di GIORGIO PASSERONE.

Pubblichiamo un’anticipazione del libro in corso di scrittura di Giorgio Passerone Artisanats et combats, ringraziando l’autore. Il testo è scaricabile in PDF in calce a questa presentazione ragionata.

Questo testo, in versione francese, Il y a concert ce soir. D’un bois aux nouvelles jungles è il risultato di un lavoro teorico e pratico che mette in rapporto due date-evento apparentemente incommensurabili. L’estate 1980 segna lo smantellamento dell’università/laboratorio/68 di Vincennes, l’ultimo baluardo militante contro l’università-impresa alle porte; l’autunno 2016 segna un altro smantellamento deciso dallo Stato al soldo del mercato neoliberista, quello della Giungla dei «migranti» di Calais. Ritornare con la mente agli ultimi giorni di Vincennes non è ricordare ma re-citare la memoria attuale del corso finale di Gilles Deleuze nel «bois» e cioè la questione più politicamente «esistenziale» di tutta la fucina dell’Anti Edipo e di Mille piani: «cos’è una linea di fuga?»1. La risposta continua a straniarci: «la linea di fuga è il movimento intensivo che nella vita e nel linguaggio va dall’assegnazione delle persone e dei soggetti verso una individuazione-evento, singolare e collettiva, che supera ogni semplice effettuazione storica, ma che allo stesso tempo la contro-effettua (par. 1). Atto di resistenza di una potenza di minorazione costituente. È proprio lì l’impercettibile ma decisiva differenza con i «processi di soggettivazione» (par. 2), in quanto le categorie del soggetto (già profondamente «desoggettivato» in Foucault) e dell’oggetto sono per Deleuze «un’approssimazione riduttrice del pensiero e della vita». «Pensare e vivere, si fa piuttosto nel rapporto del territorio e della terra» perché «la terra diventi la leggera», non in un sogno ma nelle lotte contingenti de(gl)i (a)sogget(at)i. A non-privativo, una ricchezza senza mancanza e senza giochi di parola.

La liquidazione di Vincennes ha inviato nel deserto neo-Kapital tutta una generazione in rivolta. Non si contano i rinnegati. Ma è proprio questa esperienza del deserto («il desiderio è un esilio, il desiderio è un deserto… mai un desiderio individuale, mai un desiderio soggettivo, ma un esilio e un deserto collettivi») che, attraversando le sconfitte dei movimenti2, ha portato il nostro collettivo ricercatori-studenti di Lille 3 a Calais. L’atto di resistenza e di creazione non consiste forse nel mettere in tensione il rapporto più stretto e misterioso tra le sue due facce? L’artigianato (la sperimentazione del pensiero di Vincennes come ispirazione per non abdicare all’università-marketing) e la lotta dei più oppressi degli uomini (Khalid, Aïda-Sudan, Riaz-Pakistan, Baback-Iran, Maijd palestinese…, i nuovi compagni, ciascuno una linea di fuga irriducibilmente singolare più forte e più nobile dei traumi tremendi della loro memoria soggettiva).

Il par. 3 verbalizza la calamità dello smantellamento della Giungla. Perché la decisione del governo socialista, il solo responsabile dell’«indigenza» del campo, è stata anzitutto quella di radere una bidonville nel suo farsi «città di passaggio internazionale», luogo di costruzione e di desiderio d’insieme, al di là della divisione tra i volontari (artisti, architetti, alter-economisti, giuristi, militanti di frontiera-no border) e i miganti in richiesta d’asilo, rifugiati, clandestini: un doppio divenire comune, tutti nomadi reali, potenzialmente in atto – né umanitari né migranti – in fuga dalla proprietà privata (e di sé) e pubblica dei poteri stabiliti.

Nella Giungla si è sperimentata non solo la Nuit debout, ma il giorno debout, la vita debout3: la maniera di fare dell’extraterritorialità geografica, dell’eccezione giuridico-politica e dell’esclusione sociale, le nuove armi per abitare il territorio deterritorializzato e per riterritorializzarsi solo su questa deterritorializzazione. Ecco la dimensione politica ed etica più potente di ogni sconfitta che bisogna continuare a tracciare nelle nostre metropoli tra i precari e i ghettizzati, tutti esiliati. E se, malgrado la dispersione programmata dalla Stato, siamo riusciti, poca cosa davvero, a riunire un’ottantina di «compagni» di Calais all’Università di Lille, non vogliamo dimenticare con tutti loro l’oblio della Giungla, e che non sono «degli studenti come gli altri» – leitmotiv istituzionale –, e a cosa serve l’integrazione omologante. La con-ricerca di un altro senso del «comune» desiderabile, fuori dai diktats della competitività (crediti e debiti), università inclusa, implica un laboratorio di lunga durata, uno spazio/tempo «intermezzo», senza origine né fine («i nomadi sanno aspettare ed hanno una pazienza infinita»). Al lettore percepire che il rapporto tra il «bois» della Vincennes deleuziana e le nuove Giungle, consiste come un evento (tutti gli eventi in uno, il più prossimo o l’ultimo stadio della questione) solo se ci forza a reinventarlo caso per caso, attraverso tutto il campo sociale. Teoria e pratica della linea di fuga a fior del reale, (cartografia e non genealogia) ecceità-di fuori sempre intimamente e esteriormente singolare-collettiva (finirla con tutte le forme, anche «processuali», del soggetto), contro il Mercato Financial compact…

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  1. La politica di G.D.: un campo sociale non si definisce per le sue contraddizioni («la nozione di contraddizione è una nozione globale inadeguata, che implica già una forte complicità dei contradditori nei dispositivi del potere») e neppure per le sue strategie; «ciò che è primo è ciò che fugge, fugge anzitutto da ogni parte, le linee di fuga sono prime». 

  2. In Francia 1985-2016: le periferie in fiamme, le rivendicazioni degli ospedali, degli intermittenti dello spettacolo, dei «sans papiers», contro il codice del lavoro, contro la privatizzazione dell’università, La nuit debout: purtroppo sempre, per ora, nell’incapacità di un coordinamento effettivo delle lotte. 

  3. La Giungla-fabbrica: abitazioni, ristoranti, boutiques dall’economia marginale condivisa, teatri, forum, scuole, music–hall, luoghi di culto inter-religiosi…