Di ROBERTA POMPILI

Premessa

Negli ultimi due decenni i finanziamenti e il personale dei programmi regionali di sanità pubblica nel nostro paese sono diminuiti. Le scelte politiche in tema di sanità hanno progressivamente comportato la costruzione del modello neoliberale e decretato il passaggio dalle USL al sistema delle “Aziende” ASL, e prodotto un declino complessivo della cura della salute pubblica, che però è stata diversa da una regione all’altra nei tempi e nelle modalità. In alcuni casi si sono osservate divergenze tra le regioni per quanto riguarda l’enfasi relativa sulla sanità pubblica o sui servizi di cura. La Lombardia in particolare (insieme ad altre regioni), ha sviluppato celermente un settore privato creando una vasta rete di servizi clinici e ospedalieri, e diminuito i finanziamenti per le attività di sanità pubblica e i laboratori pubblici. In Umbria, nonostante i problemi causati anche in questa regione dai tagli alla spesa sanitaria, dalla introduzione di una dubbia miscela pubblico-privato con appalti di cooperative al ribasso, la struttura a rete della sanità pubblica, frutto di scelte politiche passate, continua a resistere. Essa, sebbene in mezzo a molte difficoltà, non per ultima quella di un personale in affanno e ridotto all’osso, costituisce una significativa infrastruttura articolata nel territorio. Questa struttura, come per altre regioni (vedi anche il Veneto) nel contesto attuale di pandemia è stata importante per la presa in carico e la cura della salute comune. 

L’intervento sanitario per Covid 19 in Umbria

È davvero difficile confrontare la diffusione dell’epidemia in Lombardia e in Umbria per molti motivi. L’Umbria è una regione molto piccola (popolazione 882.015, Istat 2019) e differenze ci sono non solo nella densità della popolazione, ma anche in importanti fattori sociali che fungono da determinanti (assetti della produzione e della circolazione mobilità ad esempio), così come il maggior numero di casi iniziali in Lombardia e il maggior numero di focolai iniziali, possono aver avuto un ruolo negli esiti. Alla data del 22 aprile risultavano in Umbria un totale di 1.357 casi, deceduti 61, 925 dimessi e clinicamente guariti, 254 in isolamento domiciliare e 371 positivi (dati Ministero della salute). Per indagare sulle modalità di intervento sanitario in relazione alla pandemia Covid-19, il giorno 20 aprile abbiamo dialogato con una medica del Distretto socio-sanitario 3 (quello che raccoglie Foligno e gli otto comuni periferici) e che dirige i Centri di Salute Bevagna, di Montefalco e di Gualdo Cattaneo. I distretti sociosanitari in base alle indicazioni della programmazione regionale hanno i seguenti obiettivi: coordinano la promozione della salute e l’integrazione sociale, l’assistenza sanitaria collettiva in ambiente di vita e di lavoro, la prevenzione primaria e le attività di educazione alla salute di tutti i cittadini. I centri di salute sono un’articolazione territoriale del distretto, i terminali attraverso cui il distretto realizza la rete della presa in carico e della continuità dell’ assistenza: in particolare essi offrono servizio infermieristico ambulatoriale (prelievi – terapia – medicazioni),  CUP (prenotazioni, scelta e revoca del medico etc.), servizio sociale, vaccinazioni; autorizzazioni (presidi per diabete, incontinenza, alimenti, materiale da medicazione), cure domiciliari (prestazioni infermieristiche/mediche/riabilitative specialistiche/ domiciliari), servizio consultoriale (Consulenza ginecologica – ostetrica), servizio specialistico ambulatoriale (odontoiatria). (dalle brochure informative diffuse in rete)

Nel nostro dialogo al telefono la dottoressa ci ha riferito di avere seguito a Gualdo Cattaneo e frazioni 21 positivi e 5 ricoveri.

Un focolaio è stato tracciato seguendo una persona che era stata nelle centro Italia, in una zona a rischio, ed ha contagiato la famiglia, ed un gruppo di persone presenti ad una festa a cui aveva partecipato. Un altro caso ha riguardato una persona risultata positiva presente ad un seggio che ha contagiato altre due persone presenti nelle urne. (la governatrice della Regione Tesei recentemente eletta ha rinunciato al suo mandato in Senato e sono state convocate delle nuove elezioni per sostituirla nei seggi dove era eleggibile). La situazione nella piccola frazione Pozzo di Gualdo Cattaneo ad alta densità di socializzazione comunitaria è stata talmente grave che per un periodo la stessa è stata dichiarata zona rossa e la direzione della Asl ha deciso di fare un test rapido a tutta la popolazione (400 test rapidi).

Come ha funzionato la rete dei servizi? La ASL, ci racconta la dottoressa Giulianelli; ha fatto una forte campagna comunicativa nella quale si indicava che il cittadino oggetto di sintomi ascrivibili al coronavirus non avrebbe dovuto recarsi da solo in ospedale (anche se non sono mancati questi casi), ma telefonare ad un numero verde. L’iter che ci viene indicato è che il 118, quello attrezzato Covid 19 per malattie infettive, prende in carico il paziente che chiama o quello segnalato da un medico e lo porta negli ospedali convertiti per Covid 19. (Branca, Città di Castello e Pantalla)

Se i casi non sono così gravi i cittadini o medici generali di base chiamano il numero verde che fa il triage e passa il caso al medico del Distretto o del Dipartimento di Prevenzione che sono in turno di pronta disponibilità per la raccolta delle segnalazioni H24. In questo caso le operatrici e operatori del Distretto o DIP compilano una scheda con tutti i dati (non solo del paziente, ma anche relativi al futuro monitoraggio, ad esempio informazioni sui contatti che la persona ha intrattenuto nell’ultimo periodo) per predisporre o meno tampone o/e isolamento. L’articolazione differenziata delle attività prevede che del tampone si occupi il Distretto, mentre a carico del Dipartimento di Prevenzione è la compilazione della scheda di sorveglianza, che elabora i casi attraverso un’équipe preposta. Gli assistenti sanitari, gli infermieri che si occupano poi della sorveglianza devono monitorare giornalmente il paziente: stato di salute, temperatura corporea ed altri aspetti e soprattutto la rete dei suoi contatti. (come va? Hai avuto altri sintomi, hai avuto contatti???) Tutte le informazioni sono raccolte e digitalizzate in una piattaforma, una banca dati regionale a cui attinge la Protezione Civile. La medica mi riferisce che prima più operatori avevano per un periodo le password, poi però sono state riservate solo ad alcune persone accreditate dalla direzione del Distretto per motivi di privacy.

Per quanto riguarda i tamponi, questi sono realizzati da un pool di infermieri su programmazione distrettuale (lo stesso che decide se isolamento, tampone o entrambi). Ci sono più punti di raccolta perché i tamponi possono essere raccolti con test rapidi (che devono essere ancora accreditati, perché danno falsi negativi), oppure essere realizzati come tamponi faringei. Il distretto organizza i tamponi a domicilio, nelle residenze. È stato anche organizzato in un caso un punto raccolta dove si è recata la popolazione e per la durata di 3 giorni sono stati realizzati 480 tamponi. 

La medica ci racconta come la relazione con il medico di base in questi luoghi è molto forte, il medico conosce bene il paziente ed è un anello importante di relazione e informazione. D’altra parte i medici di base non fanno più molto visita domiciliare e dopo il Covid 19, c’è stato un bando nazionale che ha messo a disposizione un pool di medici volontari (retribuiti), l’UscaUnità Sanitarie di Continuità Assistenziale- professionisti che si recano a domicilio per fare assistenza ai soggetti con sintomi febbrili. Nel caso di necessità l’Usca può avvalersi di specialisti che si recano a domicilio e garantiscono una diagnostica di primo livello (ECG).

L’integrazione dei servizi sanitari e ospedalieri in Umbria a livello locale e la presenza di una forte infrastruttura sanitaria pubblica hanno favorito un approccio complessivo efficace: test a tappeto, tracciamento dei contatti e limitazione del contatto con le strutture sanitarie, ove possibile attraverso team diagnostici mobili e un attento monitoraggio a domicilio. Il tutto facilitato da una rapida comunicazione attraverso un sistema informatico che collegava il laboratorio, i medici di base e le unità sanitarie pubbliche locali. E’ un modello consolidato, mi dice la medica, la struttura tiene, anche se tiene sulla nostra pelle! Il personale- conferma la dottoressa Giulianelli- è stato ridotto negli anni drasticamente. Mentre dialoghiamo con lei sentiamo al telefono la voce del suo compagno con cui ha condiviso questo duro periodo di quarantena e lavoro, ansie e fatiche: Elio non è un medico, ma è proprio lui che si ricorda con precisione l’esatto numero di tamponi, di pazienti ammalati, di casi e nonché le notti in bianco affrontate. Nel momento della pandemia, la salute è una vera questione “comune”, che riguarda e coinvolge tutt*!

Le infrastrutture della salute pubblica e comune

In Umbria esiste tradizionalmente una forte attenzione alla salute pubblica che ha prodotto, oltre alla “scuola” di Antropologia Medica e alla Fondazione Angelo Celli per una cultura della salute animate dal prof. ssore Tullio Seppilli, l’esistenza di un Centro Sperimentale per la promozione della Salute e l’Educazione Sanitaria della Università degli Studi di Perugia che ha formato generazioni di epidemiologi e specialisti vari, impegnati nel tempo ad operare interventi e programmazione nei servizi. Un monitoraggio attento nel tempo dei servizi socio-sanitari è stato assicurato ad esempio dalla rivista Sistema Salute. La rivista italiana di promozione sanitaria ed educazione alla salute, con una attenzione particolare alla presa in carico della salute pubblica nei termini di salute di prossimità nelle comunità territoriali. Il modello capillare di rete dei servizi, costruito nel lavoro degli anni ’80 ha subito continue variazioni e contraccolpi a partire dagli anni ’90, come nel resto del territorio italiano in cui ha preso piede il modello neoliberale dell’etica della responsabilità individuale che orientato sempre più i servizi verso soluzioni “individualizzate”. Secondo l’epidemiologo dott. Romagnoli – che in passato si è occupato di programmazione sanitaria per la regione e che attualmente lavoro nella associazione ISDE, medici per l’ambiente- anche l’Umbria ha risentito negativamente delle linee politiche nazionali volte a fare prevenzione solo verso i determinanti individuali (fumo, dieta, alimentazione ed alcool). D’altra parte gli stessi recenti scandali che hanno investito la classe politica locale testimoniano la situazione di lento declino in cui si trova da tempo questa piccola regione, che pur vanta un passato ricco di una tradizionale osmosi tra riflessione ed intervento nel welfare, eredità delle importanti lotte degli anni’ 70 che hanno coinvolto attivamente la popolazione (in particolare quelle che hanno investito la trasformazione dei manicomi e l’istituzione dei servizi consultoriali). 

A fronte di tutto ciò abbiamo visto che la parziale rete territoriale dei servizi, depauperata e depotenziata ha svolto un ruolo importante nell’assumere il compito di sostenere la salute come bene comune (e quindi non solo relativo ai singoli individui). La pandemia ci svela, infatti, la centralità della cura nella dimensione stessa della relazione, della vita comune riproduttiva. 

In un importante e significativo articolo dal titolo Ne les laissons plus décider de nos vies (pubblicato online su Mediapart il 20 aprile 2020) l’antropologo Alain Bertho ricorda dopo la comparsa dell’Aids le lotte degli attivisti di Act-up che hanno imposto la necessità di ripensare come la salute pubblica sia una questione di democrazia della salute, diritti umani e conoscenza condivisa. L’antropologo ci racconta come nel momento della pandemia a fronte di una sostanziale incompetenza e inadeguatezza del governo francese si siano mobilitate una miriade di attività dall’interno delle strutture del welfare pubblico che hanno messo in gioco una straordinaria etica e competenza professionale di donne e uomini. Ma la salute non è solo questione di welfare pubblico è anche e una questione comune, che riguarda tutt* e la capacità di reazione popolare in Francia ha mostrato una intelligenza collettiva complessiva, mobilitando un impegno reciproco, una capacità organizzativa di prendersi cura gli uni degli altri: associazioni, sindacati, gruppi di volontari, gli stessi gilet gialli e in particolare le donne si sono attivati per raccogliere e portare cibo alle persone, produrre e distribuire mascherine, sostenere i bambine e bambini con attività a distanza, utilizzare la rete e i gruppi whatsapp per diffondere informazione ed aiutarsi, etc. La stessa straordinaria capacità di mobilitazione dal basso l’abbiamo vista esprimersi in Italia, e qui in Umbria dove sono spuntati in alcuni quartieri panieri che raccoglievano beni di prima necessità per redistribuirli gratuitamente, aperitivi in balcone di socialità solidale, gruppi di raccolta denaro per spese sociali, tutoraggio in rete per autoprodurre mascherine, condomini solidali per la spesa agli anziani)

Bertho sottolinea il sapere che anima queste abilità e queste pratiche e cita Michel Foucault che chiama “conoscenza del soggetto”, “tutta una serie di conoscenze che si sono qualificate come conoscenza non concettuale, come conoscenza insufficientemente sviluppata, conoscenza ingenua, conoscenza gerarchicamente inferiore, conoscenza al di sotto del livello di conoscenza o scientificità richiesta”. Lo studioso osserva come questa conoscenza sia una base comune condivisa “quella dello psichiatra, quella dei malati, quella dell’infermiera, quella del medico, ma parallela e marginale rispetto alla conoscenza medica “. E ancora: “Questa “conoscenza delle persone” non è ciò che viene chiamato “buon senso”, ma conoscenza che è sia “locale” che critica per l’ordine delle cose.” 

Bertho rileva, inoltre, come siano proprio queste abilità collettive che riguardano la riproduzione e che normalmente si traducono in attività di cura, di sostegno reciproco, che da tempo sono state vampirizzate da una forma di capitalismo che chiamiamo capitalismo “piattaforma”. L’antropologo osserva come l’uberizzazione dei servizi urbani non sia altro che un dispositivo per sfruttare questa forza lavoro e conoscenze informali in grado di auto-organizzarsi. 

Per questo motivo le piattaforme in cui convergono, conoscenze e informazioni, diventano un luogo importante di discussione, contesa, conflitto e riappropriazione; esse aprono alla medicina digitalizzata di domani – le banche dati sui pazienti diventano vettori importanti per monitorare la salute e strutturare eventualmente app collegate- ma le scelte politiche su questi temi non sono affatto neutre. L’utilizzo di tecnologie digitali per la lotta al contenimento ed alla diffusione del virus saranno al contrario determinanti nel disegnare domani il rapporto tra i cittadini e la democrazia. Dopo l’emergenza pandemia, l’accesso ai dati personali della popolazione (a partire dai dati sanitari), potrebbe tradursi in una occasione per consolidare o creare nuovi poteri e contribuire a realizzare una società della sorveglianza svuotando le libertà civili e sociali. Per limitare questa concentrazione di potere è importante aumentare il controllo democratico sulle piattaforme sociali e sostenere lo sviluppo delle infrastrutture digitali come servizio di welfare.

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