Di MARCO BASCETTA

Patria e Famiglia. Per Dio bisognerà attendere, i vescovi con le messe non l’hanno spuntata. Ma nella sua infinita misericordia Lui non dovrebbe prendersela a male. Salvini invece si. Questo sarebbe il titolo più proprio del decreto che proroga con minime varianti la rigida chiusura della fase uno.

L’amor di patria, che infestava lo stucchevole e timoroso discorso del premier Conte, in assenza di eventi bellici si esprime nel lavoro. Non di tutti, naturalmente, ma di quelli impiegati nelle imprese che una guerra, quella commerciale, sono comunque tenuti a combatterla e di quanti operano nelle loro retrovie.

Per i lavoratori “voluttuari” e gli “irregolari”, dal nero alle varie sfumature di grigio, continua la decimazione di massa con qualche opera di carità che tarda ad arrivare. Bisognerà aspettare i saccheggi nei supermercati perché le pur modeste promesse vengano mantenute? Per non parlare delle molte donne e degli uomini con figli alle quali e ai quali la chiusura delle scuole preclude la continuazione di ogni attività.

Che l’apertura, graduale e prudente quanto si vuole, dovesse procedere parallelamente negli ambiti della produzione e della vita sociale era evidente non solo per ragioni di mercato (non vi è significativa circolazione di merci senza circolazione di persone), ma anche perché il segno di un lavoro produttivo separato dalla vita sociale è decisamente terrificante.

Lo schema che ci propone (fabbrica-casa-famiglia), per il solo fatto di essere stato messo in scena ci prospetta uno scenario di devastante regressione. E non solo del Pil.

L’indicazione della famiglia in senso stretto come unico ambito consentito di relazione è una scelta di arbitrio disciplinare inimmaginabile. D’un tratto la vicinanza tra nonni e nipoti, funzionale alla ripresa delle attività produttive, ha cessato di comportare rischi. C’è chi parenti non ne ha o chi li detesta cordialmente, e dunque chi ha costruito la sua cerchia affettiva più stretta con altre persone.

Spetta forse allo Stato di emergenza tracciare i confini e la natura delle nostre relazioni affettive? La protezione dal contagio è una questione che riguarda il numero delle persone che si incontrano e le modalità in cui questi incontri si svolgono. Non certo la consanguineità o la norma anagrafica.

Così, nel timore di una valanga di proteste i “congiunti” sono stati estesi a “fidanzati e affini”. Ma poiché è impensabile concepire una modulistica che ci consenta di scegliere la nostra “famiglia” elettiva, è al senno e alla responsabilità dei singoli che questo esercizio di libertà dovrebbe essere lasciato.

Ma il senso di responsabilità dei cittadini ossessivamente richiamato nella retorica governativa è in realtà brutalmente calpestato anche in questo nuovo decreto. La normativa, poi, rimane sufficientemente confusa da lasciare spazio all’arbitrio interpretativo di forze dell’ordine non sempre impeccabili nell’assennata valutazione dei fatti. Mentre si continua, dunque, a precludere la fruizione dello spazio aperto secondo una geografia imperscrutabile, le questioni decisive come la messa in sicurezza delle scuole per il prossimo autunno e la riorganizzazione del trasporto pubblico del tutto inadeguato ad affrontare la ripresa delle attività produttive, restano senza credibili risposte.

Nel decreto Patria e Famiglia, la scienza entra assai poco, molto l’ideologia e gli interessi economici dominanti. Quanti battevano le mani per il trionfale ritorno dello Stato sono serviti. Le sue funzioni prevalenti rimangono il controllo e la precettazione alle quali ora si aggiunge una declinazione della sicurezza in chiave di morale dei costumi. Il premier nel suo discorso aveva messo le mani avanti: “potreste prendervela con il governo e la politica”, ma non dovreste farlo per amor di patria.

È invece proprio quello che le forze sociali dovrebbero fare per arrestare immediatamente la deriva emergenziale e l’uso che la destra con i suoi interlocutori del momento si accinge a farne. Affermare che esistono altre libertà non a lungo sacrificabili oltre quella d’impresa. O sarà l’insubordinazione diffusa a farlo con conseguenze imprevedibili. Spetta dunque a una forte mobilitazione politica e sociale aprire una fase due diversa dall’imprinting disciplinare, grossolano e irrazionale, che il governo mostra di volerle conferire.

Questo articolo è stato pubblicato su il manifesto il 28 aprile 2020.

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