Pubblichiamo qui un testo a seguito dell’assemblea del 23 novembre a Bologna.

L’assemblea del 23 novembre a VAG61, a Bologna, è stato un primo esperimento per provare ad aprire nuovi scenari per le lotte. Non sono certo mancati limiti nel modo in cui l’assemblea è stata costruita, anche per via dell’urgenza che avvertivamo. Constatiamo in ogni caso che la proposta di una discussione politica aperta a percorsi e realtà di movimento ha intercettato un bisogno diffuso di confronto, un’inquietudine condivisa potremmo dire. C’è bisogno di convergenze, vanno affinati i modi e trovate le direzioni. Viviamo in tempi duri, la guerra a Gaza e il femminicidio di Giulia Cecchettin hanno in qualche modo costituito la cornice della discussione, così come le recenti vittorie dell’estrema destra in due Paesi diversamente ma altrettanto importanti per noi, l’Argentina e l’Olanda. Tutte e tutti noi condividiamo l’importanza della resistenza in questi tempi duri, ma nelle oltre due ore di confronto assembleare abbiamo anche condiviso la ricerca di vie che ci consentano di uscire dalla posizione difensiva che la resistenza necessariamente ci attribuisce.

Abbiamo detto che in questo senso Bologna rappresenta un’anomalia: qui i percorsi di lotta si moltiplicano, confrontandosi con un governo della città che ha caratteristiche diverse rispetto ad altre amministrazioni di centrosinistra in questo Paese. Le lotte sulla casa, le grandi mobilitazioni transfemministe, le iniziative per la giustizia climatica, le manifestazioni per la Palestina, la persistente determinazione dei lavoratori della logistica sono solo alcuni esempi dei percorsi appena richiamati, che insieme ad altri si sono confrontati nell’assemblea del 23 novembre. Ciascuna di queste esperienze e delle realtà organizzate che le animano è preziosa e necessaria; nessuna di esse è sufficiente. È a partire da questa consapevolezza che vogliamo rilanciare la ricerca di uno spazio e di un’iniziativa comune: non la semplice somma di percorsi e realtà ma una reale innovazione politica che ponga le basi per la conquista di potere da parte di chi porta quotidianamente il peso della produzione della “città più progressista d’Italia”, pagando spesso un prezzo intollerabile.

Non proponiamo la cosa più semplice, una nuova assemblea tra un paio di settimane. Piuttosto, vorremmo avviare un processo, con momenti di incontro e di laboratorio nelle prossime settimane, per arrivare semmai a costruire collettivamente un nuovo grande appuntamento assembleare – nonché possibili momenti di mobilitazione. Si tratta intanto di coinvolgere in modo più largo movimenti e soggettività che non hanno avuto spazio nell’assemblea del 23 novembre. Un ruolo fondamentale, in questo senso, non potrà che essere svolto dalle reti che hanno sostenuto le formidabili iniziative contro la violenza maschile del 22 novembre a Bologna (e poi del 25 a Roma): queste iniziative sono già oltre la resistenza, e da esse si deve necessariamente ripartire.

Al centro del lavoro che proponiamo non può che essere la città di Bologna. Vorremmo suggerire due principi di metodo per impostare questo percorso. In primo luogo, coerentemente con la proposta da cui è nata l’assemblea del 23 novembre, ci piacerebbe ragionare sulle trasformazioni che investono la città in una prospettiva che guardi oltre la resistenza. Di quest’ultima non sottovalutiamo certo l’importanza, il punto è semmai individuare linee di forza che consentano di rovesciarla in pratiche di riappropriazione e reinvenzione della città. In secondo luogo, ci sembra decisivo insistere sul fatto che lavorare su Bologna non configura un ripiegamento “localistico” della nostra discussione e delle nostre pratiche, ma piuttosto individuare un insieme di processi e di dinamiche che fanno della città un contenitore di mondi spesso in conflitto tra loro. È insistendo su questo punto, crediamo, che è possibile non certo produrre dei modelli, ma più modestamente offrire degli esempi capaci di ispirare analoghe iniziative in altri contesti. Questo è tanto più importante in una situazione in cui i recenti interventi del governo in materia di sicurezza introducono elementi di violenza nella gestione delle dinamiche urbane e richiedono un’opposizione non certo limitata a una singola città.

L’organizzazione della discussione e del lavoro per le prossime settimane non può che avvenire nella cornice di una cooperazione che cominci a prefigurare il processo collettivo che ci interessa costruire. Per avviare il confronto, iniziamo a proporre quattro possibili terreni di inchiesta e sperimentazione politica. Il divenire città turistica di Bologna ha prodotto profonde trasformazioni che non sono state ancora sufficientemente indagate dal punto di vista della composizione del lavoro che ruota attorno al settore della ristorazione, all’industria della movida e a quella dell’“accoglienza” dei turisti. Certo non prive di connessioni con questi processi, le dinamiche del mercato immobiliare sono al centro di lotte la cui composizione risulta per molti aspetti nuova, e non possono dunque che essere strategiche nella nostra discussione. Il terzo e quarto asse riguardano i due principali vettori di articolazione del rapporto tra Bologna e il mondo, ovvero la logistica (su cui c’è ormai una straordinaria accumulazione di lotte e di sapere critico) e la digitalizzazione, esemplificata dal progetto pilota di “gemello digitale”. Anche su quest’ultimo punto non mancano le esperienze e i lavori di ricerca, da “Reclaim the Tech” a “Into the Black Box”.

Parliamo di terreni e di assi, nella consapevolezza che molti altri se ne possono individuare. Importante per noi è sottolineare che le grandi mobilitazioni degli ultimi mesi, transfemministe, contro i bombardamenti a Gaza, per la giustizia climatica, si pongono trasversalmente rispetto ai temi che abbiamo proposto, e costituiscono le basi materiali a partire da cui una rinnovata politica di movimento può investire la città. Per fare un altro esempio, le lotte attorno alla migrazione – nella loro ricchezza e articolazione, che includono ad esempio la campagna contro i CPR e le diverse iniziative attorno all’“accoglienza” – costituiscono un criterio politicamente decisivo per qualificare il lavoro politico sui quattro assi indicati. 

Pensiamo che sia possibile far vivere e rilanciare la tensione che ha caratterizzato l’assemblea del 23 novembre e che sia soprattutto necessario costruire uno spazio comune delle lotte a Bologna, aperto al mondo e capace di delineare inedite convergenze e nuovi orizzonti di trasformazione radicale dell’esistente nei tempi duri in cui viviamo.

Decidere di provarci, tutte e tutti insieme, è già un primo passo per cominciare a riuscirci.

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