di FEDERICO TOMASELLO.

Relazione introduttiva alla presentazione del progetto EuroNomade, Roma, 11 aprile 2014 (→ qui lo streaming dell’assemblea)

A me spetta il compito di presentarvi il progetto EuroNomade nelle sue linee più generali: lo farò in tre passaggi. Comincerò cercando di restituire brevemente la genesi, le ragioni e gli obiettivi del progetto. Mi soffermerò in secondo luogo sulla centralità del discorso sull’Europa facendo riferimento in particolare al percorso collettivo di costruzione di una Carta per l’Europa inaugurato con il meeting di Madrid di fine febbraio. Cercherò infine di presentare alcune coordinate fondamentali del progetto EuroNomade inerenti all’agenda, al collettivo e al nostro sito web.

1. La discontinuità.

EuroNomade3EuroNomade è un progetto estremamente giovane nella misura in cui è nato l’estate scorsa e ha visto il proprio momento costituente nelle → giornate seminariali dello scorso settembre a Passignano sul Trasimeno. Ma è anche un percorso ben radicato – oltre che, naturalmente, nella lunga tradizione di pensiero dell’operaismo italiano – nei nove anni di vita dell’esperienza di UniNomade e, dal 2011, di UniNomade 2.0.
Vorrei partire da qui, da una breve illustrazione delle ragioni che ci hanno spinto a segnare una discontinuità rispetto a quella esperienza, perché mi pare che esse possano indicare le coordinate fondamentali del lavoro che oggi intendiamo portare avanti. Un’illustrazione che naturalmente intreccia passaggi che collettivamente abbiamo operato con quello che è il vissuto personale e un’interpretazione soggettiva di questi ultimi. Direi anzi che la discontinuità segnata da EuroNomade rispetto al percorso precedente ha a che fare anche con il maturare di percezioni soggettive di disagio crescente verso la sproporzione che si cominciava ad avvertire fra il tenore della nostra iniziativa, del nostro discorso, e la consistenza dei processi in atto.
Si è trattato dunque anzitutto della volontà di mettere da parte alcune retoriche talvolta meramente celebrative e nutrite di un utilizzo un po’ rituale di talune categorie che ci erano proprie per rendersi invece pienamente disponibili a posizionare lo sguardo anche in corrispondenza dei limiti del nostro discorso, e più in generale del clamoroso iato che pare scavarsi fra la violenza della crisi da una parte e il tenore, la capacità delle lotte di rispondere a tale violenza in maniera efficace dall’altra. Il punto era insomma approfondire l’interrogazione sul mancato rovesciamento della crisi in spazi e possibilità concrete di trasformazione: anche da qui riemerge e si rafforza la centralità del discorso sull’Europa.
Si trattava allora, abbiamo scritto, di «sospendere i riferimenti al “già noto”» allo scopo di aprire un’interrogazione radicale su «cosa significa fare politica oggi», su come immaginare, disponendosi veramente a navigare in mare aperto, una nuova politica per il comune, come recita il titolo del nostro incontro di oggi. E ciò non poteva che comportare anche una qualche dose di critica nei confronti di certe antropologie militanti che pure ci sono care e familiari, e l’apertura di una discontinuità tanto sul terreno dell’innovazione teorica quanto su quello dell’immaginazione politica.

1.1 La discontinuità nell’innovazione teorica. Sul terreno dell’innovazione teorica la discontinuità ha significato anzitutto nominare esplicitamente la necessità di disporsi anche, nel lavoro di critica e cartografia del presente, a riconsiderare dal punto di vista dei loro limiti alcune categorie, paradigmi e arnesi fondamentali che portiamo con noi dalla vicenda operaista e poi dalla pratica del post-operaismo, prendendo in tal senso molto sul serio anche quell’immagine di transizione cui questa etichetta “post” rimanda e i processi di ibridazione che ne hanno segnato gli sviluppi. Vi propongo giusto due esempi in grado di alludere alla natura di questa discontinuità:
a) Il tema della composizione di classe, anzitutto, nozione fondamentale che aveva orientato anche la costruzione di seminari e percorsi di autoformazione di UniNomade – rischiando tuttavia alle volte di conferire un alone di ritualità a pratiche di pensiero che per essere efficaci hanno necessità di continua reinvenzione. Varcare definitivamente i confini del già noto significa allora oggi per EuroNomade anche interrogare la misura in cui un certo metodo di indagine della soggettività attraverso la coppia composizione tecnica e politica di classe – che ha permesso all’operaismo di operare enormi salti in avanti nell’analisi marxista dei soggetti sociali – viene messo in discussione dall’assestarsi dell’egemonia di un capitale finanziario che si è fatto direttamente produttivo esercitando un’attività di natura estrattiva sulla società e la vita nel loro complesso, e quindi sul comune, anche attraverso la messa a valore di beni come salute, istruzione eccetera. E l’analisi di questi nuovi dispositivi di cattura del valore socialmente prodotto conduce anche verso una messa a verifica dell’adagio operaista sul rapporto fra lotte delle forze produttive e sviluppo del capitalismo di fronte agli elementi di radicale trasformazione indotti da questa qualità estrattiva dello sfruttamento.
b) La questione delle istituzioni del comune, in secondo luogo, vale a dire la rinnovata attenzione al tema del diritto e della sua critica, e a quello dell’istituzione. Si tratta di temi che avevano attraversato in maniera importante anche il lavoro di UniNomade2.0, consentendo di aprire originali interlocuzioni teoriche con i movimenti dei beni comuni – ma anche con interpreti della tradizione di pensiero sistemica e post-sistemica – intorno allo sforzo di elaborare un discorso sul diritto del comune inteso – in prima approssimazione e scusate la generalizzazione – come diritto all’uguaglianza nella coproduzione di norme giuridiche non statuali. Un diritto dunque irriducibile ai due binari – quello del diritto privato e quello del diritto pubblico statuale – su cui la scienza giuridica moderna ha organizzato le proprie categorie e nozioni fondamentali. La riflessione sul comune – intenso non come cosa, non semplicemente come insieme di beni, ma come relazione sociale radicata nella cooperazione del lavoro vivo – ci ha dunque condotto anche al tentativo di abbozzare un discorso sul comune giuridico che guarda agli usi del diritto, ai processi di attraversamento, di appropriazione del diritto nel tempo in cui pare volgere al termine il monopolio statuale della sua produzione, e che pone il tema delle istituzioni del comune in quanto percorsi di giuridificazione autonoma e decentrata di processi sociali di soggettività emergenti che hanno natura profondamente differente rispetto al carattere limitante che è proprio della legge.
Abbiamo insomma cercato di porre il tema di un agire politico coerentemente collocato al di là dello Stato, della sua sovranità e della sua legge, che si ponga però con forza il problema dell’istituzione, delle istituzioni intese come sistema sociale di mezzi orientati alla soddisfazione di bisogni e desideri, di un tessuto istituzionale, per dirla con Deleuze, «indiretto, obliquo, inventato», il cui rapporto decisivo è quello con l’immaginazione, con la «tendenza riflessa», con la creatività.
Ho richiamato il lavoro sul diritto del comune e introdotto il tema dell’immaginazione istituzionale anche per ricollegarmi a quanto dicevo sullo iato che abbiamo percepito fra la violenza della crisi e l’iniziativa dei movimenti. Perché con ciò alludevo, si badi bene, non a una mancanza di lotte che in questi anni sono state tutt’altro che assenti, ma alla loro difficoltà a posizionarsi sul terreno della durata, sul piano di quell’efficacia che corrisponde alla capacità di produrre istituzioni intese come dispositivi collettivi in grado di proiettare l’esperienza dei movimenti ben al di là della contingenza: problema evidente se si guarda alle grandi mobilitazioni spagnole e statunitensi del 2011.

1.2 La discontinuità nell’invenzione politica. Quest’ultimo elemento mi consente di tornare sull’altro versante della discontinuità che EuroNomade segna anche su un terreno più direttamente politico, di stile e attitudine politica. L’esperienza di UniNomade nasceva e si collocava con i piedi ben piantati dentro ambiti, dibattiti, e perfino strutture di quel mondo che soprattutto dal cosiddetto movimento dei movimenti, ci si è abituati a chiamare, appunto, “movimenti” – in maniera talvolta un po’ generica rispetto alle specificità delle comunità e dei percorsi cui si intendeva fare riferimento. Tale attitudine è stata rivendicata in ragione di un modo di intendere questo esercizio collettivo di pensiero – o se preferite questa “avventura di un’intelligenza collettiva” – che vorrebbe essere EuroNomade, di intendere cioè la ricerca come – cito Negri nella mia → recente intervista sulla metropolimacchina operativa di costruzione di passioni collettive: una postura tesa insomma a mettere continuamente in tensione e in discussione la separatezza tra pratiche teoriche e pratiche politiche.
E tuttavia EuroNomade segna elementi di discontinuità anche su questo terreno, nella misura in cui rivendica e cerca di guadagnare margini di autonomia sostanziale rispetto a quanto potremmo chiamare dibattiti e dinamiche di movimento italiani, su cui, in particolare nell’ultima fase di UniNomade , eravamo talvolta, seppur in modo indiretto, intervenuti, finendo per piegare un po’ il nostro discorso su questo tipo di intervento. Ci pare invece questo il tempo di interrogare, indagare, elaborare l’esaurimento di un ciclo, discontinuo ma lungo, di movimenti e mobilitazioni nel nostro paese a partire dalla critica di un apparente suo ripiegamento su una dimensione e un orizzonte esclusivamente nazionale. Di qui il carattere peculiare del collettivo EuroNomade, strutturalmente vocato all’allargamento, a una pluralità di interlocuzioni e all’apertura, ma a cui si chiede di partecipare solo a titolo individuale. Pur sapendo bene che l’individuo non esiste, e che tale finzione è tanto meno pertinente negli ambiti che ci sono più cari e vicini, intendiamo indicare con questa formula la volontà di non diventare mai spazio di mediazione, intervento, composizione o scontro di posizioni e dibattiti italiani di movimento. Ciò non significa rinuncia alla vocazione “militante” di questa ricerca collettiva, ma rappresenta piuttosto una scelta contingente, articolata su una valutazione del passaggio che attraversiamo, e volta a marcare una distanza verso ogni dinamica che si collochi esclusivamente sul terreno nazionale e indicare invece la disponibilità a svolgere un intervento politico diretto soltanto nell’ambito di percorsi che facciano di quello europeo l’orizzonte minimo ed essenziale del proprio discorso – come ci è parso il caso del meeting madrileno che vado a breve a introdurre.

2. L’Europa come limite e possibilità.

EuroNomade2Per quanto siano chiare le difficoltà a tradurre in pratica questi enunciati, ci pare che solo cercando di posizionare l’iniziativa su una dimensione direttamente europea, i movimenti possano ambire a conquistare una qualche efficacia sul terreno del welfare e dei diritti così come su quello del reddito e della formazione, della mobilità e della fiscalità, e che sia solamente quella la dimensione su cui è possibile immaginare una soluzione di continuità nella gestione neoliberale della crisi. Ci sembra insomma che proprio nella difficoltà di disporsi, come i propri avversari, su una dimensione immediatamente sovranazionale si possa rinvenire il limite costitutivo, le ragioni profonde di quello iato fra la violenza della crisi e l’efficacia delle lotte che ho prima cercato di nominare. Politicamente EuroNomade nasce dalla condivisione e riproposizione di questi assunti fondamentali, assunti che presuppongono di rompere definitivamente la centralità dell’orizzonte nazionale come spazio di iniziativa politica, e di assumere il carattere irreversibile, irrevocabile del processo di integrazione europea. Che oggi è già tale dal punto di vista normativo, dell’azione governamentale e capitalista, ma lo è anche nella vita vissuta, nelle biografie migranti di un’intera generazione, che solo sull’orizzonte europeo può pensare e rivendicare la propria costituzione – per richiamare il celebre adagio di Jefferson.
Sono del tutto evidenti le difficoltà e le critiche cui questa posizione radicalmente e schiettamente europeista va incontro oggi più ieri. Ma ci pare evidente che l’alternativa cui, pur implicitamente, anche le più legittime e puntuali di queste critiche alludono non possa in ultima analisi essere altro che quella delle sovranità nazionali, che sono oggi luogo deputato di inconsolabili lutti e nostalgie, di interminabili attese di tempi che non torneranno, di attitudini meramente reattive di reiterazione di linguaggi e paradigmi in crisi, e di stanche illusioni, come quella che immagina la dimensione statuale sovrana come il rifugio possibile dalla violenza della crisi e della sua gestione neoliberale. Al punto che oggi pare difficile comprendere se un’occasione importante come quella delle elezioni europee sia attraversata dalla sfida di inventare finalmente una sinistra europea, o dall’ennesimo appello a resuscitare la sinistra nazionale. In questo senso EuroNomade esprime, nel solco della tradizione in cui si colloca, anche un’attitudine nei confronti del proprio tempo, un modo di guardare la propria epoca per così dire “senza il torcicollo”, votata a cogliere le nuove potenzialità che essa offre per la pratica del comune e per l’esercizio di immaginazione istituzionale: il nostro angelo della storia, insomma, guarda ostinatamente avanti.
Non mi attardo oltre su questi temi fondamentali che mi pareva importante introdurre perché indicano la cifra di fondo del progetto EuroNomade: al punto che, fin da Passignano 2013 è stato nominato esplicitamente l’obiettivo della scrittura collettiva di una carta europea dei principi fondamentali su cui i movimenti hanno insistito in Europa negli ultimi anni. Per questo abbiamo accolto con entusiasmo, insieme ad altri e altre presenti qui oggi e promotori di un evento importante come Agorà99, l’invito dei compagni spagnoli al meeting europeo promosso dalla Fundaciòn de los Comunes e dal network europeo di musei L’Internationale che si è tenuto a Madrid alla fine di febbraio indicando fra i propri obiettivi proprio la stesura collettiva di una Carta per l’Europa.

2.1 Una Carta per l’Europa. “Il nuovo Ratto d’Europa”: questo il suggestivo titolo scelto per il meeting allo scopo di presentare la tesi secondo cui viviamo nel tempo di un “golpe finanziario” contro l’Europa che ha imposto agli attori protagonisti del processo istituzionale di Integrazione dell’Unione Europea un vero e proprio tradimento di questo processo per come si era andato configurando negli scorsi decenni. Ma – è questa la sostanza dell’ipotesi e della proposta avanzata con il meeting di Madrid – sarebbe proprio questo golpe ad aprire l’inedita possibilità che siano oggi movimenti, soggetti sociali, esperienze collettive di azione e di pensiero a farsi promotori della rifondazione di un processo costituente europeo radicale e democratico, dentro e contro le istituzioni della UE. Di unire dunque le molte pratiche di resistenza che agiscono dentro lo spazio europeo in un progetto di opposizione contro quelle recrudescenze sovraniste e nazionaliste e contro quella governance neoliberale della crisi che solidarmente incarnano i punti di impasse verticale del progetto di unire l’Europa. Il ratto d’Europa dunque come drammatica evidenza di un golpe finanziario che segna la fine del progetto di integrazione per come lo abbiamo conosciuto negli ultimi decenni, ma al tempo stesso apre la possibilità di rompere tale evidenza rifondando quel progetto su basi radicalmente nuove.
A partire da un affascinante riferimento al movimento Cartista del diciannovesimo secolo, e dalla proposta di innestare la lezione tecnopolitica del 15M su quel metodo e quei principi, una parte importante del meeting madrileno è stata dunque dedicata all’elaborazione di quella che si chiama oggi Charter for Europa 1.0. Di cosa si tratta? Non è una specie di “costituzione dal basso” utile a immaginare sul più classico modello della sovranità moderna una sorta di assemblea costituente. Non si tratta neppure di un decalogo alternativo di politiche sociali europee, e neppure di una carta dei diritti da proporre a qualche assise istituzionale. La Charter for Europa ha piuttosto da essere intesa come uno “strumento“, come un dispositivo estremamente snello, disponibile, aperto e dinamico da mettere al servizio di un processo costituente di nuove istituzioni agito da individui e gruppi, singoli e comunità che condividono un repertorio comune di pratiche e programmi, e che assumono quello europeo come lo spazio minimo e fondamentale della propria iniziativa. Si tratta dunque di un esercizio collettivo di definizione programmatica che ambisce a farsi strumento di organizzazione a livello europeo.
A Madrid si è dunque arrivati alla condivisione di un preambolo di questa Charter for Europa, di una struttura e di un metodo di lavoro che ha consentito poi di giungere, pochi giorni fa, alla sua versione 1.0, che rappresenta oggi uno strumento estremamente prezioso e foriero di inedite potenzialità perché nato dal lavoro intenso e cooperativo di attivisti e collettivi provenienti da tutta Europa. Si rimanda per i dettagli al resoconto pubblicato su EuroNomade e all’indirizzo → www.chartereuropa.net, ove è pubblicata questa prima versione della Carta su una piattaforma Wiki che consente di seguire e partecipare al processo che condurrà alle sue versioni successive. Attraverso il lavoro di editing, discussione e scrittura collettiva che prende forma su questa piattaforma – ma anche attraverso mailing lists, titanpads e mumbles – l’obiettivo è infatti procedere in questo processo collettivo presentando ogni mese una versione aggiornata della Carta frutto del lavoro in rete. Ci siamo sentiti dunque di indicare, nell’agenda della Charter for Europa, l’incontro di oggi anche come un primo momento italiano di sua presentazione pubblica, e questo mio intervento è anche un invito a cominciare ad attraversare quello spazio virtuale e a partecipare allo sviluppo della Carta.

3. Il lavoro di EuroNomade.

Concludo proponendo alcuni elementi, solo apparentemente più tecnici, inerenti alle modalità del lavoro collettivo e al sito web euronomade.info, che, pur rivendicando la propria alterità rispetto alla formula della rivista, non è neppure un mero archivio e spazio di raccolta e messa a disposizione di materiali teorici, e di quegli Editoriali che, con cadenza mensile, il collettivo propone per cartografare il presente e le possibilità del suo rovesciamento. Il sito ambisce infatti ad essere in qualche modo una rappresentazione del lavoro che EuroNomade intende portare avanti. Ed è in particolare la struttura delle sezioni in cui il sito è articolato a rappresentare il percorso che abbiamo abbozzato da settembre, ma anche e soprattutto la prospettiva che, a partire da oggi, vorremmo aprire nell’ottica di un allargamento del progetto.
Una breve panoramica delle sezioni, dunque. Ho già fatto cenno alle due più rilevanti, Europa e Comune, che raccolgono le nostre traiettorie di ricerca fondamentali. Nell’ambito della sezione Comune uno specifico percorso di indagine è poi dedicato al tema della Metropoli intesa come vero e proprio millefoglie istituzionale in cui si incontrano le passioni che generano il comune, e in cui è possibile cartografare le forme materiali della cooperazione del lavoro vivo. Una terza sezione è dedicata alle Reti, recentemente volta a dialogare con il dibattito aperto in Europa dalla pubblicazione del → Manifesto per una politica accelerazionista. Il sito comprende poi una sezione “politico-culturale”, dedicata all’espressione creativa e artistica, alla letteratura e alla filosofia che Girolamo De Michele ha voluto titolare, con una citazione sheakespeariana – «Alas, Poor Yorick, Fellow of Infinite Jest». Dal percorso di UniNomade2.0 si sono poi “ereditati” due Dossier: il Dossier America Latina – frutto di un lavoro ormai più che decennale di indagine delle sperimentazioni istituzionali che prendono corpo in quel continente – e il Dossier Marx – in cui si cerca di fare del pensiero di questo autore un dispositivo
vivente per adeguarlo alla critica del nostro tempo, al di là dei marxismi politici e delle marxologie accademiche. Vi è infine la rubrica Omnia Sunt Communia, volta a segnalare e dialogare altri contenuti e discorsi presenti sul web.
Se mi sono attardato nell’illustrarvi le sezioni del nostro sito è perché ci piacerebbe costituire, per ognuna di essa, delle redazioni articolate ben oltre i già labili confini di EuroNomade e della pur consistente tradizione di pensiero su cui essi poggiano, e aperte alla contaminazione con altri linguaggi e prospettive. È questo l’essenziale del lavoro che ci attende.

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