Segnaliamo l’uscita del libro Cosa può una nave?, il primo diario collettivo di bordo delle missioni di salvataggio in mare di Mediterranea Saving Humans.

Di DINAMOPRESS

«Raccontare Mediterranea non vuol dire per noi scrivere di immigrazione, un tema sul quale le parole sembrano talvolta sature di enfasi, di retorica o di compassione. Vuol dire scrivere a partire da noi», così scrive Giuliana Visco nell’introduzione di Cosa può una nave, il racconto collettivo che esce a un anno esatto dalla nascita del progetto di mettere in mare una nave battente italiana per il salvataggio dei migranti. Mediterranea Saving Humans, appunto.

L’idea era venuta a un piccolo gruppo di attivisti italiani nel giugno del 2018. Erano gli stessi giorni in cui il ministro dell’Interno Matteo Salvini aveva chiuso con successo i porti italiani all’Aquarius, nave delle Ong Sos Méditerranée e Medici Senza Frontiere che trasportava seicento migranti salvati nelle ore precedenti.

Era il culmine, l’ultimo atto di una violenta campagna che il governo italiano aveva cominciato nell’anno precedente (al tempo del governo Gentiloni e del ministro dell’Interno Marco Minniti) contro «le organizzazioni umanitarie che si occupavano del monitoraggio e del salvataggio dei migranti in difficoltà nel Mediterraneo centrale». Così evocano la nascita di Mediterranea in uno dei saggi che compongono Cosa può una nave Michael Hardt, Professor of Literature alla Duke University-Usa, e Sandro Mezzadra, Professore di Filosofia del Diritto all’Università di Bologna e tra i fondatori del progetto. «Sebbene molti di noi avessero espresso critiche sul ruolo che le ONG umanitarie avevano assunto nel governo delle frontiere e delle migrazioni, in nome della “ragione umanitaria”, eravamo ben consapevoli delle disastrose conseguenze che potevano derivare dalla criminalizzazione delle loro attività».

In tal modo, scrivono Hardt e Mezzadra: «Le ragioni del nostro progetto erano chiare. Soccorrere coloro che si trovano in difficoltà per mare e condurli in un porto sicuro. È la legge fondamentale di chi va per mare». Per far salpare in mare la nave Mar Jonio, ricordano ancora gli autori, «abbiamo trovato il sostegno di un’istituzione di finanza alternativa, Banca Etica, una banca cooperativa operante in Italia e in Spagna, che ha sostenuto il finanziamento del progetto con la garanzia di un piccolo gruppo di parlamentari di Sinistra Italiana».

CHI VIVE E CHI MUORE, IN MARE

La missione di soccorso umanitario della Mare Jonio è solo una parte del progetto. L’altra faccia è costituita dall’aspetto di terra di Mediterranea, una piattaforma articolata di azione e cooperazione politica, una rete che ha avuto tra i promotori l’Arci, i centri sociali di Bologna con la loro associazione “Ya Basta”, l’atelier autogestito Esc, spazio sociale situato nel quartiere romano di San Lorenzo.

Luca Casarini, capo missione di Mediterranea Saving Humans, scrive in Vita e morte in mare, uno dei saggi contenuti nel racconto collettivo: «Oggi Mediterranea ha compiuto 15 missioni, partecipando al soccorso diretto e indiretto di quasi 600 persone. Il crowdfunding ha raccolto 800mila euro in 8 mesi attraverso migliaia di piccole donazioni». E ancora: «Per Mediterranea lavorano equipaggi di terra ed equipaggi di mare». E, in questo senso, conclude: «La battaglia per il rispetto dei diritti umani, e per il soccorso in mare, è diretta espressione di pratiche concrete».

Del «navigare verso la bellezza» scrive la ricercatrice Alessandra Sciurba, impegnata fin dall’inizio nelle missioni attraverso cui Mediterranea ha portato in salvo uomini, donne e bambini. «La bellezza del sentire sempre che a bordo eravamo tutte e tutti insieme. Quello sconfinato Noi che si compone di tutti gli equipaggi di mare e di terra». E ancora, scrive Sciurba: «Abbiamo scoperto che una nave può cambiare ogni cosa. È in questo tempo di transizione paludosa, che sembra preannunciare periodi ancora peggiori di quelli già vissuti, dalla terra al mare, sappiamo che non è il momento di dichiararsi paghi».

IL SOCCORSO COME PRATICA DI DISSENSO

Si intitola così il racconto scritto da Daniela Galiè che, oltre a essere una delle attiviste italiane impegnate direttamente nelle operazioni di soccorso di Mediterranea all’interno del rescue team (squadra di salvataggio), è anche redattrice di Dinamopress. Galiè racconta in prima persona la missione cominciata all’alba del 28 agosto del 2019, quando la nave Mar Jonio intercetta un gommone alla deriva a circa 70 miglia a nord di Misurata, con a bordo 98 migranti che vengono condotti sul rimorchiatore dopo una lunga operazione di salvataggio. E i giorni e le notti infernali vissute in alto mare, a soli 13 miglia di Lampedusa, conseguenza del divieto di sbarco e ingresso in acque territoriali firmato dall’allora ministro dell’Interno, Matteo Salvini.

Giorni vissuti pericolosamente, con le onde del mare alte fino a due metri, insieme a 98 persone la maggior parte delle quali provenienti da Costa d’Avorio, Camerun, Gambia e Nigeria, tra queste 22 bambini con meno di dieci anni e 26 donne, di cui otto incinte. Fino a che: «solo al quinto giorno di blocco e a seguito di una lunga nottata passata al Vhf (radio) di bordo, dopo due relazioni mediche inviate dalle autorità sulle condizioni psicologiche dei 31 naufraghi rimasti a bordo, la Capitaneria di Porto ha annunciato che si sarebbero predisposte le operazioni di trasbordo e di sbarco per motivi sanitari». Così rievoca quegli istanti sulla nave, Galiè: «A quel punto è esplosa la gioia e la commozione, mentre annunciavamo la notizia ai ragazzi che da giorni, guardando Lampedusa ci raccontavano dei loro progetti, delle loro ambizioni, della loro idea di Europa».

Certo un continente idealmente aperto, anni luce distante da quella pratica di chiusura e respingimento messa in campo attraverso le politiche europee di cooperazione allo sviluppo, specie quelle italiane, raccontate nell’inchiesta di Gaetano De Monte pubblicata in parte sul nostro sito alla vigilia del rinnovo del memorandum tra Italia e Libia e che è posta a chiusura del libro.

Il primo diario collettivo di bordo delle missioni di soccorso e salvataggio di Mediterranea è arricchito da un’intera sezione che raccoglie i disegni di Claudio Calia. Oltre ai testi già citati, c’è un’intervista di Sandro Mezzadra all’armatore della Mare Jonio Sandro Metz, un saggio di Enrica Rigo (“Le lotte per la libertà dentro e contro l’ordine giuridico delle frontiere in Europa”) e un testo di Stefano Caselli, coordinatore sanitario della missione, sul diritto alla salute. Il risultato complessivo è una scrittura viva che produce un sapere situato e di parte, per non perdere la bussola tra le onde del presente.

Questo articolo è stato pubblicato su DinamoPress il 9 gennaio 2020.

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