Molto interessanti gli sviluppi del percorso  neomunicipalista a Napoli. Il 17 maggio si è tenuto un  seminario molto intenso sul confronto tra percorsi delle città e panorama europeo, cui ha partecipato tra gli altri anche il collettivo Euronomade. Poi sabato 19 maggio, un’assemblea cittadina molto partecipata e davvero ricca di contenuti, organizzata da Massa critica e con la partecipazione tra gli altri del sindaco uscente De Magistris. Pubblichiamo questa intervista di Alessandro Chetta a Massa Critica, uscita sul Corriere del Mezzogiorno del 19 maggio 2016.

intervista di Alessandro Chetta a Massa critica.

INTERVISTA  È un nuovo laboratorio, slegato da sindaco e partiti, formato dai movimenti di Napoli Propugnano autonomia e assemblee popolari. Proprio come il primo cittadino, che trae ispirazione e lessico politico da questa esperienza. Sabato 21 maggio 2016 in piazza con Podemos

NAPOLI – Assemblee popolari, proposta politica dal basso, strutture autonome, anti-cabine di regia per Bagnoli. Parole che avrete sentito certamente pronunciare da de Magistris. Ebbene il sindaco – e i suoi spin doctor – si affacciano spesso e volentieri sul «cantiere» Massa Critica (massacriticanapoli.org) dove quel lessico politico è pane quotidiano. Che cos’è Massa Critica? In breve, un movimento dei movimenti della sinistra non partitica che si raduna in assemblee in diversi quartieri; laboratorio dal quale il primo cittadino sembra attingere formule per il suo nuovo, più radicale, arrembaggio «rivoluzionario». Non è un mistero che centri sociali ed esperienze come l’Asilo sia ben viste dal sindaco arancione, ora in cerca di riconferma. Nessun filo diretto. Massa Critica non è affatto un thinkthank, tanto che i diretti interessati provano a svincolarsi dall’abbraccio ideale dell’ex pm, pur ancorandosi sostanzialmente alla linea della continuità demagistriana in città. Inoltre guardano con simpatia alla spagnola Podemos (sabato 21 evento in piazza San Domenico proprio col sindaco e esponenti del partito di Iglesias). Li abbiamo intervistati per capirci di più. Risponde Nicola Angrisano, storico nome collettivo del movimentismo cittadino.

Cos’è Massa Critica Napoli? Quali realtà di base ne fanno parte?

«È innanzitutto un laboratorio politico. Uno spazio di ricomposizione dei tanti processi di autorganizzazione presenti in città. È anche una sfida degli stessi: si pone l’obiettivo di pensare a cosa potrebbe e dovrebbe essere la Napoli del futuro. La città tutta, che nelle sue molteplici istanze sarà in grado di dare risposte concrete a chi la abita». «Per realizzare l’obiettivo occorre rinunciare al portato identitario caratteristico di tutti i gruppi della sinistra radicale italiana. Noi lo abbiamo fatto, nel riconoscimento delle tante differenze, per avviare un processo di convergenza verso un progetto comune di città. Questo processo è Massa Critica che nasce in un’assemblea tenutasi all’Asilo Filangieri il 5 settembre 2015 ed alla quale hanno partecipato tutte le componenti di movimento presenti sul territorio napoletano».

La democrazia partecipativa incide poco nelle metropoli con milioni di abitanti dove i centri decisionali sono verticali e iper-burocratizzati. Perché Massa Critica dovrebbe funzionare?

«La questione della democrazia diretta non è stata per noi un punto di partenza ma di arrivo. Questo percorso ha avuto tre direttrici: i modelli assembleari, il ragionamento collettivo su un progetto di città, un’analisi su scala più europea delle forme del comando. Abbiamo da subito dovuto confrontarci con assemblee con centinaia di partecipanti di provenienza e formazione eterogenea. Per cui è stata avviata una fase di sperimentazione seguita da un piccolo gruppo che si è occupato specificatamente di tale aspetto». «Ai tavoli di discussione in cui confluivano i vari temi di Massa Critica venivano sperimentate varie tecnologie. Alla fine ne abbiamo adottata una ibrida che mutua una parte della tecnica chiama OST (open spacetechnology) e altre sviluppate in Spagna durante la stagione delle acampadase che fanno un uso massiccio di piattaforme social utilizzate in canali live durante le riunioni. Il modello assembleare ci ha permesso di portare avanti per mesi un processo ampio e collettivo che indagava su aspetti anche complessi della vita della città quali “democrazia e autogoverno”, “lavoro, reddito e finanza pubblica”, “cultura, formazione e ricerca”, “ambiente, territorio e diritto alla città”». «Contemporaneamente tutto il mondo ha assistito all’impietosa débacle dell’esperienza greca di Syriza del luglio 2015, che dopo l’esito storico del referendum ha subito dalla Trojka un’umiliazione incredibile che ha permesso a tutti di leggere con chiarezza non solo il vero meccanismo dell’esercizio del potere oggi presente in Europa ma soprattutto di prendere atto dell’impossibilità materiale di arrivare ad un ridefinizione di tali poteri attraverso una presa del controllo realmente popolare».

Napoli non è Atene.

«Sì ma questo insieme di condizioni ci ha portato a ragionare su nuove pratiche istituzionali dal basso, orientate alla gestione partecipata del territorio per operare quel cambiamento che dall’alto non arriverà mai».

Radunate «assemblee popolari». Dove?

«Una è a Bagnoli, una al centro storico ed una a Napoli nord. Tutte hanno come luogo naturale di riunione le rispettive municipalità, proprio per sottolineare l’intenzione di riappropriarsi delle attuali istituzioni, in termini di proposta e di decisionalità. Contemporaneamente vi sono audit pubblici su alcune questioni come il porto, l’ex area Nato, la gestione dell’azienda idrica ed altri».

Qual è il deficit più forte che riscontrate in città?

«Manca un ragionamento politico organizzativo. Le amministrazioni hanno un orizzonte di 5 anni e finalità esclusivamente elettive, mentre noi resteremo napoletani per tutta la vita è abbiamo bisogni di ben altre risposte. Manca quindi un progetto complessivo di città da parte delle istituzioni. Il dibattito politico è schiacciato su soluzioni tampone. Pensiamo a problemi come la criminalità organizzata, che non può essere affrontato senza pensare a un futuro fatto di opportunità lavorative e culturali. Pensiamo a Bagnoli, al porto, alla spiaggia pubblica per le quali le soluzioni proposte sono svuotate di senso o appiattite sul conflitto politico pre-elettorale. Su Bagnoli, ad esempio, fanno passare lo sblocco dei fondi non come un atto dovuto ma come un vero ricatto elettorale: o fate ritornare Napoli allineata alle politiche nazionale o taglieremo i rubinetti, già esausti, della spesa pubblica».

Dite: «Democrazia radicale, beni comuni, lavoro, giustizia ambientale sono le parole d’ordine attorno alle quali scriviamo il programma per una Napoli a portata di tutti». Sembra lo stesso frasario di de Magistris. Chi cita chi?

«La nostra attività ha prodotto un evidente impatto sull’immaginario politico della campagna elettorale arancione ma solo perché frutto di un’azione politica e di senso che non nasce oggi. Nel 2011 de Magistris vinse parlando di partecipazione con toni però assolutamente generalisti. Quel movimento è morto nei 2 mesi successivi alle elezioni per l’assenza assoluta di un gruppo politico che sapesse organizzare e gestire quelle istanze. A differenza di allora però è evidente una crescita in termini di competenze politiche formatasi negli anni anche in virtù di un rapporto dialettico tra amministrazione e movimenti. Basti pensare alla convergenza della giunta su posizioni storicamente espresse dai movimenti stessi». Convergenze su quali temi? «Diverse tematiche: la netta contrarietà alle politiche del governo, l’antifascismo, la cittadinanza onoraria concessa dal comune ad Ocalan, la lotta contro le ipotesi speculative e di saccheggio della città, la discontinuità rispetto alla logica di potere prodotta dal Pd, le posizioni avanzate sui diritti civili, la delibera “chi inquina paga” (sull’ex Ilva, ndr), la violazione seppur minima dei vincoli di bilancio con l’assunzione delle 300 maestre, la delibera che riconosce l’uso civico urbano dell’Asilo Filangeri, quelle sui beni comuni ed altre ancora».

Nel 2011 la sinistra di movimento si schierò pubblicamente con l’ex pm, a partire da Pietro Rinaldi, esponente del centro sociale Insurgencia, poi eletto, per finire ai 99 Posse.

«A distanza di 5 anni i 99 posse non si sognano più di dichiarare un loro appoggio pubblico a de Magistris. E Pietro Rinaldi proprio per il suo percorso politico istituzionale non è più da molti anni un esponente politico di Insurgencia. Anzi proprio l’esperienza di Pietro è da ritenersi emblematica del fatto che il lavoro dei movimenti che chiedono cessioni di potere ed orizzontalità nelle scelte è incompatibile con la politica di Palazzo. Ma a distanza di 5 anni e nonostante l’esperienza di Pietro Rinaldi, proprio i militanti di Insurgencia ritentano l’esperimento con Eleonora De Majo (candidata alla V municipalità, ndr) come se quell’esperienza non avesse insegnato nulla. Detto questo, non bisogna scambiare le opzioni politiche di una sola struttura per le scelte di tutto un movimento. Anzi, per coerenza, Insurgencia è uscita dal percorso di Massa Critica».

Cosa vi differenzia dai MeetUp 5 Stelle, altra modalità di energie civiche in rete dal basso?

«Il M5s ha una struttura organizzativa nazionale, tra direttivi composti da soggetti spesso sconosciuti agli stessi militanti del Movimento, piattaforme di comunicazione e decisione gestite da un’azienda privata. Insomma è talmente tanto macroscopica la distanza tra il M5s e il concetto stesso di partecipazione dal basso che mi sembra anche assurdo fare il parallelo».

E i militanti M5S? Ci sono tanti volontari civicamente appassionati.

«Altro discorso infatti va fatto per i militanti dei meetup, generalmente composti da persone la cui sincerità e la cui passione civica è ammirevole ma che sono costrette a fare continue mediazioni tra questa loro passione e le strettissime aperture concesse dalla propria organizzazione».

Proponete di ridefinire le istituzioni in favore di «neo istituzioni», che vuol dire?

«Neo-istituzioni cioè legittimazione giuridica delle assemblee degli abitanti distribuite nelle varie municipalità. Luoghi in cui poter sviluppare una progettualità e proposte concrete. Consessi che hanno il compito di intervenire direttamente nelle scelte operate dal Consiglio di municipalità su temi di interesse generali quali urbanistica, destinazione e uso degli spazi pubblici, messa a valore di finanze e proprietà pubbliche per il supporto alle fasce più deboli. Ma le stesse assemblee devono anche e soprattutto fungere da indirizzo politico su progetti di più ampio respiro che investano sul destino e le vocazioni dei singoli quartieri».

Sembra obiettivamente una Mission impossible.

«Consapevoli anche della difficoltà di un simile processo immaginiamo un osservatorio cittadino permanente istituito all’interno di Palazzo San Giacomo, sede del Comune, composto da personale tecnico, politico e popolare. Qui si dovranno elaborare le proposte provenienti dalle assemblee per convertirle in delibere, regolamenti e atti amministrativi da proporre alla giunta e al Consiglio comunale».

Il 21 maggio sarete in piazza per farvi (ri)conoscere?

«Sì sabato 21 maggio 2016 alle 18 saremo in piazza San Domenico a Napoli con de Magistris e rappresentanti dell’esperienza spagnola di Podemos per presentare il nostro progetto. Lo facciamo con la consapevolezza del momento storico che stiamo vivendo e chiedendo pubblicamente al sindaco uscente un impegno di programma per costruire nei prossimi 5 anni un esperimento politico amministrativo inedito e attraversabile da tutti i cittadini».

L’accusa che viene cronicamente rivolta alla sinistra di movimento è il massimalismo, destinata a essere minoritaria in eterno. Parlare alla gente comune è così difficile, qualcosa è cambiato?

«La questione non è di quanto stia cambiando il movimento abbandonando quei tratti di massimalismo che a volte lo hanno caratterizzato. La vera questione è che sta cambiando tutto intorno a noi, soprattutto il modello di comando, oggi di tipo amministrativo- finanziario con il vincolo costante di rispetto dei bilanci. Ma che bilanci potrà mai avere una città come Napoli che è costretta ancora a pagare rate vertiginose per i derivati comprati dal Comune anni fa, che è la porta di quel Sud che ha una disoccupazione con tassi superiori alla Grecia. In una struttura complessa di relazioni come è quella di una metropoli non è mai la mutazione di uno solo dei soggetti agenti che cambia lo scenario ma è l’insieme degli eventi che generano l’anomalia. Questa è Napoli oggi».

Il link all’articolo originale: http://corrieredelmezzogiorno.corriere.it/napoli/politica/16_maggio_18/formule-radicali-de-magistris-chiedete-massa-critica-3dcf5cb6-1d0d-11e6-aab0-3c79bd7afb27.shtml

Qui gli audio del seminario del 17 maggio “Napoli e l’Europa che non si piega”

http://www.exasilofilangieri.it/napoli-europa/

Qui alcuni momenti dell’assemblea di Massa critica del 19 maggio

https://www.facebook.com/massacriticanapoli/

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