di FANT PRECARIO.

Tanto si è detto di Taranto dell’Ilva, della produzione di nulla a mezzo di vita, dell’uso strumentale della disoccupazione.
Da più parti si provava repulsione allo scambio tra lavoro e aspettativa di vita che veniva agito all’unisono da partiti, sindacati, confindustria, servi e ruffiani.
A Genova, domenica, alla presenza del primoministroflaccidomagiovane, però si è andati oltre.
A Genova (la città di Giacomo Buranello, per quanti lo ricordano) si è consumato il definitivo strappo tra il fantasma del movimento operaio e la vita.
La storia è nota: un abbronzato (no, non è Obama, tranquilli) commodoro arena un mostro di ferro adibito alla transumanza di poveracci in vena di vacanze “da ricchi” (e qui il primo indizio, la crociera non è più vacanza da siuri perlomeno dal 1937) nei pressi di un simpatico isolotto.
Munito di “signorina grandi firme” (la cognata di Ceaucescu? la nuora di Pol Pot ?) evita l’inutile eroismo “dell’ultimo uomo ad abbandonare la nave” e si becca notevoli rimbrotti.
Poche parole, invece (i) sull’armatore, (ii) sul senso delle vacanze insensate rintanati in cabine come scatole, abbuffandosi a buffet surgelati, (iii) sulla compagnia assicuratrice, (iv) sulla violenza esercitata su cose e persone da un immobile Gescal a forma di nave gettato contro un’isola (e a Venezia potrebbero insegnarci molte cose): saranno sempre meno nei giorni TGSKY che seguirono.
Pareva una cosa riservata ai giornali di gossip o alle aule dei Tribunali.
Poi finalmente la NOTIZIA.
“La Città ha vinto” riferiva pomposo il giornale che aveva fatto le fortune di Prandini e D’Alessandro.
I preparativi fervevano. Molte città volevano godere dei benefici che la morte portava seco. Tutte città che ancora non hanno elaborato il lutto della fine del capitalismo industriale.
Ma Genova, la città dei Martiri del Turchino, di Bisagno, di Carlo Giuliani non cedeva e si assicurò il fiero pasto.
Ancora una volta, il Corriere Mercantile è il faro, lo strumento ermeneutico più duttile: “Concordia. Dopo l’impresa, restano dolore e LAVORO”.

a) – L’impresa:

Costa Concordia GenovaIl gergo sportivo-bellico in questi giorni è il più diffuso.
La ministraincarneboschi ha parlato di Renzi in termini coppiani, quale “uomo solo al comando”, e se lo dice una che si fa fare le treccine da chi pur povero negro, nel signore prega, possiamo dormire sogni tranquilli.
Siamo i primi [(!) e qui ci sovviene la foto sull’unità dopo le europee del ’84, sempre di necrofilia si parla) nel mondo a far navigare un relitto (ma non è vero, c’è anche la costituzione del ’48). Tecnica tramandata da coloro che fecero le cattedrali (medioevo + versace = socialismo?), attraverso l’opera di operai duttili e stacanovisti, sino alla dolce Camusso.
E il popolo quello vero, che vuole la TAV, i rigassificatori, la Gronda, il privato, ma anche il pubblico (ma che sia quello sano, pulito à la Renzi lavato con Santoro) plaude il tecnico come Monti i fratelli Montgolfier: Padani accaldati in doppia fila sull’autostrada a vedere il cetaceo cadaverico giungere al largo di un porto ucciso dalla protervia socialista (quella che governava il cambiamento, per essere chiari) solo per fare un torto ai “camalli”, comitive di ragazzotti in attesa di una sdraio sul litorale massacrato dal cemento democratico e cristiano (ma anche cooperativo) che si sbracciano salutando, turisti in braghette e Ray Ban che riconoscono la grandezza di Roma, Iddio la creò.

b) – Il dolore:

una prece per i morti, magari un prete che benedice le bandiere come alla partenza per la guerra di Spagna, un assessore in blu e fascia tricolore a piangere i defunti e poi di slancio ( come avessero bevuto Red Bull) di corsa (of course) verso l’infinito (e oltre) della stupidità.
E poi se morti per dare lavoro alle masse vissuti sono assai. Il Giglio come El Alemein, mancò la fortuna non il valore.

c) – Il lavoro:

– I posti di lavoro: (quanti? nessuno lo sa o lo dice), il sudore del tornio, la luce soave della fiamma ossidrica (altro che stroboscopica).
Qui Renzi assume le vibranti fattezze dell’artista sovietico e tratteggia un’esistenza di stenti ma assistita dal lavoro; immagine che può piacere solo a chi (come lui) non ha mai sollevato una pala.
– il lavoro: precario come sempre, mal pagato (come sempre) insicuro (evvabé, ancora qualche morto, qualche prece, qualche prete ma the show must go on).

d) – Ho fatto scelte impopolari:

Che il paradosso si sia impadronito di Genova è conclamato dal Presidente Burlando (Sindaco, Presidente di Regione, Ministro della Repubblica, verrà ricordato solo per avere preso l’autostrada contromano) che a proposito di altra vicenda surreale (tipo aumento delle imposte locali) ama dire a propria giustificazione: ma ho fatto scelte impopolari…
Pensate, vi imputano di non sapere governare, di avere consegnato la regione in mano ad imprenditori che Gargamella è Padre Pio, che la città fa schifo, che le periferie sono ignorate, che l’economia è alla canna del gas e voi che rispondete? Ma ho fatto scelte impopolari…
L’avere tagliato servizi, posti di lavoro è il fiore all’occhiello della politica pidina, l’imposizione di sacrifici è un valore in sé, gettare nello sconforto famiglie, giovani è il merito che il governo del nulla si arroga. Non serve neppure allegare i risultati.
I risultati non debbono arrivare.
Non serve che la Gronda serva. Rileva che partano i lavori, che si abbattano case e alberi, che ruscelli (fiumi è un po’ esagerato) di denaro fluiscano verso sedicenti imprese senza capitale sociale, senza dipendenti (regolarmente assunti, si intende).
La parodia del lavoro socialista: neppure la speranza dell’elettrificazione. Soltanto agitarsi per far credere che si costruisca così che si giustifichi l’esistenza stessa di chi appalta.
Il problema è che il pidino appalta lavori, la singolarità appalta la vita. Ma l’apporto della singolarità è materiale che costituisce l’opera, integrando l’inutile manufatto con il proprio sangue. Non è neppure più lavoro è rappresentazione del lavoratore non più produttivo di cose ma edificatore della propria captazione.

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Si diceva. Lo spettacolo deve continuare.
Ma non si parlava di industria? di fare impresa?
No cari miei.
L’industria non esiste (o almeno non esiste da noi).
L’impresa non è più attività volta alla produzione e allo scambio di beni e servizi. L’impresa è soltanto gestione della vita attraverso la regolamentazione dei comportamenti; statuto astratto che informa ogni nostro agire.
Direbbe Renato Zero (mica cazzi) “inventi le mie forme, lo stile è quello tuo”.
L’impresa entrando nella vita ha perso i connotati suoi propri affidati dal diritto privato ed è stata generalizzata nella incorporazione nei corpi delle singolarità.
La ricostruzione del capitalismo attraverso l’inglobamento del titolo II del libro V del codice civile nel corpo del fu movimento operaio, esclude la possibilità di una qualsivoglia attività produttiva, o peggio creativa, riconsegnando il corpo alla sola restituzione di immagini.

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Genova_Concordia3Cosa resta di questo weekend di vanità industriale, quindi?
Anzitutto la conferma che mai il precario-impresa potrà trovare sollievo nel lavoro coattivo imposto dalla vulgata sindacale. Poi, che il ricatto lavoro/morte non può essere sfuggito se non attraverso la piena assunzione del ruolo sociale del corpo precario.
Restanto, dunque, immagini di morte, perché soltanto la morte è funzionale al capitale finanziario spettacolare: dall’algoritmo nascono i crisantemi, parafrasando De Andrè.
Il lavoro renziano è eliminazione della stessa possibilità di creare eccedenza, di soggettivazione che non sia immediatamente riconducibile alla valorizzazione mortifiera della singolarità.
Lo spettacolo è l’esercito di morti che smantella un morto per regalare sogni di morte.
Tutto va bene, come i fiori neri ad ornamento dei dischi postumi di Hendrix, il lumino votivo a Predappio, le camicie di Berlusconi, purché si possa codificare l’agire degli uomini rendendolo comprensibile, attraverso il miracolo del lavoro.
Lavoro o morte (di fame), sembrano dire gli artefici di tanto grande impresa.
Lavoro e morte, traduce il precario-impresa.
Il futuro consegnato al becchino: questa è l’Italia gioiosa del nuovo socialismo renziano.

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