di ALEX FOTI.

 

 

Con la fine di Schengen è finita l’Europa per come l’abbiamo conosciuta dal 1957 a oggi. Prima la crisi finanziaria e l’austerità hanno impoverito la Grecia e tutta l’Europa Latina, poi le popolazioni in fuga dalla guerra in Siria hanno fatto risorgere le frontiere fra i paesi di un’Unione sempre più disunita. Mentre l’eurocrazia si arrocca in difesa degli interessi tedeschi e si ostina nel perseguimento del disegno ordoliberista di disuguaglianza, solo poche coraggiose voci, come quelle di Piketty e Varoufakis, osano pensare un futuro diverso per il Continente, che non sia come il presente fondato sul sospetto securitario contro gli euromusulmani e l’arcigna difesa degli interessi finanziari, ma sul rilancio ecokeynesiano dell’economia e la costituzione di una vera democrazia europea.
Tuttavia questi disegni rimangono incerti rispetto allo spazio politico che intendono occupare. In altre parole, quando Blockupy assedia il grattacielo della BCE, unica (e antidemocratica) autorità federale, lo fa in nome di quale Europa?

Il brillante storico britannico Brendan Simms, autore di una storia definitiva della questione tedesca in Europa da Carlo V a oggi, ha preso per le corna il problema e affrontato sul New Statesman la prospettiva della Brexit nel contesto della storia dell’integrazione europea oggi arrivata al capolinea. Simms esordisce dicendo che l’unificazione europea non può essere un processo, ma deve derivare da un evento fondativo, al pari di altri grandi avvenimenti costituenti come la nascita della Francia repubblicana o la formazione degli Stati Uniti d’America. Non vale quindi la tesi funzionalista dei padri fondatori della Comunità Europea per cui allo Zollverein sarebbe conseguita la Germania di Bismarck. Come riconosce anche il grand commis socialista Pascal Lamy, l’UE non è riuscita “a creare quella chimica che immaginavano i Padri Fondatori”, ossia Monnet e la democrazia cristiana al governo di Germania, Francia, Italia negli anni ’50.61VEoMkallL._SX329_BO1,204,203,200_
Se non si vuole che l’Europa collassi in stati-nazione in perenne contesa fra loro come avvenne nel XX secolo, bisogna avere il coraggio di compiere una rivoluzione politica e costituzionale per unificare l’Eurozona in uno spazio politico omogeneo che federi gli Stati che la compongono. Come attivisti e rivoluzionari, dobbiamo urgentemente e radicalmente dar vita a una vera unione politica, fiscale, sociale, militare che difenda i valori in cui crediamo: uguaglianza di genere, antirazzismo, secolarizzazione, solidarietà, tolleranza.

La tesi di Simms è provocatoria: per difendere gli interessi europei della Gran Bretagna e degli Stati Uniti è preferibile una Repubblica Federale Continentale che sia alleata della NATO e possa presidiare i confini assai turbolenti del Mediterraneo (ISIS) e della regione dal Baltico al Mar Nero (Putin). Solo una tale Europa può dare spazio alla secessione della Catalogna e di altri regioni dagli Stati-nazione esistenti senza che queste spinte siano destabilizzanti. D’altro canto solo un’Europa federale può contenere le pretese egemoniche della Germania nei confronti degli altri stati del Continente.
Noi crediamo che solo dando un fondamento di Realpolitik a un orizzonte costituente europeo, i movimenti populisti democratici in Spagna e altrove possano sperare di cambiare l’Europa e prendere il potere a Bruxelles e Francoforte. Simms dice chiaramente che solo l’eurozona ha l’omogeneità storica e politica sufficiente a dar vita a uno stato federale europeo. Chi in Ungheria e Polonia vuole attentare ai valori europei, ossia si rifiuta di aderire a un progetto politico in cui i diritti fondamentali dei migranti o i diritti civili di genere siano rispettati, rigetta il milione di profughi che si sono rifugiati in prevalenza in Germania nel corso del 2015, osteggia il matrimonio gay e l’affrancamento dall’identità cristiana per abbracciare definitivamente una società multietnica e pluriconfessionale, non può far parte di una repubblica europea, ma solo del mercato unico.
Dopo Kobane e il Bataclan, non è più il tempo di vaghe aspirazioni per un’altra Europa o un altro mondo lontano da questo. E’ il momento di impegnarsi in un movimento rivoluzionario costituente che porti alla nascita della Repubblica Continentale Europea fondata sulle energie dell’Europa civile, sociale, metropolitana. Dobbiamo dar vita alla repubblica europea non solo per dar corpo alle nostre aspirazioni, ma anche per difendere pace e benessere. Come dice anche Toni Negri, la disgregazione dell’Unione Europea mette a repentaglio le basi materiali della civiltà dei diritti sociali sul Continente.

L’Europa deve essere in grado di far valere il proprio peso nel mondo, sia controbilanciando geoeconomicamente Cina e America, sia controbilanciando geopoliticamente il revanscismo russo. La Repubblica Continentale adotterebbe un principio di neutralità attiva, rifiutando sia di farsi intimidire dalla Russia, sia di farsi invischiare in una guerra regionale dagli esiti incerti su spinta della Polonia e dei paesi baltici protetti dagli Stati Uniti. Nel Medio Oriente, l’Europa deve adottare una politica estera filoiraniana e antisaudita, per respingere il salafismo sunnita dalla Libia all’Iraq e ogni altra minaccia arrecata contro il popolo multiculturale delle città d’Europa.

La rivoluzione per cui intendiamo batterci è quella che trasforma la bieca unione monetaria di oggi in una repubblica continentale fondata su diritti individuali, democrazia sociale, tutela culturale e innovazione ecologica. Solo attraverso una rottura rivoluzionaria a opera di un movimento democratico-radicale determinato a sfrattare le attuali élite europee e a creare la Res Publica Europae, le culture politiche socialiste, ecologiste, femministe, anarchiche distintive del Continente potranno continuare a vivere e prosperare. L’Europa può diventare una repubblica federale unitaria composta da città e regioni autonome, se ci poniamo questo obiettivo e ci diamo gli strumenti politici (movimenti, organizzazioni, sindacati), le risorse (intellettuali e finanziarie), le strategie (elettorali e non) per rimpiazzare l’eurocrazia. Altrimenti non ci servirà a nulla vincere le elezioni in Grecia e Spagna, se perdiamo l’Europa.

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