordare come quel programma includa, nella potenza dell’egualitarismo e della solidarietà, gran parte delle rivendicazioni di genere, di razza e di classe di cui la lotta comunista si è finalmente riappropriata nella loro interezza. Non è questo il momento giusto perché in Europa, prendendo l’esempio dai gilets jaunes, i movimenti comincino a chiedersi che cosa sia divenire contropotere?

 

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