di FEDERICO TOMASELLO.

Il nuovo ratto di Europa: è suggestivo il titolo scelto per l’incontro europeo tenutosi a a Madrid dal 27 febbraio al 2 marzo 2014, tanto quanto ambiziosa appare la prospettiva che esso ha inteso delineare. Un orizzonte fondato su una tesi assai semplice, che consegna tuttavia un compito estremamente complesso a chi la condivide: un “golpe finanziario” contro l’Europa ha imposto agli attori protagonisti dell’UE di abiurare il “sogno” europeista, spetta allora ai movimenti, agli attivisti, alle esperienze collettive di azione e di pensiero di riaprire tale prospettiva facendosi promotori di un nuovo processo costituente, radicale e democratico di integrazione europea, dentro e contro, o meglio oltre le istituzioni della UE. Di unire dunque le molte pratiche di resistenza che agiscono dentro lo spazio europeo in un progetto di opposizione contro quelle recrudescenze sovraniste e nazionaliste e contro quella governance neoliberale della crisi che solidarmente incarnano i punti di impasse verticale del progetto di unire l’Europa. Si tratta in qualche modo di affermare un’evidenza – il ratto d’Europa come fine del progetto di integrazione per come lo abbiamo conosciuto negli ultimi decenni – e al tempo stesso la necessità di rompere tale evidenza rifondando quel progetto su basi radicalmente nuove. Come si vede, piuttosto che una discussione su questa delicata congiuntura, il meeting spagnolo ambiva a verificare le condizioni di possibilità dell’apertura di un discorso che può dispiegarsi solo sull’orizzonte del medio periodo.

Differentemente da quanto potrebbe accadere in Italia, nella cornice madrilena il termine “movimenti” ha immediatamente evocato un riferimento forte e preciso: il ciclo di mobilitazioni che nel 2011 ha attraversato soprattutto le piazze spagnole e statunitensi rivendicando quell’istanza di democrazia radicale e diretta restituita dallo slogan We are the 99%. La necessità di tracciare un bilancio di tali esperienze, elaborare l’esaurimento di quel ciclo, comprenderne le ragioni profonde e delineare nuove prospettive è certo uno degli elementi che ha spinto alcuni protagonisti delle acampadas spagnole a promuovere questo meeting. Più di un intervento ha indicato nella difficoltà di produrre istituzioni – vale a dire di inventare dispositivi collettivi in grado di proiettare l’esperienza di questi movimenti al di là dell’evento e della breve durata – il problema fondamentale di quel ciclo di lotte, mentre la dimensione europea è stata assunta come lo spazio comune, minimo e decisivo in cui dispiegare questa nuova istituzionalità. Pur cogliendo tutte le difficoltà del passaggio che stiamo attraversando, uomini e donne riuniti a Madrid hanno insomma condiviso anzitutto il rifiuto di assumere le familiari dimensioni della sovranità nazionale come possibile rifugio dalla violenza della crisi, ed hanno opposto a questa stanca illusione l’idea che solo sul livello europeo si può dare una soluzione di continuità nella gestione neoliberale della crisi e l’attivazione di campagne in grado di porsi, senza esitazione, l’obiettivo di durare e di vincere. Pertanto il dibattito è stato nutrito anche dalla testimonianze delle vittorie che talune esperienze di lotta hanno saputo strappare negli ultimi anni: dai risultati conseguiti sul terreno della bolla immobiliare e del debito ipotecario dalla Plataforma de Afectados por la Ipoteca (Ada Colau), a quelli raggiunti, dentro e fuori i luoghi di lavoro, attraverso l’invenzione di nuovi “modelli” e percorsi di organizzazione di forme di lavoro migrante e precario negli Stati Uniti, in Olanda e Inghilterra in settori tradizionalmente non sindacalizzati (Valery Alzaga).

Il meeting è stato promosso dalla Fundación de los Comunes e dal network europeo di musei L’Internationale, si è tenuto principalmente nella suggestiva cornice del museo Reina Sofia, ed ha più volte posto il problema di unire immaginazione artistica e immaginazione politica nella costruzione di una nuova idea di Europa. Le due intense giornate di lavoro di cinque differenti workshops – democrazia, debito, tecnopolitica, commonfare, produzione culturale – restituiscono la cifra fondamentale di questo incontro, che ha visto anche sei importanti dibattiti serali – animati, fra gli altri, da Zdenka Badovinac, Manuel Borja-Villel, Jesús Carrillo, Montserrat Galcerán, Marina Garcés, Isabell Lorey, Sandro Mezzadra, Carmen Mörsch, Toni Negri, Bojana Piskur, Ranabir Samaddar, Hilary Wainwright – e si è concluso con la consueta assemblea plenaria. Il lavoro dei workshops è stato ampiamente nutrito della lezione “tecnopolitica” del 15M, che ha contribuito a renderlo più efficace, e non solo grazie all’utilizzo di strumenti tecnici – come il titanpad e la timeline di Twitter – in grado di rendere la costruzione del discorso più intellegibile e partecipata. Una Call for ideas (lanciata a settembre e pubblicata anche su EuroNomade) ha inteso rendere aperto lo spettro degli oggetti del dibattito, mentre la costituzione di specifiche liste di discussione per i singoli laboratori ha permesso, nelle settimane precedenti l’evento, di mettere collettivamente a fuoco i contenuti di workshops che hanno poi funzionato “a fisarmonica”, sono cioè stati continuamente scanditi da momenti di approfondimento più diretto e informale in piccoli gruppi. Tale attenzione alla forma della discussione rispondeva a uno degli obiettivi centrali del meeting: la messa a punto di alcune forti nozioni comuni su cui poggiare la costruzione di spazi e percorsi condivisi sul livello europeo. Le presenti note non intendono tuttavia proporre una cronaca esaustiva delle quattro giornate – rimando per questo alla mappa web in calce all’articolo – ma piuttosto focalizzarsi sui contenuti e le finalità del workshop Democracy, sui suoi esiti e sulle potenzialità che essi offrono al lavoro cui il torrente dell’attualità ci chiama per mettere in crisi il nostro presente, vale a dire per rompere le asfissianti evidenze che vorrebbero il discorso sull’Europa soffocato fra due alternative altrettanto funeste, la governance tecnocratica e le nostalgie sovraniste.

Il rilievo dell’attività del laboratorio Democracy poggia sull’obiettivo che esso esplicitamente si proponeva: redigere una Carta per l’Europa. Com’è ovvio, una proposta tanto ambiziosa è stata oggetto di un intenso dibattito teso anzitutto a definire ciò che questa Carta non intende rappresentare: non una sorta di “costituzione dal basso” utile a immaginare sul più classico modello della sovranità moderna una sorta di assemblea costituente, e neppure un decalogo alternativo di politiche sociali europee. “Strumento” è stato probabilmente il termine più ricorrente nei tentativi di dare un nome a ciò che questa Carta ha da essere: un dispositivo estremamente snello, disponibile, aperto e dinamico da mettere al servizio di un processo costituente di nuove istituzioni agito da individui e gruppi, singoli e comunità che condividono un repertorio comune di pratiche e programmi, e che assumono quello europeo come lo spazio minimo e fondamentale della propria iniziativa.

Proprio per questo, al cuore del dibattito si è andato immediatamente proiettando il problema della definizione del “Noi” con cui aprire il preambolo della Carta, ovvero della messa a fuoco delle coordinate della soggettività che se ne fa promotrice. Per quanto la tematica possa apparire scontata, uno sguardo più attento registra nel modo in cui tale nodo è stato affrontato la più significativa peculiarità del meeting madrileno, e vi scorge il più intenso elemento di novità. La logica del noi che lì si è cercato di affermare appare infatti differente da quella dei social forum e di altre coalizioni conosciute in passato: piuttosto che l’idea della sommatoria e dell’alleanza si è percepita chiaramente una tensione alla costituzione di un vero e proprio collettivo in grado di agire direttamente il terreno europeo come spazio di costruzione di conflitto e istituzioni in cui individui e gruppi possano immediatamente riconoscersi. Se l’incontro di Madrid abbia raggiunto tale obiettivo, se questa tensione si sia effettivamente incarnata, ce lo diranno i mesi a venire e la verifica del processo di “disseminazione” della Carta, ma certo è valsa la pena di azzardare questo tentativo, il cui esito dipende anche dalla misura in cui sapremo recepire le istanze emerse dal Nuovo ratto d’Europa nella nostra agenda.

Il processo costituente cui la Carta allude è dunque in qualche modo già cominciato a Madrid dentro questo lavoro di definizione e costituzione di un Noi che ha rappresentato anche la matrice fondamentale di una discussione vera, in grado di mettere a tema e affrontare molti dei nodi più spinosi e delle criticità più profonde che un discorso radicalmente europeista si trova ad affrontare nel nostro tempo, di farlo però senza mai debordare nei classici registri del confronto-scontro fra posizioni già date. La necessità di non confondere l’idea di Europa con le istituzioni della UE, di provincializzarla nel quadro di un agire politico che mantiene sempre un orizzonte globale, di non perdere mai di vista il problema dei confini necropolitici della cosiddetta fortezza Europa e del suo passato coloniale, sono le criticità più radicali che hanno attraversato il dibattito e che si è cercato di recepire anche nella stesura della Carta. E tuttavia, nell’intenso confronto che ha animato il laboratorio è venuta progressivamente maturando la condivisione del presupposto secondo cui il lo spazio decisivo su cui articolare un discorso sulle istituzioni, disporre le rivendicazioni dei movimenti e la produzione di reti e pratiche di trasformazione non possa che essere quello europeo. Alcuni interventi hanno così sottolineato come l’alternativa cui, pur implicitamente, alludono alcuni dei discorsi legittimamente critici verso la prospettiva europeista non possa essere altro che quella delle sovranità nazionali, su cui in ultima analisi insiste anche lo slogan della “solidarietà internazionale” (temi ripresi anche nel dibattito fra Mezzadra e Samaddar). Attraverso questa postura è stato affrontato anche il nodo dei venti di guerra in Ucraina: piuttosto che produrre un confronto fra le posizioni dei gruppi di provenienza, l’assemblea – il costituendo noi – ha preferito stringersi intorno agli attivisti ucraini e affidare loro il compito di redigere la dichiarazione letta in plenaria.

Riporto in calce a queste note il Preambolo della Carta, approvato dall’assemblea finale e teso a sottolineare il carattere aperto e plurale del noi che si intende costruire a partire dalla comune esperienza nei movimenti del 2011 e dalla convinzione condivisa che le rovine delle democrazie rappresentative nazionali non possano in alcun modo rappresentare il “rifugio” dalla violenza della crisi e della trinità debito-tecnocrazia-austerità. Oltre alla redazione di tale preambolo, si è giunti alla condivisione di una struttura di base, di un metodo di lavoro e di un’agenda per la Charter for Europe 1.0. Cominciamo dalla prima. Si è deciso di individuare nel tema della democrazia – intesa come processo partecipato di produzione di istituzioni non rappresentative in grado di restituire alle singolarità protagonismo sulle dimensioni collettive della propria esistenza – l’“ombrello”, la griglia analitica generale attraverso cui articolare i quattro assi fondamentali di cui la Carta si compone, e che corrispondono con i principali campi di tensione che hanno attraversato il dibattito determinandone il contenuto.

La coppia Cittadinanza-confini descrive il primo di tali assi, teso a delineare non un mero discorso di testimonianza e denuncia, ma a indicare piuttosto strategie atte a valorizzare le pratiche di autonomia che insistono sui confini – interni ed esterni – della EU, e anche il carattere ambivalente del dispositivo della cittadinanza europea. Su questo tema EuroNomade ha pubblicato un intervento particolarmente efficace nel sottolineare – attraverso l’esempio dell’iniziativa del governo belga di espellere cittadini italiani – tanto la crescente centralità del tema delle migrazioni interne all’Europa, quanto l’opportunità per movimenti e soggetti sociali di agire anche quei dispositivi giuridici europei che paiono oggi sotto l’attacco di alcune istituzioni sovrane. Argomento lambito anche dal secondo asse della nascitura Carta, espresso dalla coppia Commons-Stato e teso ad affrontare il tema della produzione di nuove istituzionalità del comune dentro la crisi delle sovranità nazionali. Inteso come trait d’union fra questo discorso sulle istituzioni e quello economico, il terzo asse si concentra poi sulla Governance, vale a dire sull’analisi delle pratiche postdemocratiche di governo che, operando la delegittimazione di fatto dei sistemi politici nazionali, articolano i processi di riposizionamento del capitale finanziario globale. La coppia concettuale che meglio riassume i tratti della grande crisi globale – Debito-reddito – designa l’oggetto dell’ultimo segmento della Carta, volto ad opporre al ricatto del debito il tema del diritto alla continuità di reddito come snodo chiave di una risignificazione della cittadinanza europea e di una comprensione delle nozioni di valore e ricchezza fondata sulla riproduzione più che sulla produzione (sono molti i partecipanti al meeting che provenivano dai percorsi dell’”Euromayday”). Sulla base del preambolo e di questa struttura, si è deciso di addivenire entro il 20 marzo alla redazione definitiva di un testo snello da realizzare attraverso un lavoro cooperativo su diversi titanpads che possa nutrirsi anche dei contributi e delle discussioni che i differenti gruppi stanno svolgendo sui propri territori (cfr. i riferimenti indicati in calce).

È questo l’essenziale del lavoro svolto a Madrid, esso ci consente ora di entrare in possesso di uno strumento – la Charter for Europe 1.0 – estremamente prezioso e foriero di inedite potenzialità perché nato dal lavoro intenso e cooperativo di attivisti, collettivi, intellettuali provenienti da tutta Europa: il suo destino dipende essenzialmente dai processi di disseminazione e discussione di questo testo che avranno luogo in molti territori nei mesi a venire. Ci sentiamo di indicare nella Presentazione del progetto EuroNomade che avrà luogo venerdì 11 aprile presso la facoltà di Scienze politiche della Sapienza di Roma un primo importante momento di discussione italiana della Charter for Europe 1.0. Certo, chi scrive ha fin troppo chiare le difficoltà che un discorso radicale e democratico teso all’attivazione di un nuovo processo costituente di integrazione europea incontra oggi anche nei cosiddetti ambiti di movimento, e misura quotidianamente la difficoltà dell’insediarsi di uno spirito autenticamente europeista anche negli stanchi rituali delle sinistre nazionali. Ma assai più forte è la convinzione del carattere irrevocabile di tale processo – già attivo nelle esperienze migranti e nelle forme di vita di una generazione che lo ha fatto suo rompendo di fatto, con le proprie biografie stesse, gli angusti confini degli stati nazionali –, e la percezione di questo cammino come l’unico in grado di condurci finalmente oltre le paludi del già noto e del già visto.

 Mappa web del Nuovo ratto d’Europa

1. I promotori:

Fundacion de los comunes: http://www.fundaciondeloscomunes.net/

L’internationale: http://internacionala.mg-lj.si/index.php

Il sito del meeting: http://nuevoraptodeeuropa.net/?p=1

2. Il Meeting

-I video dei dibatti: http://new.livestream.com/museo-reina-sofia/events/2799249

-La timeline di Twitter: https://twitter.com/search?q=%23AbductionEU&src=hash&f=realtime

-La cronaca su Facebook: https://www.facebook.com/abductionEU?fref=ts

3. La Carta per l’Europa

3.1 Il Preambolo

We live in different parts of Europe with different historical, cultural and political backgrounds. We all continuously arrive in Europe. We share experiences of social movements and struggles, as well as experiences of creative political work among our communities, on municipal and national levels. We have witnessed and participated to the rise of multitudes across the world in 2011.

In fact, the European ‘we’, we are talking about here, is unfinished, it is in the making, it is a performative process of coming together.

In the wake of the financial crisis we have experienced the violence of austerity, the attack on established social and labour rights, the spread of poverty and unemployment in many parts of Europe. We have faced a radical transformation of the constitutional framework of the EU, which has become more and more the expression and articulation of capitalist and financial command. At the same time we have lived through a profound displacement of national constitutional frameworks, we have learned that they do not provide any effective defence against the violence of the crisis. In the ruins of representative democracy, xenophobic chauvinisms, ethnic fundamentalisms, racisms, new and old forms of fascism proliferate.

We rise up against all this.

We want to initiate a different kind of constituent process on the basis of social and political struggles across the European space. This Charter aims to open up a process towards a radical political and economic change of Europe focussing on the safeguarding of life, dignity and democracy. It is a contribution to the production and creation of the commons, a process of democratic regeneration in which people are protagonists of their own lives. In the squares and the networks we have learned something simple that has changed forever our way of inhabiting the world. We have learned what ‘we’ can achieve together. 

We invite people across and beyond Europe to join us, to contribute to this charter, to make it live in struggles, imagination, and constituent practices.

3.2 Wikitext per il lavoro cooperativo in rete

http://www.chartereuropa.net/index.php?title=Main_Page

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