di MICHELE SPANÒ.

Ammesso e non concesso che esistesse, sul modello del non meno fasullo instituere vitam, un sintagma che recitasse instituere philophiam, la patacca maccheronica custodirebbe un potenziale polemico almeno altrettanto incendiario di quello conservato nel suo fittizio parente putativo. Se da sempre si immagina (o, più correttamente, ci si addestra a immaginare) l’ambiente della filosofia tale quale un cielo rarefatto di concetti e astrazioni, un dominio purissimo e sideralmente lontano da rapporti di forza e potere e desiderio, dalla materialità dei corpi (singolari e collettivi, di carne e di parole), allora questo volume è da intendersi come una meditata, sobria, ma insieme esatta e testarda, smentita di questa immagine e di questo immaginario. Il che non vuol dire, evidentemente, che vi si parli di filosofia come alcunché che, così come per l’artigianato la bottega, trovasse il proprio limite e il suo luogo deputato in un dipartimento universitario. Politiche della filosofia. Istituzioni, soggetti, discorsi, pratiche, a cura di Pierpaolo Cesaroni e Sandro Chignola (DeriveApprodi, pp. 224, euro 17) è il tentativo – topologicamente assai audace – di indicare il luogo proprio – e dunque il più radicalmente improprio o comune, per definizione eccepito e però tacitamente sempre praticato – della filosofia tra il cielo (il fuori) e il dipartimento (il dentro).

Il libro esibisce il tema che lo anima – il rapporto tra filosofia e ‘istituzionalità’ (etichetta barbara capace di condensare, almeno, i concetti di ‘istituzione’ e ‘istituzionalizzazione’) – nel corpo che ha deciso di fabbricarsi: una collezione di saggi – dotati ciascuno di autonoma consistenza – frutto di un paio di cicli seminariali. Quest’origine spuria è rivendicata e insieme amplificata, oppure sabotata, dalla forma del libro: dotato di un coefficiente di riflessività elevato (reso esplicito e quasi, così pare, offerto a un dibattito a venire, in un gioco insistito tra quelle pratiche istituenti che stanno fuori dai discorsi istituiti e la baldanza speculativa che abita lo spazio del discorso e dell’istituzione, anch’essa, sempre e una volta di più, luogo e pratica). Si tratta insomma, anche, di un libro sulla capacità di ereditare e di trasmettere (sulla traditio, potrebbe dirsi cedendo a un certo preziosismo). L’eredità è quella del gruppo di ricerca sui concetti politici fondato a Padova da Giuseppe Duso: collettivo di studiosi singolarmente colti, agrimensori cocciuti della testualità della filosofia politica moderna, e in “divergente accordo” con la propria stessa Università; la trasmissione è ciò che spiega che quella che Cesaroni e Chignola convocano e ospitano è una generazione – non anagraficamente – precaria, per nulla ‘piagnona’, che coltiva relazioni molteplici nello spazio (non solo della ricerca) e una buona dose di eclettismo disciplinare, testimoniando – quando si rivela generazione politica – in vivo, le premesse dell’intera ricerca.

Politiche della filosofia, sarà a questo punto chiaro, ruota attorno a due fuochi (secondo l’immagine, assai cara a uno dei due curatori, dell’elisse): la filosofia politica (e l’endiadi custodita da questo nome, viene fatto di dire, è la stessa posta in gioco della ricerca) da un lato, e l’Università dall’altro. I due temi sono insieme dislocati e sabotati: se la filosofia politica è smascherata e costretta a confessare l’implicazione o la macchinazione che unisce e insieme estenua i due termini che ne istituiscono il sintagma urbanizzando uno e rarefacendo l’altro; così l’Università riconosce – storicamente e ancora una volta istituzionalmente – la sua dipendenza dalla filosofia e gli effetti di addomesticamento che le ha fatto subire. A queste archeologie istituzionali i saggi che compongono il volume oppongono una soluzione: quella politica della filosofia che, moltiplicata nel numero, fornisce il titolo alla loro impresa.

Essi cioè praticano, ciascuno a modo suo e in forme più o meno tematiche, un foucaultismo ben temperato: un’interrogazione materialmente ancorata sulla costruzione e la manutenzione dell’archivio della filosofia politica. Un’archeologia, dunque, che ricostruisce, per colpi di sonda, cosa essa sia, chi ne sia il soggetto (nei due sensi della spada) e quali siano i suoi effetti nel determinare estensione e regole del campo di sapere in cui essa interviene. La filosofia è infatti una pratica discorsiva come un’altra: essa è cioè una politica. Pratica mondana e contingente che troppo spesso finisce con il naturalizzare i suoi apparecchi operativi e con il mitizzare la propria vicissitudine storica. Il processo di istituzionalizzazione della filosofia – inevitabile e insieme sempre problematizzabile – è ciò che i saggi si incaricano di restituire, rivelando perciò, storicamente e speculativamente, il piano di consistenza, materiale e discorsivo, che ha permesso a una politica della filosofia di installarsi, con maggiore o minore fortuna, nell’arredo dei saperi di un’epoca.

Si potrebbe perciò immaginare il programma di ricerca che il volume ha il merito di inaugurare insieme come un’indagine comparata sulle politiche della filosofia e la pratica, in actu, di una politica delle politiche della filosofia (cioè, quel che, chiudendo il libro, ci si sarà fatti capaci di chiamare una filosofia). La filosofia infatti non è chiamata a uscire dall’Università, come se questa fosse la sua prigione, ma a farsi contestazione perpetua delle proprie condizioni istituzionali di possibilità: anche all’Università, proprio all’Università. È la destinazione della filosofia all’istituzione (cioè a un modo del comune) a rendere necessaria questa operazione; pena una filosofia risolta e come dissolta nel sociale (un mitologema che proprio alla filosofia sta di problematizzare) o al più tradizionale e purtroppo diffuso irrigidimento disciplinare (leggi: accademico) del sapere filosofico. L’obiettivo, se ce n’è, non è perciò la restituzione della filosofia a quel cielo dei concetti (fossero anche i più selvaggi, i meno mediati) dove si immaginava albergasse, ma la volontà, insieme energica e studiata, di farla finita una volta per tutte, su questa terra, con quel cielo.

Questo articolo è uscito su Il Manifesto il 5/04/2017

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