di FANT PRECARIO.

– I –

L’Impero come ordine giuridico globale di livello superiore dovrebbe offrire una copertura alla possibilità del capitale di ottenere un certo tipo di rendita, che sia finanziaria, immobiliare o tecnologica. Dal punto di vista del capitale, è esattamente questa “sovrapposizione” –o assemblaggi, direbbe Saskia Sassen- di ordine globale-imperiale e stato-nazionale che dovrebbe articolarsi per la realizzazione delle rendite del capitale a livello mondiale. Una governance che diventa sempre più sommamente complessa, come mostra questo conflitto (intervista con Pablo Minguez).

– II –

Settembre è il mese del ripensamento sugli anni e sull’età dopo l’estate porta il dono usato della perplessità… cantava il poeta.
Settembre e la memoria corre ad eventi passati.
Allende Allende il Cile non si arrende, le due torri che franano sotto i colpi di moderni Maometto ? no.
Perplessi, pensiamo e ripensiamo meglio, ai casi di casa nostra.
8 settembre è data fatidica, negli incubi peggiori di casapound risuona la morte della patria.
15 settembre fallimento di Lehman Brothers, è parimenti evento scompaginante menti e cuori uniti nell’afflato finanziario, inatteso e inattendibile ( mantenimento di un rating elevato fino al giorno della dichiarazione di insolvenza rende palese che il mercato finanziario non ha mai avvertito, prima dell’irreparabile, i sintomi del default, con la conseguenza che non può rimproverarsi alla banca di non avere previsto il default di Lehman Brothers , così Tribunale Torino, 10.06.14 ) quanto atteso ed auspicato.
Sono passati sei anni dal default del colosso finanziario.
Tanti.
Troppi.

Vortice di denaro pubblico e privato a supportare il sisma, il capitale più agile, garrulo e vincente che mai, Renzi e Hollande che fanno finta di compulsare la Merkel, che finge di criticare Draghi che scimmiotta il piccolo padre.
Prima di addentrarci nel coacervo di questioni, volutamente ammassate, che la ricorrenza internazionale ci offre, appare opportuno ed illuminante  adagiarsi sullo sbando degli otto milioni di baionette, prova di esame propedeutica a quel risorgimento italiano che per il presidenteterno è meglio di un film con la Buccella.
Ciò attraverso le parole di Salvatore Satta che prima di essere grande giurista, autore di un manuale di diritto fallimentare insuperato ( e qui rinviene ulteriore elemento di sintonia con la nostra che è storia di fallimenti, più o meno tecnici ) è stato scrittore di prima grandezza.
Nella temperie della guerra patriottica ( i ragazzi del donbass la chiamano ancora così) scrisse un bellissimo libricino, De profundis, proprio sulla morte della patria e dell’uomo tradizionale.
L’uomo tradizionale era un uomo onesto. Se egli non era fatto per comprendere il discorso sulla montagna, era tuttavia rispettoso della legge, e non solo osservava il decalogo, ma lo aveva stemperato in mille articoli di codice, coi quali aveva circoscritto la sua libertà….. Lo spirito della legge stava nello scambio delle libertà primordiali, ma scomodissime, di ammazzare e di rubare, con la libertà di impadronirsi, sotto determinate condizioni, dei beni del mondo. In grazie di questo scambio, l’uomo aveva potuto cingere con muro e con fossa una parte più o meno vasta della crosta terrestre: larghi orizzonti si aprivano alla sua volontà di lavoro e di conquista. Signore di se stesso e delle sue cose, intorpidì dal benessere, s’intende facilmente come egli abbia sprofondato in Dio le radici della sua fortuna e chiamata santa la legge che gliela consentiva e custodiva, santi i patti che gliela procuravano, e infine attraverso l’idea di individualità e libertà, santificato se stesso….. ( alla faccia dei giusnaturalisti di risulta ) è chiaro che, per quanto modificata e trasformata nello scambio, la nuova libertà conservava intatta l’essenza di quella antica, e l’uomo civile si ricongiungeva al barbaro nell’identità del fine che aveva posto alla sua esistenza…[( aprendo il varco ad una perpetuità dell’accumulazione originaria ), pgg. 36-37 ].
L’otto settembre non è … la fine ma il principio della guerra, che dal piano internazionale e nazionale, ha posto l’individuo di fronte al problema dell’esistenza, lo getta contro se stesso, contro l’uomo tradizionale che ciascuno reca con sé…( pg. 186 ).
Difficile non scorgere analogia con l’attuale devastazione dei corpi precari.

– III –

Morte della patria e dell’uomo tradizionale, tracollo della grande banca d’affari e ( si pensava della finanza ).
Nella calura dell’estate renziana ( oltre alla pinguedine del ministro in bikini ) rimbombano plurimi eventi che riconducono ai momenti surriferiti.

1 – il default argentino:

a – default:

buitresSembra doversi tradurre con insolvenza.
Non fallimento, quindi, perdita di capacità del soggetto sanzionato ( il capitale, come in Grecia, come nell’Italia del ’43, ha necessità del simulacro statuale ) ma incapacità di fare fronte alle proprie obbligazioni.
Nel caso dell’Argentina, quindi, di insolvenza neppure può parlarsi in quanto sta adempiendo alle obbligazioni assunte e non esiste inadempimento, poiché contesta le pretese dei fondi avvoltoio.
Provate a fare fallire un imprenditore qualsiasi laddove questi dimostri che non paga perché “non vuole ” e non perché non può. Ditemi, poi, il risultato.
La stranezza ( del tutto apparente ) è che in ogni ordinamento occidentale “moderno” l’insolvenza ( ancorché attuale ed effettiva, e non è il caso in esame ) viene favorita la prosecuzione dell’impresa.
La scelta del legislatore ( italiano, perlomeno ) è di penalizzare il ceto creditorio all’inverosimile pur di consentire la prosecuzione dell’impresa.
Le percentuali offerte dalla patria di Maradona risulterebbero ottimali per un qualsiasi concordato. L’estensore del piano si pavoneggierebbe nelle aule delle sezioni fallimentari dei Tribunali dell’intero stivale. Il Sole 24 intonerebbe inni alla prosecuzione dell’impresa decotta, alla salvezza della capacità produttiva, alla vita ( dell’impresa ) che si rigenera grazie all’essenza immortale e perpetua del proprio statuto.
Questo canone valido per ogni impresa vacillava se si trattava di persone fisiche o dello stato.
Perché?

Lo statuto dell’impresa è unico parametro di riconoscibilità, uniche lenti in possesso  del capitale che così assoggetta l’attività espletata – da chiunque – alla legge del valore.
Se l’impresa, già da tempo, ha preso le mani e la vita delle singolarità precarie, così che ne viene reso lecito il perpetuarsi dell’indebitamento a patto che non cessi la possibilità di captazione del prodotto della vita in comune ( che cessa solo con la morte ), diverso è – ancora, ma per poco – il discorso per lo stato.
La sovranità, orpello desueto e riconducibile alla sola legittimazione a porre confini e uccidere ragazzi in motorino ( è storia di oggi ), è ragione di leggi e giurisdizioni che si sovrappongono, scontrano consentendo di sottrarsi a quella che meno aggrada.
Ma se questo è un bene per il singolo imprenditore che scegliendo fior da fiore giudici ed arbitri percorre le nostre esistenze tra auto di lusso e interviste a chi, diverso è il parere del capitale globale che trova nel fetido simulacro sì un alleato nei secoli fedele, ma anche un fardello di cittadini che, laddove cittadini ( tanto più se compagni… fratelli e partigiani ), sono difficilmente produttivi.
Di qui il ricorso alla mannaia del default, che va soltanto evocato, mai attuato del tutto, onde dirigere anche lo stato nello statuto dell’impresa privata.
La Germania ci sta riuscendo, di qui l’ammirazione del nostro ministro del lavoro; la Gran Bretagna annaspa ( ma ) in quella direzione…. dell’Italia…. si parlerà di seguito.

b- il default e gli investitori:

La situazione attuale, i dubbi e le perplessità sono generate dal fatto che le pretese sono azionate da fondi o investitori alla ricerca di investimenti “stressed”.
La stessa esistenza di tale tipologia di investitori e dell’interesse che li anima è conferma (magari tragica) di quanto sopra si affermava. Acquisendo titoli non performanti hanno conclamato che nel capitale finanziario, tutto ciò che ha legami con la vita, potendo incidere sulla stessa e orientarne l’agire, ha valore.
Anche la definizione di fondi buitre (che rimanda al glorioso centravanti del Real Madrid cantato dagli 883) tradisce il senso dell’operazione, là dove l’avvoltoio mangia la morte (e non uccide, che io sappia) il “fondo” succhia la vita, al più dà la morte.
Non è svista linguistica o frettolosità nel desiderio di colpire l’immaginazione popolare; si tratta di errore nella valutazione della problematica: in tal modo si è portati a pensare che l’Argentina è morta e il fondo ne divora le spoglie mortali (e allora si aprono scenari duttili per il capitale, un immaginario fatto di greci scialacquoni, italiani dediti all’abuso di prebende pensionistiche, spagnoli che non pagano i mutui per pagarsi la corrida…, con buona pace di Repubblica e dei suoi economisti, ah ah ah).

Invero l’Argentina è viva e vegeta (tanto che è in grado di adempiere alle proprie obbligazioni e lo sta facendo) ed è quello che interessa ai fondi e ai suoi lacchè in toga.
Infatti si tratta di una crisi “voluta”, reazione a decisione contestata ed opposta, evitabile e contrassegnata dalla specificità della controparte (un fondo e non investitori “ordinari” non speculatori, e qui c’è un altro equivoco, la generazione di categorie insensate, l’investitore buono e quello cattivo, la vecchia mafia d’onore e di borsalino e i magrebini cattivi e privi di cultura,  il consumatore che compra la panda per il bene d’Italia e quello che abusa dei benefici che il capitale offre…).
Comunque, la limitata reazione sfavorisce gli obiettivi degli speculatori più propensi all’aggressività. Stupisce il tono soft degli organi di stampa, la cautela del governo americano (e mica tutti si saranno persi nelle tette boschive).
Invero il rischio per i possessori di titoli ristrutturati è limitato, mentre resta alto per quelli che rifiutarono lo scambio ( ma qui il rischio era ragione dell’interesse a siffatto agire, e poi il risultato non è il profitto diretto – non solo – ma quello derivante dalla paura del debito e nel debito ).

La sentenza USA ha generato una criticità non vantaggiosa (laddove si opinasse per una volontà di ristrutturazione) ma soprattutto rappresenta la prova che l’intervento della magistratura nelle questioni finanziarie, anche se corretto (e non vale mai la pena di discuterne) non è la scelta preferibile per i mercati e per i suoi operatori meno attenti o meno disponibili alla continua movimentazione delle proprie posizioni.
L’azione giudiziaria si è rivelata inidonea alla gestione della dinamica delle variabili finanziarie incapace come è di interpretare gli schemi della finanza, e ciò sia se giungano decisioni favorevoli ai piccoli investitori sia se portino vantaggio agli Hedge Fund.
La magistratura invera se stessa e il diritto morto e insensato con decisioni cui sfugge il senso dell’azione finanziaria: captare la vita produttiva.
Il magistrato – quando non ti arresta – pensa alla produttività, al paesello, al fiume tranquillo, alle masse consumiste defraudate.
Ma quanto qui conta (per il capitale) è la persistenza dello stato di incertezza ( e qui i Giudici nulla possono ).
La anche solo ipotetica (in concreto molto bassa) possibilità per acquirenti di titoli spazzatura di fare saltare il banco ( e con essi milioni di vite ) è il vero risultato.
È da questa paura che ci si deve difendere.

Anche il capitale rischia.
Le difficoltà argentine potrebbero inficiare il mercato delle emissioni di titoli da parte della grande maggioranza dei Paesi sovrani.
Se salta la favola dello spread , come fanno gli stati ad indebitarsi per pagare (a debito) le imprese cui hanno delegato l’esercizio delle attività un tempo delegate al welfare? Come si possono abbassare le imposte sul lavoro e alle imprese?
Il fine (che potrebbe essere – ove rettamente inteso e gestito – condiviso dalle singolarità precarie) è quello di fare si che anche per il debito sovrano si attivino misure di disciplina della crisi, portando lo stato a condizione di impresa, così consentendone la “salvezza” quale feticcio, legittimando – al contempo – la libera gestione della gestione della crisi dell’impresa-stato da parte del capitale.
Basta con scioperi, insurrezioni (e/o tumulti, per chi preferisce), ministri in ginocchio, pontefici dolenti sulle macerie delle città fallite, un curatore globale ci salverà, a patto che la nostra vita resti produttiva e a disposizione.

Da questa considerazione, che siamo vivi e produttivi, bisogna procedere.

– IV –

La valorizzazione della vita passa per lo sviamento “appropriativo” del comune; paura, diffidenza, precarietà sono le condizioni ottimali, soprattutto per imporre riforme.
Vediamone alcune.

1 – TTIP & ISDS

Mentre si finge disappunto per i disastri della finanza, il capitale con questi accordi tenta di procedere verso un’ulteriore deregolamentazione del settore finanziario.
Il ‘Transatlantic Trade and Investment Partnership’, in corso di negoziato tra l’UE e gli Stati Uniti, ha come fine “ridurre gli ostacoli non tariffari al commercio” (ad es. diritti del lavoro, normative ambientali e alimentari, le leggi sulla privacy, regolamenti bancari, ecc).
Con la scusa dell’armonizzazione delle normative tra Europa e Stati Uniti, si mira all’eliminazione delle tutele presenti nei singoli stati laddove ostative alla programmata riduzione e anche questa volta siamo sicuri che il capitale troverà una toga disponibile.
Il grimaldello è offerto dall’ISDS (risoluzione delle controversie investitore-Stato), che conferisce alle imprese transnazionali il diritto di evocare in giudizio i governi se i loro profitti sono minacciati.
Si registrano ad oggi oltre 500 casi, prevalentemente da parte dei paesi sviluppati nei confronti dei paesi in via di sviluppo, con oltre il 50% di risoluzioni favorevoli ai reclamanti.
ISDS è stato utilizzato per bloccare l’imballaggio normale per le sigarette in Australia, viene utilizzato da una società nucleare avverso la decisione della Germania di spegnere l’energia atomica, e costerà miliardi di danni all’Argentina che ha cercato di congelare i prezzi dell’energia.
Ma la preoccupazione maggiore la desta l’intenzione di includere nel TTIP la liberalizzazione dei servizi finanziari.
L’introduzione del TTIP potrebbe significare una completa inversione della tendenza all’indurimento delle normative finanziarie introdotte dopo l’inizio della crisi finanziaria.
Nonostante il fatto che la deregulation iniziata negli ’80 abbia contribuito alla più grande crisi economica a memoria d’uomo, le banche e gli speculatori finanziari sono desiderosi di sbarazzarsi anche dei piccoli passi compiuti da allora per tenere a freno grande finanza.
Attraverso l’ ISDS le finanziarie potrebbero adire in giudizio i governi statali che introducessero decisioni ritenute riduttive del margine di profitto.

2 – L’abrogazione dell’art. 35 D.L. 223/2006 commi 28-28 ter.

La soppressione della responsabilità solidale negli appalti in materia di ritenute entra nella bozza del decreto Sblocca Italia, all’esame del prossimo Consiglio dei Ministri.
Non è la prima volta che si cerca di eliminare questa previsione, che altro non è che il residuo di un insieme di norme, volte a sancire la responsabilità solidale di appaltatori e subappaltatori in materia fiscale, già parzialmente abrogate dal D.L. n. 97/2008.
La norma “incriminata” prevede che – in caso di appalto di opere o di servizi – l’appaltatore risponde in solido con il subappaltatore, nei limiti dell’ammontare del corrispettivo dovuto, del versamento all’erario delle ritenute fiscali sui redditi di lavoro dipendente dovute dal subappaltatore in relazione alle prestazioni effettuate nell’ambito del rapporto di subappalto.
La responsabilità solidale può essere superata e viene pertanto meno se l’appaltatore, prima di pagare il corrispettivo, verifica la regolarità degli adempimenti di cui sopra, scaduti alla data del versamento, acquisendo la relativa documentazione. L’attestazione dell’avvenuto adempimento degli obblighi di versamento delle ritenute dovute può essere anche rilasciata con un’asseverazione da parte dei soggetti di cui all’art. 35, comma 1, D.Lgs. n. 241/1997, e all’art. 3, comma 3, lettera a), del regolamento di cui al D.P.R. n. 322/1998, ossia da parte di uno dei soggetti abilitati alla trasmissione delle dichiarazioni fiscali, fra cui consulenti del lavoro e commercialisti.
Se verrà meno la norma in esame, la responsabilità solidale negli appalti resterà disciplinata dall’art. 1676 c.c. (che interessa, però, gli obblighi retributivi) e, per quanto attiene gli appalti pubblici, dal D.P.R. n. 207 del 2010 che ha introdotto l’intervento sostitutivo delle stazioni appaltanti in caso di inadempienze contributive dell’appaltatore e/o del subappaltatore.
A seguito dell’intervento della legge n. 92/2012, però, l’azione esecutiva contro il committente responsabile in solido può essere esercitata solo dopo l’escussione del patrimonio dell’appaltatore e degli eventuali subappaltatori.
Anche questa “lieta” novella ha un palese riferimento alla libertà di impresa: liberare dal vincolo solidale il committente è implementare il già notevole rischio di affidamento di appalti a cialtroni.
Non è moralismo, è riconoscimento che dell’attività di impresa (produzione di beni) non interessa nulla, lo scopo è quello di potere accedere all’appalto. distribuire denaro pubblico al di là dell’oggetto della questione.
Si tratta non più di socializzare le perdite (come si è fatto con la crisi bancaria) ma di dirigere ab origine il flusso di denaro pubblico verso la speculazione, ormai svincolata da obblighi e controlli

3 – Renzi peggio di Berlusconi: beni comuni quotati in borsa per legge ( da Marco Bersani, Attac Italia).

renzismoSe quest’ultimo, non più tardi di due mesi dalla straordinaria vittoria referendaria sull’acqua del giugno 2011, aveva provato a rimettere in campo l’obbligatorietà della privatizzazione dei servizi pubblici locali (bocciata l’anno successivo dalla Corte Costituzionale), Renzi con il “pacchetto 12” contenuto nello “Sblocca Italia” fa molto di più.
Questa volta non si parla “solo” di privatizzazione, bensì di obbligo alla quotazione in Borsa: entro un anno dall’entrata in vigore della legge, gli enti locali che gestiscono il trasporto pubblico locale o il servizio rifiuti dovranno collocare in Borsa o direttamente il 60%, oppure una quota ridotta, a patto che privatizzino la parte eccedente fino alla cessione del 49,9%.
Se non accetteranno il diktat, entro un anno dovranno mettere a gara la gestione dei servizi; se soccomberanno otterranno un prolungamento della concessione di ben 22 anni e 6 mesi!
Come già Berlusconi, anche Renzi si mette la foglia di fico di non nominare l’acqua fra i servizi da consegnare ai capitali finanziari; ma, a parte il fatto che il referendum non riguardava solo l’acqua, bensì tutti i servizi pubblici locali, è evidente l’effetto domino del provvedimento, sia sulle società multiutility che già oggi gestiscono più servizi (acqua compresa), sia su tutti gli enti locali che verrebbero inevitabilmente spinti a privatizzare tutto, anche per poter usufruire delle somme derivanti dalla cessione di quote, che il Governo pensa bene di sottrarre alle tenaglie del patto di stabilità.
Nel pieno della crisi sistemica, ecco dunque il cambio di verso dello scattante premier: non più l’obsoleta privatizzazione dei servizi pubblici locali, bensì la loro diretta consegna agli interessi dei grandi capitali finanziari, che da tempo attendono di poter avviare un nuovo ciclo di accumulazione, attraverso “mercati” redditizi e sicuri (si può vivere senza beni essenziali?) e gestiti in condizione di monopolio assoluto (per un solo territorio vi è un solo acquedotto, un solo servizio rifiuti).

– V –

L’8 settembre 2014 segna l’inizio di un capitalismo finanziario di nuova generazione: più performante, che ha completamente assorbito nel proprio statuto la vita che viene deformata a dimensione dell’impresa.
Quanto rilevato sub IV, 3 nè è emblema.
La privatizzazione di un bene (prima fase del processo approriativa) comunque ne individuava una titolarità.
La cartolarizzazione dei beni “comuni” non è volta (non solo, quantomeno) a poter avviare un nuovo ciclo di accumulazione, attraverso “mercati” redditizi e sicuri ma ad accedere direttamente alla vita delle persone.
Non si tratta come per lo Sceriffo di Nottingham di “spremere” i sudditi (non solo, ovviamente) ma di potere disporre (la proprietà non rileva ai fini del capitale, che ne fa volentieri a meno, dovendo, altrimenti, rispondere della sorte della cosa) della vita di coloro che si servono del servizio (servizio anche questo irrilevante per il capitale).

******

Ancora una volta la soluzione non è nel restauro di forme statali (lo Stato Argentino esiste eppure… anche l’Italia è uno stato ma…) o di migliori e più eque forme di governante dei mercati, tutelando quella sorta di Giano Bifronte che è l’investitore, o il consumatore.
Scelta (obbligatoriamente) la via dell’impresa non resta che portare i corpi in battaglia impedendone la securitizzazione.
Istituire il comune, degli uomini quindi e non delle cose.
Non c’è spazio per una nuova Bretton Woods.
Alternativa?

Imbarcarsi sul “Baionetta” e sperare in una nuova Salerno…

Buon otto settembre

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