di VALERIA SOLESIN.

 

Valeria Solesin, la ricercatrice italiana assassinata al Bataclan, aveva partecipato nel 2014 a un convegno su Districare il nodo genere-potere: sguardi interdisciplinari su politica, lavoro, sessualità e cultura [scaricabile qui]. La ricordiamo pubblicando, col consenso dei familiari, il suo contributo intitolato Asimmetrie fuori e dentro il mercato del lavoro. Una comparazione tra Francia e Italia sui ruoli di genere e l’attività professionale.

 

1. Riassunto

La Francia e l’Italia contrastano rispetto la fecondità e l’attività professionale femminile. In Francia, dove nel 2011 circa 65% delle donne in età lavorativa svolge un’attività professionale, l’indicatore di fecondità si mantiene elevato e attorno a 2 figli per donna; in Italia invece solo 50% delle donne in età lavorativa è occupata e la fecondità si mantiene debole e non superiore a 1,4 figli per donna. Alla luce di tali differenze l’articolo propone di analizzare quali siano le conseguenze dell’arrivo dei figli sull’attività professionale in Francia ed in Italia. Inoltre, saranno descritte le opinioni di uomini e donne rispetto ai ruoli di genere e la divisione del lavoro domestico, familiare e professionale. Per rispondere a tali obbiettivi diverse fonti di dati saranno utilizzate: l’Enquête Emploi en Continu (2011) per la Francia e la Rilevazione sulle Forze di Lavoro (2011) per l’Italia consentiranno lo studio dei tassi di occupazione a seconda del sesso e della presenza di figli nel nucleo familiare, mentre l’European Value Study (2008) evidenzierà le principali differenze culturali tra i due paesi.

 

2. Francia e Italia: due paesi che si oppongono rispetto all’occupazione femminile e alla fecondità

Nel Dopoguerra si è assistito in Europa al continuo aumento del tasso di occupazione femminile, tale fenomeno è stato accompagnato quasi ovunque dalla diminuzione dell’indicatore congiunturale di fecondità (OCSE, 2011).
L’aumento dell’attività professionale femminile è stato promosso sin dagli anni ’90 dall’Unione Europea (UE) nell’ambito della Strategia Europea per l’occupazione (SEO). Per tale ragione la questione della conciliazione tra famiglia e lavoro e – in modo generale – della bassa fecondità è diventata una delle priorità della Commissione Europea (Dauphine e Letablier, 2013). Attraverso tre comunicazioni1, essa ha infatti incoraggiato gli Stati membri ad aumentare la produttività del lavoro e a modernizzare i sistemi di protezione sociale allo scopo di favorire l’equilibrio tra sfera professionale e vita familiare e di permettere alle coppie di avere il numero di figli desiderato.
Benché la presenza delle donne sul mercato del lavoro sia ormai massiva, dei contrasti relativamente importanti esistono tra i paesi dell’Unione Europea. Alcuni paesi come la Danimarca, la Svezia e il Regno Unito, registrano dei tassi di occupazione femminile particolarmente elevati, mentre altri come la Spagna, la Grecia e l’Ungheria manifestano dei tassi deboli e poco al di sopra del 50% (Eurostat, 2013)
Alla luce di tali differenze, la scelta di comparare la Francia e l’Italia si giustifica per diverse ragioni. In primis, si tratta di due paesi che si oppongono rispetto all’occupazione: la Francia si caratterizza per un tasso di occupazione femminile relativamente elevato rispetto ai suoi vicini europei, e di circa il 64,7% nel 2011. L’Italia, invece, ha un tasso di occupazione molto più debole, poiché solo il 49,9% delle donne in età lavorativa è realmente occupata (Eurostat, 2013)
Per quanto riguarda la fecondità, la Francia presenta un indicatore di fecondità di 2 figli per donna nel 2012 (INSEE, 2014), mentre in Italia nello stesso anno si contano a pena 1,4 figli per donna (ISTAT, 2014).
Inoltre, i due paesi si distinguono rispetto alle tradizioni e ai modi di vita. In Francia, le coppie si sono allontanate da certi comportamenti definiti come tradizionali: l’istituto del matrimonio ha perso d’importanza a vantaggio di altre forme di vita in coppia come la convivenza o più recentemente il PACS2 (patto civile di solidarietà3). Al contrario per molti aspetti l’Italia resta un paese tradizionale: la maggior parte delle nascite continua a prodursi all’interno del matrimonio4 e persiste una profonda divisione di genere nel lavoro domestico e di cura5.
Infine, per quanto riguarda il contesto istituzionale, in Francia le politiche familiari sono nettamente più favorevoli che in Italia (Régnier-Loilier e Vignoli, 2011). Esse consistono in trasferimenti monetari in direzione delle famiglie che hanno lo scopo di compensare il costo legato ai figli, e in misure volte a conciliare la vita familiare e l’attività professionale, come dei congedi lunghi e ben retribuiti e dei servizi per l’infanzia (Damon, 2008). All’opposto, la politica sociale italiana è estremamente limitata. La maggior parte delle misure per le famiglie sono di carattere assistenziale ed hanno l’obiettivo di contrastare la povertà piuttosto che limitare il costo diretto dei figli (Saraceno, 2003). Inoltre, i servizi per l’infanzia restano poco diffusi e persistono delle profonde differenze regionali (ISTAT, 2014).
Alla luce di tali informazioni questo articolo propone di studiare come la sfera familiare e professionale si articolino in Francia e in Italia. L’approccio utilizzato è quello della comparazione internazionale bilaterale. L’obiettivo è di capire quale sia il comportamento di uomini e donne in età riproduttiva rispetto alla partecipazione al mercato del lavoro. Inoltre, saranno descritte le conseguenze della presenza di figli sull’attività professionale, in particolare, rispetto alla situazione familiare e al numero di figli a carico.
Il contributo si strutturerà in due parti. In primo luogo, saranno analizzate le opinioni di italiani/e e francesi riguardo il rapporto tra famiglia e lavoro.
Si tenterà di rispondere a domande quali: qual è l’importanza conferita al lavoro e alla famiglia in Francia e in Italia? Esistono nella sfera familiare e professionale dei ruoli prescritti all’uomo e alla donna? Qual è il comportamento considerato “più” appropriato in presenza di bambini in età prescolare? E’ lo stesso per gli uomini e le donne? Questa prima parte permetterà di illustrare il quadro culturale nel quale gli individui agiscono.
In secondo luogo, la comparazione dei tassi di occupazione degli individui in età riproduttiva permetterà di rispondere alle domande seguenti: quali sono le conseguenze dell’arrivo dei figli sull’attività professionale degli uomini e delle donne in Francia e in Italia? Quali sono i fattori che determinano una più debole partecipazione delle donne all’occupazione?
Per rispondere a tali domande due differenti fonti di dati saranno utilizzate. I dati dell’Indagine europea European Value Study del 2008 permetteranno di studiare le opinioni di uomini e donne italiani e francesi. I questionari nazionali di quest’indagine hanno il vantaggio di essere perfettamente comparabili. In seguito, i dati dell’indagine Labur Force Survey nelle due versioni nazionali (Enquête Emploi en Continu per la Francia e Rilevazione sulle Forze di Lavoro per l’Italia) del 2011 consentiranno di analizzare le determinanti dell’attività professionale nei due paesi.

 

3. La famiglia e il lavoro sono al primo posto nei valori degli/delle italiani/e e dei/delle francesi…

Secondo i dati EVS (Cfr. Tabella 1), il lavoro occupa un posto centrale della vita degli/delle italiani/e e dei/delle francesi in età riproduttiva6: solo una minoranza delle persone intervistate – meno del 4% in entrambi i paesi – dichiara che il lavoro sia “non importante” o “per niente importante” nella propria vita. Le deboli differenze tra Francia e Italia dimostrano la forte valorizzazione del lavoro nelle due società, al punto d’essere tra i paesi europei a attribuirne la maggiore considerazione (Devoine e Méda, 2008). Benché il valore del lavoro sia riconosciuto da entrambi i sessi, dal lato delle donne, esso appare anche come uno strumento che permetta la loro autonomia (Piazza, 2003; Régnier-Loilier, 2007). In Francia 89,3% delle donne si ritiene “molto d’accordo” o “abbastanza d’accordo” con l’affermazione “avere un lavoro è il modo migliore per una donna di essere indipendente”. In Italia si tratta dell’84,5% delle intervistate. Alla stessa domanda anche gli uomini dimostrano un’attitudine positiva verso l’occupazione femminile (86% per i francesi e 82,1% per gli italiani). Tuttavia è da notare che mentre nel caso della Francia i valori più elevati si ritrovano nella modalità “molto d’accordo”; in Italia, al contrario, si trovano nella modalità “abbastanza d’accordo”, ciò vale sia nel caso degli uomini (17,6% per gli italiani contro 44,2 % per i francesi) che in quello delle donne (26,4% per le italiane contro 52,5% per le francesi). Dunque, gli italiani si dimostrano piuttosto tolleranti verso il lavoro femminile senza però incoraggiarne una vera partecipazione. Tale atteggiamento sembra la conseguenza della visione strumentale del lavoro femminile che ha dominato nel corso del dopo guerra. La manodopera femminile infatti è sempre stata considerata di riserva e secondaria a quella maschile (Maruani e Meron, 2012; Saraceno, 2003). Questa concezione del lavoro descrive un modello familiare tradizionale in cui l’uomo è considerato il “procacciatore” di risorse – the “breadwinner” –, mentre la donna si prende cura della sfera domestica e familiare (Lewis, 1992). Sebbene questo tipo di modello sia fortemente messo in discussione in Europa, quando si hanno dei bambini in età prescolare la presenza delle donne a casa è ancora valorizzata in Italia e, in misura più debole in Francia. Infatti, il 72,2% degli italiani e il 71,4% delle italiane si trova “molto d’accordo” o “abbastanza d’accordo” con l’affermazione “è probabile che un bambino in età prescolare soffra se sua madre lavora fuori casa”. In Francia sembra prevalere l’opinione contraria: gli uomini che ritengono che un bambino piccolo soffra se la madre lavora sono solamente il 35,3%, tale percentuale diminuisce a 27,6% nel caso delle donne. La separazione tra la madre e il figlio non sembra dunque essere considerata in modo negativo, i francesi e le francesi dimostrano un’ampia comprensione verso le madri di bambini piccoli che esercitano un’attività professionale; ciò sembra ancor più vero se esse stesse lavorano (Régnier-Loilier, 2007). Tale atteggiamento è confermato dall’idea che “una madre che lavora fuori casa può stabilire un rapporto caldo e sicuro con i figli quanto una madre che non lavora”. Infatti, 64,2% dei francesi e delle francesi si trova “molto d’accordo” con questa affermazione, mentre si tratta solo del 18,9% nel caso degli italiani e delle italiane.

tabella 1atabella 1b

In Francia, il rispetto verso il lavoro delle donne con figli piccoli si accompagna ad un atteggiamento neutrale nei confronti delle donne che hanno deciso di essere casalinghe. Infatti, il 51,5% delle donne francesi considera che “essere una casalinga consenta alla donna di realizzarsi quanto un lavoro retribuito”, tale percentuale si stabilisce a 50,4% nel caso degli uomini. In Italia, l’atteggiamento di donne e uomini rispetto all’essere casalinga non è profondamente diverso dal caso della Francia (45,2% e 43,7% rispettivamente). Tuttavia, in Italia secondo i dati d’indagini nazionali7 circa il 26% delle donne tra i 25 e i 49 anni si dichiara casalinga, mentre si tratta di solo del 10% in Francia.
In Italia quindi, l’ampio numero di casalinghe e l’opinione negativa verso il lavoro delle madri in presenza di figli piccoli, sembrano descrivere un modello in cui la donna smette di lavorare dopo l’arrivo dei figli per riprendere quando i figli saranno cresciuti. Il desiderio di restare più tempo con i propri bambini è la ragione principale per la quale si lascia il lavoro a seguito di una maternità (ISTAT, 2006). Sempre in Italia, l’importanza del ruolo di casalinga è rinforzato dall’opinione che gli uomini sono meno capaci delle donne ad occuparsi dei figli. Infatti, il 29,4% delle donne e il 26,3% degli uomini si ritiene “contrario” o “molto contrario” all’affermazione “in generale i padri sono adatti a seguire i figli al pari delle madri”. In Francia, tali percentuali diminuiscono al 8,9% nel caso delle donne e al 10,9% nel caso degli uomini.
Sebbene il lavoro di cura dei padri sia ancora poco riconosciuto in Italia, la maggior parte degli uomini e delle donne ritiene che avere dei figli sia necessario per sentirsi realizzati8. Tale constatazione vale anche in Francia, dove il valore dei figli si manifesta anche con lo scarso numero di donne e uomini che non hanno discendenti alla fine della loro vita feconda (Breton e Prioux, 2009). In Francia infatti, tra le donne nate nel 1960 solo il 10% non ha avuto figli, mentre in Italia tale percentuale si stabilisce a 15% (Daguet, 2002; ISTAT, 1997). Ne consegue che in entrambi i paesi si dà un forte valore alla famiglia. Le persone che dichiarano che la famiglia sia “importante” o “molto importante” sono praticamente l’unanimità in Francia (98,5%) e in Italia (99,6%). Nei due contesti, sono sopratutto le donne a dichiarare che la famiglia sia “molto importante”; la differenza uomo-donna si stabilisce a 7 punti percentuali in Francia e 8 in Italia. In Francia, tale affezione è dimostrata dalla reale moltiplicazione delle forme familiari (Damon, 2006), mentre in Italia il modello familiare dominante resta quello della coppia sposata (ISTAT, 2011).
In generale, il lavoro e la famiglia sono all’apice dei valori di italiani/e e francesi. Tale evidenza nasconde tuttavia delle differenze tra i due paesi. In Italia si riscontrano delle opinioni più contraddittorie: benché il lavoro sia valorizzato dagli uomini e dalle donne, l’occupazione femminile rimane strumentale alle fasi del ciclo di vita. L’idea infatti è che la donna debba mettere da parte la propria attività professionale quando i figli sono ancora in età prescolare, ciò allo scopo di garantire il benessere della famiglia. Inoltre, l’opinione rispetto ai ruoli di uomini e donne rimane tradizionale: la madre in quanto genitrice è dotata di un savoir-faire di cui l’uomo è sprovvisto.
Nonostante negli ultimi anni gli uomini si dimostrino più coinvolti nelle responsabilità di cura (ISTAT, 2008), continuano ad essere le madri a prendersi carico della maggior parte degli obblighi familiari.
Al contrario, in Francia, il lavoro delle donne è incoraggiato in tutte le fasi del ciclo di vita, anche in presenza di figli piccoli. Tuttavia, in ragione dell’importanza conferita alla famiglia, l’inattività femminile può essere accettata in talune situazioni, come la presenza di figli in età prescolare. In modo globale, i/le francesi si mostrano più benevoli degli/delle italiani/e rispetto ai diversi modi di vita, ne deriva una minore segregazione dei ruoli di genere in Francia. Gli uomini appaiono infatti più disponibili – nelle opinioni – a prendersi carico del lavoro di cura dei figli.
Alla luce di tali risultati appare necessario analizzare come le situazioni familiari possano nei fatti influenzare la partecipazione di uomini e donne al mercato del lavoro. Nei paragrafi seguenti saranno analizzati i tassi di occupazione degli individui in età riproduttiva allo scopo di capire in quale misura le opinioni che dominano in un contesto dato, possano influenzare il reale comportamento delle persone. Avanziamo l’ipotesi che in Italia, in ragione di una visione più “tradizionale” del lavoro delle donne, l’articolazione tra famiglia e lavoro in presenza di figli piccoli nel nucleo familiare si caratterizzi da una forte specializzazione dei ruoli di genere: l’uomo si consacrerà al lavoro retribuito, mentre la donna si dedicherà alla cura dei figli. Invece, in Francia dove l’atteggiamento nei confronti dell’attività professionale femminile è positiva anche in presenza di figli in età prescolare, la conciliazione tra famiglia e lavoro dovrà apparire più egualitaria tra i sessi per quanto concerne la divisione delle responsabilità familiari e professionali.

 

4. …Ma nei fatti, l’impegno di uomini e donne nelle due sfere, risulta squilibrato, in Francia come in Italia

In generale, la partecipazione degli uomini e delle donne all’attività professionale è influenzata da diversi fattori: da un lato, le norme e le aspettative sulla riproduzione influenzano la partecipazione delle persone al mercato del lavoro, dall’altro fattori congiunturali e strutturali determinano una maggiore o minore offerta di lavoro.
In Francia come in Italia, gli uomini sono più spesso occupati rispetto alle donne (Cf. Tabella 2). Nel 2011, il tasso di occupazione9 degli uomini tra i 25 e i 49 anni è di 87% in Francia e 82,8% in Italia. Per quanto riguarda le donne, 76,4% delle francesi è occupata contro il 59,9% delle italiane. Ciò dimostra una maggiore partecipazione degli uomini alla sfera pubblica, benché il lavoro sia considerato importante da entrambi i sessi.

tabella 2

La differenza tra i tassi di occupazione maschile e femminile risulta particolarmente profonda in entrambi i contesti. Tuttavia, si nota anche che gli italiani hanno una minore partecipazione al mercato del lavoro dei francesi, ciò è dovuto alla mancanza di lavoro in Italia la quale si esprime attraverso un tasso di inattività maschile più elevato che in Francia (10,8% nel caso degli italiani contro 5,6% per i francesi).
Per quanto riguarda la presenza di figli nel nucleo familiare, essa ha un ruolo importante nella partecipazione all’attività lavorativa. Nel caso degli uomini descrive una maggiore presenza sul mercato del lavoro. Infatti, in entrambi i paesi, i padri di famiglia hanno dei tassi di occupazione sistematicamente superiori a quelli degli uomini senza figli. Gli italiani con figli hanno un tasso di occupazione dell’88,9% contro il 77% degli italiani senza figli (scarto di 11,8%). In Francia, il 91,6% dei padri è occupato, contro l’81,7% degli uomini senza figli (scarto di 10%). Per gli uomini il lavoro sembra dunque una precondizione all’arrivo dei figli: avere un lavoro stabile e ben remunerato favorisce la decisione di fondare una famiglia in Francia (Brachet, Letablier e Salles, 2010) come in Italia (Vignoli, Drefahl et De Santis, 2012).
Se si guarda alle donne, quelle senza figli sono più spesso occupate rispetto a quelle con figli. In Francia, la differenza tra i tassi di occupazione è più debole che in Italia, poiché l’80,2% delle donne senza figli è occupato, contro il 74,2% delle donne con figli (scarto di 6%). In Italia invece, il 65,8% delle donne senza figli ha un impiego, contro il 55,5% delle donne con figli (scarto di 10%).
Dunque è in Italia che si registrano le maggiori differenze a seconda della presenza o meno di figli nel nucleo familiare. Questa constatazione vale sia nel caso degli uomini che in quello delle donne.
In Francia invece, in ragione dell’arrivo dei figli sono soprattutto gli uomini a modificare il loro comportamento.È tuttavia da notare che in questo contesto, in assenza di figli, si è di fronte ad una quasi simmetria nel comportamento lavorativo di uomini e donne (tasso di occupazione di 80,7% per gli uomini contro 80,2% per le donne). Nel caso dunque di coppie senza figli, il principio di eguaglianza sembra essersi affermato.
Come già detto, in Italia la minor presenza delle donne sul mercato del lavoro è accompagnata da un’opinione negativa verso la partecipazione delle donne con figli in età prescolare al lavoro. Tale opinione non sembra però riflettersi nei comportamenti di fatto, infatti tra le donne di età 25-49 anni, quelle che hanno dei figli di meno di sei anni sono occupate nella stessa misura che le madri di figli di età superiore ai sei anni (55% contro 55,9%).
All’opposto, in Francia, benché il lavoro delle donne sia incoraggiato in tutte le fasi del ciclo di vita, si nota che le donne con figli in età prescolare sono meno spesso occupate delle donne senza figli di età inferiore ai sei anni (66,6% contro 80,8%). Nel caso degli uomini, invece, la presenza di figli di meno di sei anni nel nucleo familiare non modifica profondamente la loro partecipazione al mercato del lavoro.
Difatti in Francia, gli uomini con figli in età prescolare hanno un tasso di occupazione solo di poco inferiore rispetto gli uomini senza figli di meno di sei anni (90,4% contro 92,9%), mentre in Italia tale presenza sembra favorire la partecipazione degli uomini all’attività professionale, infatti il 91% dei padri di bambini di meno di sei anni è occupato, contro l’87,1% degli uomini senza figli in età prescolare.
Per riassumere, in Francia, in presenza di figli piccoli nel nucleo familiare sono soprattutto le donne a modificare il loro comportamento, in Italia invece, sono gli uomini che si impegnano di più nella sfera professionale, mentre le donne, già poco presenti nel mercato del lavoro, vedono diminuire solo marginalmente il loro tasso di occupazione.
Ne consegue che in entrambi i paesi sono le donne ad occuparsi maggiormente dei figli. In Francia, l’opinione favorevole verso il lavoro delle donne anche in presenza di figli piccoli, viene parzialmente messa in discussione nei fatti: il tasso di occupazione delle madri figli di meno di sei anni è infatti sensibilmente inferiore a quello delle madri di bambini più grandi (scarto di 14,2%). In tale contesto dunque, occuparsi della famiglia quando ci sono dei figli piccoli sembra essere connotato da una visione positiva la quale permette di legittimare un periodo di inattività (Chaufaut e Domingo, 2011).
Se da un lato la presenza di figli nel nucleo familiare permette di spiegare in parte la variazione nella partecipazione al mercato del lavoro, dall’altro, il numero di figli costituisce un secondo fattore che influenza i diversi tassi di occupazione.
In entrambi i paesi, per gli uomini, il tasso di occupazione è poco sensibile al numero di figli (vedi tabella 3): è elevato in coincidenza di un solo figlio (91,4% per i francesi e 87,7% per gli italiani), aumenta per il secondo (93,1% per i francesi e 90,5% per gli italiani) e infine diminuisce leggermente per le nascite di ordine terzo o successive (88,6% per i francesi e 85,7% per gli italiani).
Al contrario, la partecipazione delle donne è estremamente sensibile al numero di figli nel nucleo familiare: la maggior parte delle madri di un solo figlio sono occupate (79,4% delle francesi e 59,2% delle italiane), tuttavia i tassi diminuiscono rapidamente in presenza di un secondo figlio (77% per le francesi e 54% per le italiane) ed in particolare per le nascite di ordine terzo e successive (55,6% per le francesi e 30,1% per le italiane).

tabella 3

La comparazione tra le donne francesi e le donne italiane permette di mettere in evidenza due aspetti: in primis, le italiane sono meno spesso occupate che le francesi, qualsiasi sia la loro situazione familiare. Ciò nonostante, in entrambi i contesti si verifica una brusca diminuzione dei tassi di occupazione in coincidenza di una terza nascita. Per le madri di famiglie numerose l’articolazione lavoro-famiglia sembra dunque configurarsi come una “non conciliazione” poiché sono innumerevoli le donne che escono dal mercato del lavoro. Tuttavia, è necessario essere cauti nell’interpretazione di tale dato, potrebbero infatti essere le donne meno integrate nel mercato del lavoro a desiderare una famiglia numerosa, ciò allo scopo di giustificare la propria inattività.
Se si tenta di calcolare l’effetto congiunto dell’età e del numero di figli nel nucleo familiare (Cf. Tabella 4), ci si rende conto che in Italia, nonostante un’opinione negativa rispetto al lavoro delle donne in presenza di figli piccoli, aver un solo figlio di meno di sei anni non sembra essere un pericolo per l’attività professionale; queste madri hanno infatti la stessa probabilità di essere occupate rispetto alle madri di due figli in età compresa tra sei e vent’anni. Inoltre, in presenza di due figli, di cui il più piccolo di età inferiore ai sei anni, la probabilità di avere un lavoro retribuito diminuisce ma solo debolmente (odds ratio 0,8), diminuisce invece in modo importante in presenza di tre figli, qualsiasi sia la loro età. Infine, le madri di una famiglia monogenitoriale moltiplicano per due la loro probabilità di essere occupate rispetto alle donne che vivono in coppia.
In Francia, le madri di bambini di meno di sei anni hanno sistematicamente meno probabilità di essere occupate rispetto alle madri di bambini di età compresa tra sei e diciassette anni. Inoltre, la probabilità di avere un lavoro retribuito diminuisce sensibilmente anche quando una madre ha due figli di cui il più giovane di meno di sei anni, rispetto ad una donna che ha due figli di età compresa tra sei e diciassette anni. In presenza di tre figli, la probabilità di essere occupata piuttosto che inattiva è molto debole, sia nel caso in cui i tre figli abbiano più di sei anni (odds ratio di 0,4), sia in quello in cui almeno un figlio sia in età prescolare (odds ratio 0,2). Essere madre di famiglia monogenitoriale diminuisce leggermente la probabilità di essere occupata (odds ratio 0,7) rispetto ad una donna in coppia.
Senza sorpresa, in entrambi i contesti possedere un titolo di studi elevato favorisce nettamente (odds ratio di 2,4 per Francia e Italia) la presenza delle madri con figli sul mercato del lavoro.

tabella 4

In Francia, la diminuzione della partecipazione delle donne al lavoro retribuito in presenza di figli piccoli è spiegata dall’esistenza di una misura statale per l’accudimento dei bambini di meno di tre anni (il complemento di libera scelta di attività, complément de libre choix d’activité, CLCA) che incoraggia uno dei due genitori a cessare la propria attività professionale. Tale prestazione, sebbene faciliti la scelta tra continuare a lavorare o smettere momentaneamente, occuparsi del proprio bambino o ricorrere ai servizi per l’infanzia, sembra polarizzare il comportamento di uomini e donne rispetto al lavoro. Le donne infatti sono nella maggior parte dei casi le beneficiarie. In queste condizioni, la conciliazione tra famiglia e lavoro, appare come una specializzazione temporanea dei ruoli nella coppia.
In Italia invece, poiché non esiste una misura universale per l’accudimento dei bambini, la debole presenza delle donne sul mercato del lavoro sembra essere dovuta ad una maggiore segregazione dei ruoli di genere e alla mancanza strutturale di lavoro: le donne infatti subiscono maggiormente la disoccupazione e la sottoccupazione (ISTAT, 2014). Per tale motivo la cura dei figli e della sfera domestica resta per la maggior parte un loro obbligo.

 

5. Conclusione

Il lavoro e la famiglia sono considerati sia in Francia che in Italia tra i valori più importanti. Per quanto riguarda le specificità dei due contesti, in Francia, gli uomini e le donne valorizzano l’attività lavorativa e un’opinione favorevole al lavoro delle madri prevale anche in presenza di figli piccoli nel nucleo familiare. Per tale ragione, il comportamento incoraggiato nella coppia è quello della divisione egualitaria delle responsabilità genitoriali e lavorative.
All’opposto, l’atteggiamento degli/delle italiani/e sembra più tradizionale, l’attività lavorativa è valorizzata da entrambi i sessi, ma perdura un’opinione negativa verso il lavoro delle donne in presenza di figli in età prescolare. Per tale ragione le donne rivendicano con maggiore insistenza il loro ruolo di genitrici, mentre gli uomini si dimostrano ancora parzialmente reticenti a considerare il lavoro delle donne come strumento che permetta la loro autonomia.
Alla luce di tali differenze, è stata verificata l’ipotesi che in Italia più che in Francia la presenza di figli nel nucleo familiare implichi una più profonda specializzazione dei ruoli di genere.
La prima evidenza è che le italiane, qualsiasi sia la loro situazione familiare, sono meno spesso occupate che le francesi. Ne segue che l’impegno degli italiani e delle italiane nelle sfera privata e pubblica è ineguale. Ciò nonostante in entrambi i paesi, in presenza di figli nel nucleo familiare, due movimenti opposti caratterizzano il comportamento di uomini e donne: le donne diminuiscono il loro impegno nella sfera professionale mentre gli uomini l’aumentano.
Inoltre, la partecipazione al lavoro retribuito è influenzato dall’età e dal numero di figli. Nel caso degli uomini, la presenza nel mercato del lavoro è massimale in presenza di figli, e varia solo debolmente all’aumentarne del numero. Invece, nel caso delle donne, la presenza nel mercato del lavoro diminuisce in presenza di figli nel nucleo familiare e diventa minima nei nuclei familiari composti da tre figli o più.
Alla luce di tali evidenze, la conciliazione tra famiglia e lavoro si configura in Francia e in Italia, come una specializzazione dei ruoli di genere. In Francia, questa divisione sembra essere limitata a talune fasi del ciclo di vita: l’opinione favorevole verso il lavoro delle donne in presenza di bambini piccoli è contraddetta nei fatti poiché sono le donne a cessare più spesso la loro attività professionale. Infatti, l’erogazione di un sussidio per l’accudimento dei bambini, permette ad uno dei due genitori, ma quasi sempre alla donna, di poter smettere momentaneamente di lavorare. Tale allocazione è efficace in termini di organizzazione quotidiana del nucleo familiare, ma mantiene delle differenze tra i sessi rispetto le responsabilità familiari e lavorative.
Al contrario in Italia, la polarizzazione del comportamento degli uomini e delle donne si verifica nel corso di tutto il ciclo di vita. La presenza dei figli nel nucleo familiare non fa che accentuare la divisione dei ruoli di genere. Eppure, l’opinione negativa rispetto al lavoro delle donne in presenza di figli piccoli, è di fatto contraddetta: l’età dei figli influenza marginalmente la partecipazione delle madri al lavoro, invece, la presenza di tre figli o più nel nucleo descrive un profondo crollo dei tassi di occupazione delle italiane.
Per concludere, è possibile affermare che une divisione dei ruoli consacrati all’uomo e alla donna persista in entrambi i contesti, anche se essa appare meno profonda che in passato (ISTAT, 2007; Ponthieux e Schreiber, 2006). Per questa ragione nelle ricerche future sarà importante valutare se la specializzazione delle responsabilità familiari e lavorative, tra uomini e donne, è scelta o subita nelle due società. Inoltre, sarà necessario valutare quale sia l’uso del part-time nelle due società e quali conseguenze abbia in termini di uguaglianza tra i sessi. A questo scopo, si dovrà ricorrere ad un approccio qualitativo attraverso interviste, che permetta di capire in profondità quali siano i desideri e le aspettative delle coppie con bambini piccoli. Inoltre, l’analisi dell’offerta e delle domanda di strutture per l’infanzia e delle misure di conciliazione famiglia-lavoro non potrà che illustrare con maggiore chiarezza i contesti sociali nei quali gli individui agiscono.

 

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  1. Commissione Europea (2005) Libro verde: “Una nuova solidarietà tra le generazioni di fronte ai cambiamenti demografici”, COM(2005) 94; Commissione Europea (2006) Comunicazione “Il futuro demografico dell’Europa, trasformare una sfida in un’opportunità”, COM(2006) 571 definitivo; Commissione Europea (2007) Comunicazione “Promuovere la solidarietà fra generazioni”, COM(2007) 244 definitivo. 

  2. Secondo le stime dell’INSEE (Istituto Nazionale francese di Statistica e Studi Economici) nel 2012 160.200 Pacs sono stati contratti, contro 246.000 matrimoni. 

  3. Formalizza l’unione delle coppie di fatto, anche omosessuali. 

  4. Secondo le stime dell’EUROSTAT, nel 2011 76,6 % delle nascite in Italia si sono prodotte all’interno di un matrimonio, si tratta di 44,2 % in Francia. 

  5. Secondo le stime dell’ISTAT, nel 2006 le donne italiane dedicavano 74% del loro tempo di lavoro totale (retribuito e totale) al lavoro domestico, contro soltanto 26% al lavoro retribuito. 

  6. è stata selezionata la classe di età 25-49 anni poiché l’età media al parto è di 30 anni in Francia (INSEE, 2014) e di 31,3 in Italia (ISTAT, 2014). Le persone di meno di 25 anni con figli sono al giorno d’oggi poco numerose. 

  7. Elaborazioni personali sui dati delle indagini Generations and Gender Survey nelle due versioni nazionali (Etude des Relations Familiales et Intergénérationnelles del 2005 per la Francia e Famiglia e Soggetti Sociali del 2003 per l’Italia). 

  8. Non è possibile indicare la cifra esatta poiché la domanda è stata posta diversamente a uomini e donne. 

  9. Il tasso di occupazione si ottiene dal rapporto tra gli occupati di una certa classe di età e la rispettiva popolazione della stessa classe di età il tutto moltiplicato per cento (definizione ISTAT qui].