Di FRANCESCO FERRI

1. Qualcosa è cambiato

La chiusura definitiva dello stabilimento ArcelorMittal di Taranto, l’ex ILVA, è a un passo? Una rapida ricognizione sugli eventi degli ultimi anni suggerirebbe cautela. A partire dal luglio del 2012, gli ultimi otto anni sono stati scanditi da momenti eccezionali, passaggi decisivi, intense attese collettive. Il punto di non ritorno è sembrato, in più occasioni, a un passo. Le iniziative assunte dalla magistratura, le scelte strategiche della proprietà e le posizioni di alcune forze politiche sembravano più volte aver determinato le condizioni affinché gli impianti dell’acciaieria tarantina chiudessero. Com’è noto, le fonti inquinanti sono tuttora attive. L’articolato paesaggio economico, sociale e politico che circonda, attraversa e sostiene l’industria ha di volta in volta configurato audaci iniziative normative, finanziarie e amministrative per consentire il proseguimento della produzione.

Eppure da qualche settimana il vento sembra cambiato. L’ipotesi che l’acciaieria chiuda – non solo per l’emergenza COVID-19, ma in maniera definitiva – appare nuovamente a portata di mano. Le iniziative assunte dal sindaco di Taranto sono l’ultima rappresentazione di quanto l’opzione «chiusura delle fonti inquinanti!» abbia, in città, consensi così diffusi da indurre anche le istituzioni locali ad assumere posizioni inconsuete. Paradossalmente, l’emergenza sanitaria globale in corso sembra configurare un’ulteriore, decisiva condizione che pone la chiusura dell’ArcelorMittal in una dimensione di inedite possibilità.

«Fermare la produzione per tutelare la salute!», l’orizzonte strategico verso il quale si sono mossi lungo l’ultimo decennio i movimenti tarantini è, di colpo, sotto la scure del COVID-19, diventato una rivendicazione globale. In ogni continente lavoratrici e lavoratori, cittadine e cittadini si mobilitano affinché i luoghi della produzione vengano chiusi e siano assunte misure per la tutela della collettività davanti all’emergenza virus. Questa circostanza non è, evidentemente, sufficiente affinché effettivamente si chiuda – definitivamente – l’ArcelorMittal di Taranto. Allo stesso tempo, siamo davanti a una nuova prospettiva.

L’affermazione della priorità della salute sulle ragioni della produzione ha, grazie agli scioperi e alle mobilitazioni in giro per il mondo, un’imprevista e cogente legittimità globale. La chiusura delle acciaierie si porrebbe in diretta continuità con l’affermazione del principio della precedenza della salute sulla produzione: né più, né meno. È il giusto momento per congedarsi definitivamente dall’argomentazione principale che ha finora reso vano ogni tentativo di chiusura dell’ILVA/ArcelorMittal. Quel «bisogna salvaguardare il PIL», che mille volte è stato agitato contro le mobilitazioni per la giustizia ambientale, è indubbiamente depotenziato, ora che si è prodotta la chiusura di un considerevole numero di fabbriche proprio in ragione della necessaria di tutelare la salute collettiva, con buona pace del PIL nazionale.

2. Un’occasione unica

C’è un ulteriore elemento, emergente nella fase attuale, che contribuisce a rendere l’opzione della chiusura definitiva del siderurgico non soltanto auspicabile e realistica, ma potenzialmente sostenibile, anche dal punto di vista economico. La rilevanza dell’emergenza COVID-19, la sua dimensione globale e l’impatto sulle condizioni materiali di vita necessitano di vie d’uscita inedite e strutturali. La discussione europea e globale sulle misure indispensabili per sostenere le economie in crisi sotto la scure del virus è vivace e può condurre a significativi cambiamenti. La configurazione di politiche monetarie delle banche centrali segnate da discontinuità per lo meno parziali e la possibilità di aprire nuovi canali di trasmissione della ricchezza possono rappresentare, alla luce della doppia crisi sanitaria che investe la città ionica, delle ottima opportunità.

È una dimensione che parla al presente e al futuro prossimo di Taranto? Sì. Mai come in questa fase la parola «reddito» può aprire concreti spazi di possibilità. Il dibattito nazionale ed europeo per un’uscita dall’emergenza in corso attraverso l’istituzione di un reddito universale e incondizionato sta assumendo notevoli proporzioni. Il reddito di emergenza di cui sta discutendo il governo non ha evidentemente le caratteristiche dell’universalità e con tutta evidenza sarà condizionato. Ciò nonostante, le mobilitazioni per il reddito di quarantena e le successive iniziative assunte dal governo sono il segno di quanto la rivendicazione di un reddito che non sia soltanto sussistenza sia tutt’altro che un’utopia.

La strutturazione di un welfare di tipo nuovo, all’altezza dell’attuale composizione della forza lavoro e della società, e l’introduzione di misure redistributive strutturali, che si stabilizzino dentro e oltre la quarantena, possono essere elementi caratterizzanti del paesaggio economico e sociale postindustriale tarantino. Il momento è ora.

3. Con il piede sull’acceleratore

Lo ripetono tutti: la congiuntura globale attuale è senza precedenti. Nell’immaginare vie di fuga da lutti, angosce e miserie del tempo presente, è necessario e possibile coltivare coraggiose ambizioni collettive. Quali alleanze possono contribuire a fare in modo che a Taranto si concluda, anche alla luce delle possibilità paradossalmente determinate dall’emergenza attuale, il lungo percorso di congedo dall’industria inquinante? L’orizzonte politico definito dalla rivendicazione di nuovo welfare, politiche redistributive e reddito di base può accogliere, in un orizzonte di mobilitazione comune, operai del siderurgico, lavoratrici e lavoratori, precarie e precari, studentesse e studenti impoveriti dall’emergenza in corso.

Nelle trasformazioni globali degli assetti produttivi e delle economie, Taranto può giocare la sua specifica partita? È un’ipotesi che, come tale, va sottoposta alla prova dei rapporti di forza. La sensazione è che alla luce degli attuali equilibri tra gli attori istituzionali e sociali in città e delle nuove possibilità determinate dal contesto globale, questa ipotesi vada verificata con audacia e determinazione.

Congedarsi da lutti, angosce e miserie può voler dire, per Taranto, tirarsi fuori, con un unico movimento, dall’emergenza COVID-19 e dalla tetra produzione dell’acciaio. Il momento è sorprendentemente propizio per un indispensabile esercizio collettivo: chiudere l’industria inquinante e conquistare nuovo welfare. Un’inedita via di fuga dalla doppia necropolitica del presente.

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