Di CAROLINA BRUNA-CASTRO.

Venerdì scorso, il 15 novembre, a quasi un mese dall’inizio della rivolta in Cile, noi che abitiamo in questo paese ci siamo svegliati con un’apparente grande notizia. Parlamentari di sinistra e di destra avevano raggiunto un grande accordo che hanno chiamato “Accordo per la pace sociale e una nuova costituzione”. Questo accordo propone la redazione di una nuova costituzione che sarebbe nata in democrazia e con la possibilità di essere scritta da un’“assemblea costituente” che, negli accordi stabiliti tra destra e sinistra, ha finito per chiamarsi “convenzione costituente”. Lasciarsi alle spalle una costituzione nata in una dittatura e prodotto di un’élite, scritta a porte chiuse e alle spalle del popolo, sembra una notizia carica di speranza. Quasi una settimana dopo questo accordo, quello che sembrava un cambio di rotta non si è dimostrato tale, in strada continuano le mobilitazioni e diversi attori sociali hanno manifestato appoggio – parziale o completo – sfiducia nei confronti del documento in generale o rispetto ad alcuni dei suoi punti. Personalmente, anche se mi sembra un buon passo in avanti, ho diversi dubbi, oltre a un’obiezione sul nome che gli è stato dato. In questa sede cercherò di illustrarne nei dettagli solo uno: chi rappresenta questo accordo per la pace sociale e per una nuova costituzione? Considerando che i parlamentari parlano per il popolo, è stato pensato quanto sia importante per il popolo della lingua comune che “assemblea” sia diventata “convenzione”? Queste domande sono anche alla base di quello che in Cile si chiama la necessità di un nuovo patto sociale al quale tutti i cileni possano partecipare. Come lo faremo?

Potrebbe sembrare sciocco insistere a chiedersi «chi parlava quando è stato raggiunto l’“accordo di pace”?», mi si potrebbe rispondere «il popolo del Cile attraverso i suoi rappresentanti». Continuerei con un argomento già proposto, il modo in cui intendiamo la rappresentanza politica è in crisi e questo non è una novità. È in crisi perché la logica procedurale dalla quale risponde è una logica che ci ha polarizzato, centrandoci nella vita individuale e nella delega di partecipazione. Così coloro che hanno raggiunto l’“accordo di pace” parlano a nome del popolo senza rendersi conto della sua diversità e della sua disuguaglianza economica e culturale. Mi spiego, il Cile è un paese molto diseguale, forse non c’è emblema dell’identità cilena tanto importante e più significativo quanto la diversità. Infatti, nella lotta di quest’ultimo mese per un paese più giusto, circa 300 persone hanno perso almeno un occhio e si conferma che almeno uno di loro entrambi. Come si è visto nella stampa nazionale e internazionale, che vive in condizioni così precarie, coloro che sono diventati guerci o ciechi pensano che questa perdita sia un prezzo accettabile se vengono soddisfatte alcune richieste che precedono la nuova costituzione: reddito di base, pensioni e salute dignitosa. Oltre a queste richieste, non sembra coerente impegnarsi a sostenere incondizionatamente questo accordo senza una commissione per la verità e la giustizia per tutte le violazioni dei diritti umani, tra le quali si annovera quella che ho citato prima. Per questo motivo il nome non avrebbe mai dovuto essere quello di un “accordo di pace”. Nell’orizzonte delle persone che sono in strada c’è la necessità di risposte a queste richieste e vengono poste le seguenti domande: che tipo di rappresentanza esprime il nome di “accordo costituente”? Possiamo continuare con lo stesso sistema di rappresentanza politica che è in crisi a livello locale e globale?

Il cambio del nome da “assemblea costituente” a “convenzione costituente” non è è una questione minore per le persone che si occupano di aspetti tecnici. Avvocate e avvocati costituzionalisti e i professionisti delle scienze politiche hanno provato a illustrare e spiegare che l’espressione “convenzione” rappresenta o esprime la stessa struttura dell’assemblea. Questo atteggiamento sembra un gesto molto nobile, ma mi chiedo se si siano resi conto, sia loro sia i parlamentari, che l’uso delle parole è molto rilevante, e che per qualche motivo la destra non ha voluto accettare l’espressione assemblea. Il gesto di educare la gente dall’alto spiegando che cos’è una parola in uso fa sentire una parte del Cile come se fosse imposto dall’alto il modo in cui debbano essere intese le espressioni che usiamo quotidianamente, secondo queste autorità intese erroneamente. Per lo stesso motivo, le persone che continuano a protestare e anche persone provenienti da altri settori della conoscenza diversi dalla legge non accettano l’espressione “convenzione costituente”. La parola “convenzione” non trasmette, né è simbolo di alcun significato socialmente rilevante, inoltre, convenzione per qualsiasi persona cilena e, secondo i dizionari, si riferisce a convenzionale, significa, popolarmente, accordo ad una norma accettata da un gruppo di persone e inoltre per molti ricorda un incontro d’affari. In nessun caso le persone comuni intendono con questa espressione che le si sta invitando alla deliberazione collettiva di cui oggi abbiamo bisogno. È vero che guardando al passato saremo in grado di contestare il termine, come è accaduto in Cile, per quanto riguarda l’espressione potere costituente. Ma affinché il cambio di costituzione penetri nella società che siamo e sia rappresentativa di essa dobbiamo occupare i concetti che circolano nelle strade e non imporli. Se l’espressione “convenzione” ha senso solo per coloro che partecipano alla politica di partiti, allora si sta escludendo chi è stato nelle strade protestando per 31 giorni. L’espressione assemblea suona al popolo cileno come un appello alla discussione non solo per i rappresentanti dei partiti politici, ma anche per coloro che sono stati agenti minori e che non sono personalità pubbliche. Forse la questione sarebbe risolta e l’analogia tra due concetti sarebbe compresa se il governo e i parlamentari rispondessero alla seguente domanda: come sarà composta questa “convenzione” costituente? Si utilizzeranno elezioni pubbliche con la stessa logica dei partiti? Se la risposta a quest’ultima domanda è affermativa, la costituzione continuerà ad appartenere ad un’élite, perché nel quadro della rappresentanza politica partitica, coloro che hanno maggiori opportunità di rappresentanza sono i politici di professione che hanno seriamente deluso il popolo cileno. I movimenti sociali, i quartieri, gli studenti delle scuole superiori e le persone che frequentano realmente il servizio sanitario pubblico avranno l’opportunità di partecipare? In Cile quasi tutti i politici (non posso dire tutti) hanno servizi sanitari privati, perché in Cile affidarsi al servizio sanitario pubblico equivale ad aumentare le possibilità di morire, soprattutto quando si ha una malattia rara o cronica. Non perché i nostri medici siano impreparati, in realtà sono buoni, né perché hanno cattiva volontà, infatti fanno un lavoro pubblico, ma perché semplicemente non possono farcela e perché gli ospedali pubblici non hanno condizioni adeguate, così la gente può morire in attesa.  Qualcosa di altrettanto terribile succede se pensiamo all’istruzione. Coloro che frequentano l’università provengono dalle migliori scuole e spesso dalle più costose del Cile.            

Si sa, i politici di tutto il mondo sono stati deludenti. Quindi, come possiamo sostenere o proporre una convenzione che sorge nella stessa logica che ci ha deluso? In Cile non sappiamo ancora come si organizzerà, speriamo che oltre alle elezioni di rappresentanza politica che già conosciamo si aggiungano altre forme che producano un’assemblea che dia conto il più possibile del paese che siamo. È indispensabile uscire dalla logica di rappresentanza che conosciamo e dare spazio anche a una percentuale attraverso sorteggio affinché tutta la realtà cilena sia rappresentata. Sarebbe importante la partecipazione comunitaria e delle diverse regioni di questo stretto e lungo paese, poiché in ognuna di esse la realtà è diversa. Per il momento voglio insistere sul fatto che sia l’uso delle parole come i dettagli della proposta sono estremamente rilevanti per capire di cosa stiamo parlando. In un paese con un’élite culturale ed economica, è necessario far passare informazioni e cultura civica per assicurare una maggiore partecipazione, ma allo stesso tempo non solo aspettare che i cittadini rispondano, tra termini che sembrano loro equivoci, che tipo di costituente vogliono, ma anche per poter mettere in discussione e deliberare nel processo che inizieremo. Bisogna fare in modo che l’intera comunità partecipi, altrimenti la nostra costituzione rimarrà quella di alcune persone privilegiate e non potremo darne conto alla collettività.

(Traduzione di Clara Mogno)

Versione in spagnolo disponibile qui.

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