di FANT PRECARIO.

L’attenzione di tutto il mondo è oggi ansiosamente concentrata su Genova, dove si svolge su scala mondiale uno dei più grandi episodi della lotta tra sfruttatori e sfruttati. Nella fase in cui è giunto, il capitalismo non può rispondere alle esigenze dello sviluppo odierno delle forze produttive. Esso è diventato impedimento a tale sviluppo. Soltanto un altro sistema indirizzato all’aumento della produzione, e non già del profitto privato, può trarre per l’umanità una nuova vita e un nuovo avvenire dalle ruine accumulate dalla lotta imperialista del capitalismo moribondo. Questo, finché dura la sua travagliosa e lenta agonia, non può far altro che accumulare nuove rovine, ostacolando l’integrale valorizzazione dei beni naturali e della forza di lavoro umana, accendendo nuovi conflitti imperialistici.
[A. Bordiga, “La Conferenza di Genova e i doveri del proletariato”, 1922]

1. In un mondo complesso e variegato, che mette a dura prova ogni teoria ricostruttiva e pratica sovversiva, tutto pare “ineffettuabile”, confuso: quasi che il capitale finanziario avesse reso nebuloso l’orizzonte come i suoi titoli, lo statuto dell’impresa impenetrabile l’indagine dell’esistente come quella dei suoi bilanci.

2. Genova non si sottrae a tale difficoltà, anzi la amplifica, rimaneggiando in forme sempre nuove mai sopite contraddizioni e ripianandole nella propria realtà evanescente.
Genova è la città della finanza come ci ricordava Braudel, dei fratelli Perrone che con l’aiuto della Banca italiana di sconto avevano acquistato nel 1915 l’Ansaldo (fallita nel 1921, messa sotto inchiesta l’Ansaldo), dei “Casi Raggio”  di scolastica memoria, fino a quanto oggi scuote uno dei gruppi bancari maggiori d’Italia. Genova è oggi città portuale senza un porto, città industriale senza industrie, città di sinistra senza sinistra.
All’insorgere della crisi del 2008, la camera di commercio rivelava che lo sconvolgimento in atto non aveva interessato Genova, stante la cronicità delle conseguenze, che alla crisi si accompagnano, nel tessuto economico e sociale della città.
Genova, oggi e sempre la realizzazione del togliattismo in braghe di tela.
Una città strana, si diceva: dove il Vescovo dirige ospedali, nomina consiglieri di fondazioni bancarie (una volta andò pure a testimoniare nel processo a carico dell’assassino di Buranello – preciso: “preteso assassino”, perché venne assolto), il presidente della regione costruisce improbabili sottopassi e prende l’autostrada contromano, il sindaco è un principe epperdipiù professore, tanto di sinistra che il primo e unico provvedimento assunto sino a qualche ora fa era lo sgombero di alcuni avvinazzati che suonavano il bongo in piazza De Ferrari.
Genova è la città dell’antifascismo di facciata.
Genova è la città di Belsito (contraddizione lombrosiana in termini per la Lega Nord), il buttafuori che nel 2010 divenne vice presidente di Fincantieri.
Genova è anche città che nel suo piccolo ogni tanto si incazza.

3. Per capire Genova devi leggere il “Corriere Mercantile”. Qui “l’emergenza” è palpitante tremore che avvolge una città sempre più vecchia. Genova è percorsa da feroci rumeni che finito di rubare rame (anche oggi 23 novembre a pag. 8, furti di rame sui binari, in dieci mesi 83 colpi) se la spassano violentando vergini, esasperata da oscuri albanesi che imbarbariscono la vita delle vecchiette, strappata al futuro dagli abitanti di Begato: la città della “banda dei Rolex” insomma.
Il “Corriere”, oggi, ci avverte: AMT prove di intesa. Ma lo sciopero non si ferma. Bagnasco appoggia i dipendenti. Fincantieri, il lavoratori liguri contrari alla vendita del 40%. Amiu sale la tensione, servizio a singhiozzo. E conclude: Partecipate tutto è possibile [che non è ottimistico invito rivolto alla cittadinanza, ma constatazione sulla fluidità della situazione delle aziende partecipare (che sono poi AMT, AMIU e ASTER)].
Allora non resta che rispondere positivamente all’inconsapevole invito e partecipare alle lotte che stando alla carta stampata divampano per la gestione delle ex aziende municipalizzate.

4. Genova è, nella propria diversità, laboratorio di sperimentazione biopolitica attraverso il passato che la divora. A Genova, la captazione della produzione moltitudinaria avviene secondo i tempi che batte la burocrazia “picina” nell’esercizio della propria funzione di gestione del nulla. Genova è una stalinopoli del futuro.
Non che altrove le cose stiano diversamente: le aziende partecipate dagli enti locali registrano ovunque deficit rilevanti, ovunque i lavoratori sono sfruttati e lobotomizzati, dappertutto il costo del lavoro è una variabile indipendente (nel senso che se ne prescinde, neppure considerandolo).
La protesta dell’AMT deve quindi essere valutata secondo due differenti direttive:

a) come gestire il trasporto pubblico;
b) il significato “genovese” della gestione della lotta come distruzione del comune.

a) Che lo scopo di una società di trasporto di persone sia quello di fare viaggiare i bus sulle strade non è certo un segreto (grazie anche a Walther Rathenau). A ben vedere, messa così, il fatto che la dirigenza sia pubblica o privata non fa differenza, è solo questione di costi e di bontà del servizio. È lo stesso anche da altro punto di vista, infatti gli interessi imprenditoriali (soprattutto in una città storicamente senza imprenditoria) sono talmente commisti a quelli politici che la dirigenza, appunto, finirebbe per essere la stessa.
Di qui, sproloqui di Fassina, esternazioni di Fassino, lodi alla corretta gestione, al pareggio di bilancio, alla legge di stabilità.
Tutto falso e bugiardo, come i predicatori.
Le società di trasporto pubblico sono qualcosa di più, appunto perché trasportano il “pubblico”: rappresentano un elemento costitutivo delle condizioni di vita. L’AMT non svolge un servizio pubblico, segna un tempo notevole nella vita di operai, casalinghe, pensionati.
Ridurre in senso economicista la fattispecie significa elidere il rapporto tra la vita e le condizioni in cui essa scorre. L’utilizzo dell’autobus (come lo smaltimento dei rifiuti, la disponibilità dell’acqua) è immediatamente biopolitico: dirige la vita, ne scandisce il corso, ne regola tempi e modi. Occorre svincolare la questione del servizio pubblico dal fatto che è un servizio (e quindi dalla riduzione della cosa alla bontà o alla economicità del servizio) per prendere in considerazione il fatto che l’autobus è vita, e come tale impostare il discorso.
Gli autobus debbono quindi percorrere le strade obbligatoriamente in buone condizioni, alla guida di personale pagato dignitosamente e senza il ricatto delle esigenze di bilancio.

  • Il trasporto deve essere garantito, gratuitamente, per il fatto che la vita del trasportato è, anche attraverso l’uso del mezzo, immediatamente produttiva (come del resto, quella dei tranvieri).
  • Le aziende partecipate (tutte, e di tutti gli enti locali) vanno liquidate, incorporate in una big-bad company nella quale convogliare le perdite da assorbirsi con l’emissione di obbligazioni garantite dalla cassa depositi e prestiti (o dalle proprietà del sindaco, la cosa non cambia).
  • Vanno dimissionati dirigenti, consulenti, revocati gli appalti alle mille imprese private che costituiscono un putrescente indotto che genera solo lavoro nero e frodi fiscali.
  • Il trasporto “comune” dovrà poi essere affidato a nuove aziende gestite dall’esplosione moltitudinaria che dirigerà i gerenti (che con tutta probabilità saranno sempre gli stessi, con le stesse facce tristi e grigie) imponendo quantomeno la continuità, la gratuità, la sufficiente funzionalità del servizio.

Ma le aziende genereranno reddito?
No, senz’altro, se con ciò si intende il pareggio di bilancio.
Ma:
♠ i concerti di qualche morto-vivente a spese del comune generano reddito?
♣ le mostre affidate ai soliti noti col doppio cognome generano reddito?
♥ la notte bianca cosa porta al comune?
♦ e il terzo valico? la gronda?

Riproponiamo ora la domanda: ma le aziende genereranno reddito?
Certo, se per reddito intendiamo migliori condizioni di vita per gli “utenti” e i lavoratori: possibilità di dignità e rispetto anche nel non essere considerati bestiame da trasportarsi attraverso quella orrenda fabbrica che è la città, resa orrenda, anche e forse soprattutto, dalle condizioni in cui la sopravvivenza è agita.
Il servizio gratuito è rivendicazione unica con il reddito incondizionato dalla cui necessità è generata.
Per questo che la lotta dei tranvieri fa difesa, aiutata e condivisa, anche oltre le loro iniziali aspettative.

a bis) Se questo è vero, risulta anche legittimo lo sciopero che ad es. Assoutenti (ma cos’è, chi sono?) contesta, addirittura rivolgendosi al ministro dell’interno Alfano (mica pizza e fichi) per chiedere un intervento urgente, fermo e risolutivo sulla difficilissima e drammatica situazione in corso a Genova, dove gli abitanti da quattro giorni patiscono le conseguenze di uno sciopero selvaggio […] a causa del quale una città di mezzo milione di persone vive giornate di caos e pericolo (ancora i ladri di rame? o i suonatori di bongo?) sotto il ricatto di un sindacalismo corporativo (ma cosa altro non è il sindacalismo, perlomeno dai tempi di Mussolini e Lama?). Già il garante prepara sanzioni, ci avverte sempre il “Corriere Mercantile”.
Bisogna difendere chi sciopera, perché – forse per la prima volta – la lotta travalica la questione del denaro, del posto di lavoro e della vita intesa come mera gestione del nostro tempo terreno, per qualificarsi in battaglia per la riattivazione della comunicazione tra singolarità che anche nel transito dei “celeri” modificano il senso dell’esistenza adeguandola a sé medesimi.
E per questo non basterà la fine ermeneutica di qualche giurista del sindacato.

b) La lotta genovese, dicevo, rivela un utilizzo strumentale, tutto genovese, modernissimo ma antichissimo (potremmo dire un po’ “Speciale”, chi non ha più vent’anni capirà), degli accadimenti.
Ci si divide tra sostenitori del pubblico e del privato, tra socialisti e liberisti (entrambi di facciata e consociativamente gaudenti delle prebende che le municipalizzate offrono a tutti); ma se i (finti) liberisti agiscono in modo lineare, condivisibile (perlomeno, se si è truffatori o titolari di incarichi pubblico-privati), i neo socialisti operano in modo più strutturato e senz’altro più pericoloso per chi agisce col fine di vedere dispiegato il comune prodotto dalle singolarità che, anche attraverso il transito cittadino, cooperano nella creazione di ricchezza.
Si badi: la stessa operazione è agita per Fincantieri, gli ospedali, per AMT e AMIU.
Il feticcio è la potenza sindacale che si inalbera contro i soprusi, anzitutto ponendo la (errata) convinzione che ci possa essere una gestione (pubblica o privata che sia) buona “in astratto” a prescindere dalle condizioni di vita di chi lavora (=capacità del sindacato di accreditarsi come creditore di qualcosa agli occhi del potere – di cui fa, misera, parte).
Il sindacato valorizza l’operaio, il tranviere portandolo alla presenza del padrone, ma il valore che pone è soltanto d’uso; il sindacato cartolarizza l’operaio emettendo poi “obbligazioni” garantite dalla stessa sottomissione operaia.
Il capolavoro è compiuto:

  • il vero creditore (l’operaio) diviene debitore del sindacato, che può disporre del credito che ha rubato raccontando la vecchia storia del partito comunista più forte dell’occidente (variamente coniugata);
  • l’operaio acquista le obbligazioni consistenti nel diritto a qualche lira o alla persistenza di aziende decotte in un territorio completamente assoggettato al mercato;
  • il capitale gestisce l’emissione delle obbligazioni e soprattutto le riscuote, assorbendo la vita (e la storia) dell’operaio sempre più costretta in quei vincoli mercantili che a parole si dice di volere regolare, contenere, caducare (e qui l’infatuazione dei sostenitori dei beni comuni per il ricircolo delle esistenze dannate, diventa mortifero).

5. Prima conclusione: è facile dire lo sapevo. Siamo tutti serviti.
Ecco “Repubblica Genova”:
a) «I primi mezzi pubblici sono usciti dalle rimesse intorno alle 15.30. Tensioni durante l’assemblea dei lavoratori di Amt che ha approvato a maggioranza la bozza di accordo che conclude la vertenza sul trasporto pubblico a Genova e lo sciopero di 5 giorni. A chiedere il voto favorevole sono state le organizzazione sindacali che la notte scorsa hanno portato a termine la trattativa, ma c’è chi chiede nuove votazioni. Condanna unanime delle minacce al presidente Amt» (beh, ci hanno risparmiato, l’avanti al centro contro gli opposti estremismi, è già un primo passo!).

b) «L’accordo – ha commentato il sindaco Marco Doria – avrebbe potuto essere raggiunto senza un giorno di sciopero, nel senso che la necessità di trovare dei punti fermi sulla base dei quali guardare al 2014 era una nostra consapevolezza diffusa”. “Ci si è sforzati – ha aggiunto il primo cittadino – di trovare un punto di equilibrio in una situazione molto complessa. Era doveroso ricercarlo e trovarlo perché – ha detto ancora Doria – sarebbe stato insostenibile il protrarsi dell’astensione dal lavoro di dipendenti che dovrebbero essere impegnati ad erogare un servizio pubblico essenziale (evidentemente, per il principe la vita dei lavoratori non è essenziale). Nel merito – ha concluso il sindaco di Genova – gli obiettivi che vanno tenuti a mente sono primariamente quello di dare una prospettiva all’azienda comunale Amt, che rimane pubblica (di chi?) al 100% e tutelare i posti di lavoro».
E allora avanti: assessori godete, consiglieri di amministrazione incompetenti e sfaccendati tirate un sospiro di sollievo, tanto ci sarà sempre e lo sapete un giudice fallito, un pio, un principe, a sparare cazzate.

c) Il testo dell’accordo.
«L’accordo prevede, in primo luogo, che l’Amt rimanga pubblica (quindi sotto la gestione degli orfani di Berlinguer). La Regione si impegna a finanziare l’acquisto in tempi brevi di 15 nuovi mezzi attraverso una riprogrammazione di risorse già impegnate (come?) e, nel quadriennio 2014-2017, di altre 200 vetture, con finanziamenti da fondi europei e nazionali. La Regione, poi, si impegna ad accelerare il percorso di costituzione dell’Agenzia unica per il Tpl entro marzo del 2014 in modo che operi a regime entro la fine dell’anno. I sindacati hanno riferito, poi, che, per ripianare il disavanzo di Amt, calcolato in 8,3 milioni di euro nel 2014, il Comune si è impegnato a ripatrimonalizzare l’azienda con un investimento pari a 4,3 milioni di euro (dove li trova? e poi azzerare le perdite? ma se una società è in perdita o cambia management – manco a parlarne – o cambia rotta). I restanti 4 milioni saranno invece recuperati attraverso riorganizzazioni aziendali che non toccheranno nè le retribuzioni, nè l’orario di lavoro, nè i riposi dei dipendenti. In particolare, secondo quanto riferito, tra gli interventi di riorganizzazione è prevista l’esternalizzazione di quote di attività che verranno affidate in appalto (come i servizi sulle linee collinari, come volevasi dimostrare: i) affanculo il quartiere Begato; ii) tutto il potere alla derelizione del patrimonio e avanti con la scalata ai denari statali da parte amici esternalizzati). Dopo l’eventuale firma definitiva dell’accordo si avvierà una trattativa aziendale per stabilire quante e quali linee appaltare. Questa misura dovrebbe consentire un risparmio per l’azienda pari a 2 milioni di euro (ma perché? e secondo te gli autobus chi li compra? e poi c’è un privato a Genova che faccia questo senza sovvenzioni?). Per recuperare i restanti 2 milioni di disavanzo, l’accordo prevede altre riorganizzazioni interne, che dovranno essere individuate entro il 31 dicembre di quest’anno in modo da essere realizzate a partire da gennaio del 2014. È stato precisato che l’accordo prevede esplicitamente l’inscindibilità delle singole misure stabilite: se un punto non dovesse essere rispettato, salterebbe l’accordo nel suo complesso» (e così scatta il metodo Alitalia, si fa saltare il piano, se ne fa un secondo, peggiorativo, poi un terzo, ancora più deleterio con tripudio dei “capitani coraggiosi”, coraggiosi sì ma con i soldi delle banche).

d) La Procura e il Garante.
«Funzionari della polizia municipale hanno depositato stamani nella segreteria del procuratore di Genova, Michele Di Lecce una relazione relativa ai disordini avvenuti all’interno della sala rossa di Palazzo Tursi, sede del consiglio comunale di Genova, avvenuti martedì ad opera di lavoratori dei trasporti in sciopero. In quell’occasione quattro agenti della municipale rimasero contusi. Intanto dalla Procura della Repubblica di Genova si apprende che è stato aperto un fascicolo, al momento contro ignoti, per interruzione di pubblico servizio. E l’autorità di garanzia sugli scioperi ha scritto ad Amt per chiedere informazioni urgenti sullo sciopero: se ne discuterà nella seduta di lunedi 25» (Costituzione, chi era costei?).

6. Seconda conclusione: siamo tutti No Terzo Valico (1898-2013)
Nell’iniziale tratto appenninico della linea Torino-Genova, tra Pontedecimo e Busalla, l’11 Agosto 1898 si verifica un grave incidente ferroviario, che le cronache dell’epoca riporteranno con grande evidenza sia per la drammaticità del fatto, sia soprattutto per le complicanze politiche che da esso scaturiranno. Quel disastro infatti metterà in luce uno scandalo di vaste proporzioni sulle forniture di carbone alle ferrovie, e svelerà gli interessi che hanno condizionato la nascita dei collegamenti ferroviari alle spalle di Genova. Il resoconto di quella giornata descrive una tragedia che, come vedremo, era da tempo annunciata.
Un treno merci, affrontando in salita verso Busalla la ripida pendenza della Galleria dei Giovi, rimasto all’improvviso senza guida inizia a retrocedere e piomba a forte velocità su un convoglio passeggeri in attesa, alla fermata del Piano Orizzontale, di affrontare a sua volta l’impegnativo itinerario.
Tra le lamiere contorte vengono estratte tredici vittime e circa una ventina di feriti.
Che cosa aveva procurato quella catastrofe che, oggi, a distanza di cento anni ricordiamo?
Uno dei passeggeri, che miracolosamente riesce a mettersi in salvo, riferisce ad un cronista de “Il Secolo XIX” che: «per il maledetto carbone usato da qualche tempo a questa parte dalla società ferroviaria, tutto il personale di macchina del treno merci è stato colto da asfissia assieme al frenatore che, cadendo dalla sua cabina soffocato dal fumo, ha lasciato il treno abbandonato a se stesso».
La verità vera è che dietro ai grandi proclami, pur animati da sincere intenzioni e da effettivi bisogni, si muovono interessi ben più casalinghi, quali la costruzione di un Terzo Valico, non tanto al servizio dell’intera portualità genovese, quanto a sostegno di una più scorrevole e meno onerosa “movimentazione” della produzione della Carbonifera alla quale, proprio nel 1897, il Raggio lega – come prima ricordato – l’attività di un’intera flotta (la Società Commerciale di Navigazione) costituita da quindici Cargo-Boat.
Tutto questo emerge con chiarezza nel Consiglio Comunale genovese del 14 luglio 1904 dove, in seguito ad una interpellanza, presentata a nome della maggioranza consiliare dal consigliere Giulio Pittaluga, riguardante “I provvedimenti idonei al compimento del progetto esecutivo del tronco appenninico della direttissima Genova-Rigoroso-Tortona”, scatta nell’opposizione l’ira del Gruppo Consiliare Socialista il quale, per voce del consigliere Massone, accusando la Giunta di non avere sostanzialmente a cuore il buon esito di quel progetto – “Andate a Roma solo quando il Ministro chiama” – denuncia che il Conte Edilio Raggio già da tempo “ha fatto nominare una apposita commissione parlamentare la quale riferisse in favore della linea Genova-Fraconalto-Voltaggio-Gavi-Novi”. A quelle parole il trambusto che scoppia nella sala consiliare è incontenibile; tra i vari consiglieri volano reciproche accuse e dal pubblico un certo Mario Malfettani grida “Andatevene via! Gli interessi di Genova li avete sotto le scarpe!”. Interviene la forza pubblica e, tra il clamore, il Sindaco Gian Battista Boraggini ordina lo sgombero dell’aula.1

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  1. Tratto da Lo scandalo  delle forniture ferroviarie e la questione del Terzo Valico di Gian Battista Cassulo, qui, con la precisazione che nulla si condivide degli assunti che informano il pensiero e lo scritto dell’autore.