Di CARLOS PÉREZ SOTO

Santiago del Cile, 22 ottobre 2019

Quattro giorni di proteste di massa. Proteste spontanee, finora senza leadership o prospettiva politica. Saccheggio di supermercati, distruzione di pedaggi autostradali e, tuttavia, la stragrande maggioranza delle persone che protestano in uno spirito pacifico e indignato, protestando in grandi concentrazioni locali, nelle piazze di decine di comuni di tutto il paese. Un grande sfogo di rabbia collettiva vissuta come una festa di rifiuto trasversale, ai troppi abusi, vissuta con una vaga speranza che possa cambiare tutto. Perché ciò che si chiede è che cambi semplicemente tutto. Perché non c’è spazio nella vita che non sia stato violato, saccheggiato, per ormai quarantacinque anni dalla furia dell’avidità neoliberale.  Ora, l’intensità della violenza visibile, quella dei poveri, quella delle classi medie, non fa che mostrare la profonda ferocia della violenza invisibile, brutale, quotidiana di tutti questi anni. La violenza esercitata su coloro che sono morti aspettando in code infinite i servizi medici, sui nuovi professionisti indebitati e senza lavoro, costretti a pagare quello che dovrebbe essere un diritto. La violenza sugli umiliati ogni giorno in un sistema di trasporto pubblico irrazionalmente sovraffollato solo per garantire il profitto degli imprenditori privati. La violenza quotidiana di supermercati pieni di merci che possono essere acquistate solo indebitandosi con carte di credito che applicano tassi di interesse incredibilmente abusivi. La violenza quotidiana esercitata da chi mostra il proprio lusso senza pudore, da chi iper-sfrutta i migranti senza pudore, da chi si pavoneggia sorridente dei propri incarichi politici con dei salari che superano di trenta volte il salario minimo, che superano più di venti volte il salario ottenuto da più dell’ottanta per cento dei lavoratori di questo paese.

Gli abusi sono troppi, le disuguaglianze troppo scandalose. Il sistema sanitario privato, che si occupa solo del 18% dei cileni, spende ogni anno più del doppio rispetto al sistema pubblico, e, tuttavia, è sovvenzionato in via preferenziale dallo Stato. Più del 70% dei pensionati del sistema privato, al quale tutti i cileni sono obbligati a pagare i contributi, ricevono meno di 150US$ al mese. Il debito accumulato per i crediti che gli studenti universitari devono contrarre raggiunge i 7600 milioni di dollari e oltre il 40% è in uno stato di morosità. E allo stesso tempo, dall’altra parte, lo Stato ha dato centinaia di milioni di dollari alle banche che lo amministrano, riacquistando quel debito per evitare che i loro profitti ne risentano. I sistemi di concessioni a fornitori privati di acqua potabile, elettricità, trasporti, servizi igienici e pedaggi autostradali prevedono margini di profitto, ai quali lo Stato deve rispondere anche se falsificano i loro bilanci, perché non viene esercitato alcun controllo sui profitti che dichiarano. Le compagnie minerarie transnazionali praticamente non pagano le tasse per prendere il rame, il litio ed enormi quantità di pesce. Le banche e gli amministratori privati dei fondi pensione godono di generose esenzioni fiscali e, in caso di crisi economica, di un impegno garantito che lo Stato sosterrà le loro perdite.

Tutto questo si è tradotto in un’economia nella quale mentre il 70% dei lavoratori guadagna meno di 800 dollari al mese, il costo dell’insieme dei beni di base è dell’ordine di questi stessi 800 dollari, vale a dire un’economia in cui il 70% delle famiglie vive intorno alla soglia di povertà e in cui il 26% vive, secondo i dati ufficiali, al di sotto di tale soglia. Un’economia con un quarto della popolazione in condizioni di povertà e altri due quarti che vivono nel debito. Questa situazione, che si è trascinata per decenni ormai, doveva esplodere: non possono seminar vento e sorprendersi di raccogliere tempesta. Se ne sono approfittati troppo. E ora pagano per i loro abusi.

Un’indignazione che esplode in condizioni politiche vergognose quasi quanto le cifre economiche. I quattro comandanti in capo dell’esercito precedenti di quello attuale vengono processati per aver palesemente rubato i soldi che amministrano. Decine di agenti di polizia sono sotto processo per truffe e furti simili. I partiti politici si sono distribuiti i consigli di amministrazione delle imprese statali, che vengono amministrati autonomamente, e questi direttori fissano liberamente stipendi superiori a quelli del presidente della repubblica senza che nessuno possa controllarli. Parlamentari, ministri, intendenti e sindaci stabiliscono i propri stipendi a cifre decine di volte superiori il salario minimo, impunemente.

Il Cile è noto a livello internazionale per un presunto contrasto che ora si rivela come il mito che è sempre stato: avremmo superato la crudele dittatura di Pinochet per vivere in maniera pacifica la crescita economica. Ora possiamo dirlo a tutto il mondo, ora dimostriamo che lo sappiamo in maniera chiara: non sono i trenta pesos di aumento per i trasporti pubblici che ci devono, sono trent’anni di vite violentate. I manifesti lo dicono così, in tutto il Cile: “no son treinta pesos, son treinta años” (“non sono trenta pesos, sono trent’anni”). E quando pensiamo a cosa sono stati questi trent’anni, lo vediamo ancora più chiaramente: trent’anni di democrazia violenta, bugiarda e predatrice. Sono i trent’anni amministrati dai Lagos, dai Frei, dai Bachelet, dai Piñera, che a tutti si sono rivelati essere uguali in maniera evidente. Sono i trent’anni del presunto arcobaleno, della presunta crescita. Di una presunta pace. Loro hanno rappresentato, hanno amministrato, hanno incarnato la violenza. La violenza militarizzata contro il popolo Mapuche, la violenza quotidiana, l’umiliazione e la ristrettezza contro le classi medie impoverite, la violenza brutale dell’iper sfruttamento e degli abusi contro i migranti poveri, contro i cileni poveri che, fino ad oggi, avevano creduto nelle speranze sorte nel 1989, smentite passo dopo passo, giorno dopo giorno, in trent’anni di dittatura del capitale.

Sono quattro giorni di protesta. Contrariamente a quanto mostrano i media, ci sono sempre meno saccheggi e sempre più persone per le strade. Si vede chiaramente che i cileni non hanno per niente paura dello stato di emergenza, del fantasma di Pinochet evocato dalle stesse persone che hanno sostenuto Pinochet. Con energia, e con prudenza, la gente osa sfidare il coprifuoco. Lo stato di emergenza, che in origine era stato decretato solo per Santiago, si sta espandendo ogni giorno a sempre più città del Cile e semplicemente non ci sono abbastanza soldati e polizia per sorvegliarle tutte.

È difficile prevedere quello che potrebbe succedere, soprattutto perché l’indignazione è molta e finora non c’è nessun settore che la guidi. Si vede che dovranno sacrificare qualcuno per calmare le acque. La semplice abrogazione della misura impopolare che loro credono sia l’origine del problema non ha avuto il minimo effetto, la protesta continua e cresce. Forse costringeranno il ministro degli Interni, e qualche altro ministro, a dimettersi. Forse gli stessi ministri che hanno tradito il Cile per trent’anni si offriranno ancora una volta per raggiungere un accordo che “salvaguardi la pace sociale”. Oggi è difficile sapere cosa potrebbe accadere. L’indignazione è nelle strade, la consapevolezza che abbiamo vissuto trent’anni di bugie e abusi è nelle strade. Gli ampi viali si aprono e si vede finalmente che donne e uomini liberi possono coraggiosamente camminarvi cercando di costruire la loro propria storia.

(Traduzione di Clara Mogno)


CASTILLANO

La ira de los pobres, la frustración de las capas medias

Santiago de Chile, 22 de octubre de 2019

Cuatro días de protestas masivas. Protestas espontáneas, hasta ahora sin conducción ni perspectiva política. Saqueos de supermercados, destrucción de los peajes en las autopistas y, sin embargo, la enorme mayoría de la gente protestando con ánimo a la vez pacífico e indignado, protestando en grandes concentraciones locales, en las plazas de decenas de municipios a lo largo de todo el país. Un gran estallido de ira colectiva vivido como una fiesta de rechazo transversal, a demasiados abusos, vivida con una vaga esperanza de que puede cambiar todo. Porque lo que se pide es que cambie simplemente todo. Porque no hay espacio de la vida que no haya sido violentado, saqueado, durante ya cuarenta y cinco años, por la furia de la avidez neoliberal. Ahora, la intensidad de la violencia visible, la de los pobres, la de las capas medias, no hace sino mostrar la profunda ferocidad de la violencia invisible, brutal, cotidiana de todos estos años. La violencia sobre los que han muerto esperando en interminables filas de espera en los servicios médicos, sobre los nuevos profesionales endeudados y sin trabajo, teniendo que pagar lo que debería ser un derecho. La violencia sobre los humillados cada día en un sistema de transporte público irracionalmente abarrotado solo para asegurar el lucro de empresarios privados. La violencia cotidiana de los supermercados llenos de mercancías que solo se pueden comprar endeudándose con tarjetas de crédito que recargan tasas de interés increíblemente abusivas. La diaria violencia que ejercen los que muestran sus lujos sin pudor, los que sobre explotan a migrantes sin pudor, los que se pavonean sonrientes desde sus cargos políticos con salarios que superan más de treinta veces el salario mínimo, que superan más de veinte veces el salario que obtienen más del ochenta por ciento de los trabajadores de este país.

Los abusos son demasiados, las desigualdades demasiado indignantes. El sistema privado de salud, que solo atiende al 18% de los chilenos, gasta cada año más del doble que el sistema público y, aun así, es subvencionado de manera preferencial por el Estado. Más del 70% de los pensionados en el sistema privado en el que están obligados a cotizar todos los chilenos reciben menos de US$ 150 cada mes. La deuda acumulada por los créditos que deben contraer los estudiantes universitarios alcanza US$ 7600 millones, y más del 40% se encuentra en estado de morosidad. Y a la vez, por otro lado, el Estado ha entregado cientos de millones de dólares a los bancos que la administran recomprando esa deuda para evitar que se vean afectadas sus ganancias. Los sistemas de concesiones a privados de los servicios de agua potable, luz eléctrica, transportes, aseo, peajes en las carreteras contemplan márgenes de ganancia asegurada, a los que el Estado debe responder aunque falsifiquen sus balances debido a que no se ejerce ningún control sobre las ganancias que declaran. Las mineras trasnacionales prácticamente no pagan impuestos por llevarse el cobre, el litio, la masa pesquera. Los bancos y las Administradoras privadas de Fondos de Pensiones cuentan con generosas excenciones tributarias y, en caso de crisis económica, con el compromiso garantizado de que el Estado respaldará sus pérdidas.

Todo esto se ha traducido en una economía en que mientras el 70% de los trabajadores gana menos de 800 dólares mensuales, el costo de la canasta de bienes básicos es del orden de esos mismos 800 dólares, es decir, una economía en que el 70% de los hogares vive en torno a la línea de la pobreza, y en que el 26% vive, de acuerdo a las propias cifras oficiales, bajo esa línea. Una economía con un cuarto de la población en la pobreza y otros dos cuartos viviendo a costa del endeudamiento. Esto, arrastrado ya por décadas, tenía que explotar: no pueden acumular y acumular vientos y ahora extrañarse por que se desaten tempestades. Han abusado demasiado. Ahora están pagando por sus abusos.

Una indignación que estalla en unas condiciones políticas casi tan vergonzosas como las cifras económicas. Los cuatro comandantes en jefe del ejército anteriores al actual están siendo procesados por robar descaradamente de los dineros que administran. Decenas de oficiales de la policía están bajo proceso por estafas y robos similares. Los partidos políticos se han repartido los directorios de las empresas del Estado, que se administran de manera autónoma, y esos directores se fijan libremente salarios mayores a los del presidente de la república sin que nadie pueda controlarlos. Los parlamentarios, ministros, intendentes y alcaldes se fijan impunemente salarios decenas de veces mayores al salario mínimo, impunemente.

Chile es conocido internacionalmente por un supuesto contraste que ahora se devela como el mito que siempre ha sido: habríamos superado la cruel dictadura de Pinochet para vivir pacíficamente el crecimiento económico. Ahora podemos decirlo a todo el mundo, ahora mostramos que sabemos claramente esto: no son los treinta pesos que subió el transporte público lo que nos deben, son treinta años de vidas violentadas. Los carteles lo dicen así, por todo Chile: “no son treinta pesos, son treinta años”. Y cuando calculamos qué treinta años son esos lo vemos más claramente aun: son estos treinta últimos años de democracia violenta, mentirosa, depredadora. Son los treinta años administrados por los Lagos, los Frei, las Bachelet, los Piñera, que han resultado ser visiblemente los mismos ante la consciencia de todos. Son los treinta años del supuesto arco iris, del supuesto crecimiento. De supuesta paz. Ellos han representado, han administrado, han encarnado, la violencia. La violencia militarizada contra el pueblo mapuche, la violencia cotidiana, la humillación y estrechez contra las capas medias empobrecidas, la violencia brutal de la sobre explotación y el abuso contra los migrantes pobres, contra los chilenos pobres que, hasta hoy, habían creído en las esperanzas levantadas en 1989, y defraudadas paso a paso, día a día, durante treinta años de dictadura del capital.

Son cuatro días de protestas. En contra de lo que muestran los medios, hay cada vez menos saqueos y cada vez más gente en las calles. Se ve claramente que los chilenos no sienten temor alguno por el Estado de Emergencia, por el fantasma pinochetista levantado por los mismos que apoyaron a Pinochet. Con energía, y con prudencia, la gente se atreve a desafiar el toque de queda. El Estado de Emergencia, que se decretó al principio solo para Santiago, se amplía cada día a más y más ciudades de Chile y simplemente no hay soldados y policías suficientes como para vigilarlas todas.

Es difícil anticipar lo que puede ocurrir, sobre todo porque la indignación es mucha y no hay hasta ahora ningún sector que la conduzca. Se ve que van a tener que sacrificar a alguien para calmar la cosa. La simple derogación de la medida impopular que ellos creen que es el origen del problema no ha tenido el menor efecto, la protesta sigue y crece. Quizás obliguen a renunciar al ministro del Interior, a algunos ministros más. Quizás los mismos que han traicionado a Chile durante ya treinta años se ofrezcan una vez más para llegar a un acuerdo que permita “resguardar la paz social”. Hoy es difícil saber qué puede ocurrir. La indignación está en las calles, la consciencia de que hemos vivido treinta años de mentiras y abusos está en las calles. Las anchas alamedas se abren y se ve, al fin, que por ellas pueden caminar valientemente las mujeres y los hombres libres tratando de construir su propia historia.


DEUTSCH

Eine vage Hoffnung

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