EuroNomade

 Spazi costituenti. Europa, Lotte, Mondo

18-21 settembre 2014 – Auditorium Urbani

 Passignano sul Trasimeno (PG)

Programma

 

Giovedì 18 settembre – Ore 18

A proposito del capitalismo estrattivo: approssimazioni politiche

David Harvey discute con Miguel Mellino, Sandro Mezzadra, Toni Negri e Benedetto Vecchi.

 

Venerdì 19 Settembre – giornata dedicata al ‘Sindacalismo Sociale’

> Ore 10.30 -13 “Sindacalismo sociale”: what’s in a name?

Relatori: Michael Hardt, Raul Sánchez, Giso Amendola

> Ore 14,30 – 18 – Workshop

Primo Panel: Tra lavoro e vita: Istituzioni del comune e negoziazione sociale

Secondo Panel: Il sindacalismo sociale e i nuovi spazi per l’organizzazione

Hanno aderito fino a questo momento: Markos Trogoto, Paolo Di Vetta, Alfonso De Vito, Alioscia Castronovo, Mareas, Maria Rosaria Marella, Studenti universitari, Valery Arzaga, Nicola Carella, Sabrina Apicella, Maurillio Pirone, Francesco Caruso, Roberto Ciccarelli, PAH…

>>> A latere dei due panel, durante la giornata si terranno tavoli di discussione intorno a situazioni specifiche: è al momento già programmato un incontro su Università, lotte e saperi nell’Accademia ‘post-riforma’

 

Sabato 20 settembre 2014 – giornata dedicata a Europa/Mondo

> Ore 10

1. Mediterraneo: Sandro Mezzadra introduce e coordina gli interventi di Francesco Festa, Ugo Rossi e Martina Tazzioli

2. Est: Toni Negri introduce e coordina gli interventi di Srecko Horvat e Simone Pieranni

3. Atlantico: Benedetto Vecchi introduce e coordina gli interventi di Vincenzo Comito e Raf Sciortino

> Ore 19  Dibattito sulla situazione brasiliana ed elementi di bilancio sulle esperienze latinoamericane di questi anni con Giuseppe Cocco (Coordina Sandro Mezzadra)

Ore 22 – Serata politico-letteraria

Wu Ming 2 e Contradamerla presentano il nuovo reading musicale  SURGELATI. Opera a 10 mani per scrittore e rock band.

 

 

Domenica 21 settembre – Ore 10,30: Assemblea conclusiva

 ***

Sinossi del programma: prime note sui temi qualificanti del seminario

1. Europa/mondo

Porre oggi la questione dei rapporti tra l’Europa e il mondo significa invitare a riflettere sui molteplici elementi di blocco che caratterizzano l’attuale congiuntura a livello globale. La stagnazione economica, che in Europa è come raddoppiata dalla crisi costituzionale del processo di integrazione, riguarda infatti – sia pure in forme e con effetti differenziati – buona parte del mondo. La debolezza strutturale della “ripresa” negli Stati Uniti è ormai ampiamente riconosciuta, così come il carattere arbitrario della sovranità monetaria globale del dollaro. Gli stessi “Paesi emergenti”, a partire dall’asse BRICS, scontano crescenti difficoltà, riconducibili in parte a fattori interni e in parte all’approfondimento dell’interdipendenza sul mercato mondiale.

Una cosa ci pare certa: il mondo che si era profilato dopo l’’89, organizzato attorno alla netta supremazia statunitense, non esiste più. La sconfitta in Afghanistan e in Iraq ha segnato il tramonto dell’illusione che il soft power statunitense, unitamente alla sua traduzione nelle alchimie della global governance, potesse governare il processo di globalizzazione. Il sostanziale fallimento dei negoziati avviati a Doha dalla WTO (certificato dal rifiuto indiano di accettare la bozza di accordo definita lo scorso anno a Bali) mostra chiaramente questa crisi. L’emergere di nuovi nazionalismi economici (dalla Russia alla stessa India, per fare soltanto due esempi) contribuisce ad approfondirla: ed è appena il caso di notare che tendenze in questo senso sono bene presenti anche in Europa, nella politica commerciale tedesca ma anche dietro l’affermazione di forze “euroscettiche” in molti Paesi. Lo stesso cambiamento di strategia nella politica statunitense, che punta oggi su due iniziative parallele – la Trans-Pacific Partnership (Tpp) e la Transatlantic Trade and Investment Partnership (Ttip) – per isolare la Cina e la Russia e ristabilire margini di egemonia geo-economica a livello globale, sconta la debolezza delle basi materiali di un capitalismo atlantico che non si è ancora ripreso dalla devastante crisi del 2008.

E’ proprio la lunga durata della crisi a rendere precaria ogni ipotesi di stabilizzazione dei rapporti globali. Questa precarietà si esprime tra l’altro nelle crisi e nelle guerre devastanti che continuano a svilupparsi ai confini dell’Europa: dall’Ucraina alla Libia, dalla Siria alla Palestina, con una progressione che arriva a lambire i confini iraniani e a infiltrarsi nell’Africa sub-sahariana. Non bisogna in ogni caso dimenticare che l’Europa, con le tensioni che la attraversano, è di fatto un terreno di conflitto decisivo per la stessa competizione globale delle potenze imperiali. La stessa impotenza del movimento contro la guerra in Europa (la nostraimpotenza) si misura qui a partire dall’incapacità di far fronte a nuove dimensioni di conflitto, in cui spettacolari rivolgimenti geo-strategici (la riapertura del rapporto tra Russia e Cina, ad esempio, ma anche i nuovi margini di manovra di Paesi come Turchia e Iran, o l’oggettivo profilarsi di un contrasto tra USA e Arabia Saudita) spesso oscurano le pur presenti rivendicazioni di grandi masse popolari. E’ anche nella prospettiva di ripensare l’orizzonte strategico della mobilitazione contro la guerra che ci pare urgente una riflessione sui rapporti tra Europa e mondo, o sulla posizione dell’Europa in un mondo in tumultuosa trasformazione ma al tempo stesso segnato da una esiziale stagnazione.

Nei primi anni Sessanta dell’Ottocento, in piena guerra civile americana e tra le due prime crisi globali del capitalismo (quella del 1857 e quella del 1873), Marx esaltava la maturità della classe operaia inglese che, schierandosi risolutamente contro la schiavitù nel Sud degli Stati Uniti, si era ormai dimostrata capace di intervenire negli stessi “misteri della politica internazionale”. In un mondo radicalmente mutato, vogliamo riprendere questa indicazione di Marx. Siamo convinti che le lotte sociali in Europa debbano porsi immediatamente (verrebbe quasi da dire: come problema di “politica interna”) il problema di un intervento sugli equilibri e sugli squilibri globali. In questione non è qui semplicemente la “solidarietà internazionalistica”: la qualità della libertà e dell’uguaglianza che sapremo conquistare nei prossimi anni dipenderà direttamente dall’evoluzione del quadro globale, al pari di quanto la posizione dell’Europa in questo quadro (la sua capacità di essere forza di pace e di redistribuzione della ricchezza) dipenderà dalla spinta delle lotte sociali. E’ per questa ragione che i temi a cui abbiamo deciso di dedicare quest’anno il seminario di Passignano (“sindacalismo sociale” e “Europa/mondo”) sono per noi strettamente collegati.

In questo quadro vorremmo strutturare la discussione di sabato 20 settembre. Senza alcuna pretesa di esaustività proponiamo di assumere tre assi di riflessione: il Mediterraneo, l’Est e l’Atlantico. E’ evidente che quest’ultimo asse – quello atlantico – tocca direttamente la struttura dell’Europa, sia dal punto di vista di finanziario (in primo luogo per il peso della City di Londra) sia dal punto di vista strategico e militare (la NATO). Si può cominciare a pensare una rottura di questo asse atlantico che, non paradossalmente, sia funzionale alla ricostruzione di una comunanza di interessi e di lotta negli Stati Uniti e in Europa? Per quel che riguarda l’est, ci interessa discutere delle prospettive aperte da una nuova ipotesi di alleanza strategica tra Cina e Russia, in particolare sul terreno della politica energetica, che tocca direttamente l’Europa, ben al di là del suo confine orientale. E’ ipotizzabile una nuova forma di apertura dell’Europa verso est, che metta in discussione il nazionalismo economico e l’autoritarismo di Putin senza essere al servizio della NATO? Per quel che riguarda il Mediterraneo, infine, vorremmo partire da una riflessione su una duplice continuità, che ci interpella direttamente: quella dei movimenti e delle lotte del 2011 e quella delle migrazioni attraverso il Mediterraneo. D’altro canto, parlare di una continuità dei movimenti del 2011 non significa, evidentemente, sottovalutare la congiuntura letteralmente “reazionaria” che caratterizza un’ampia parte del mondo arabo: è anzi in questa cornice che vorremmo ragionare sulla stessa aggressione israeliana a Gaza, sull’attivismo delle petromonarchie del Golfo, sulle trasformazioni dell’islamismo e sui rivolgimenti delle alleanze che emergono in particolare sullo sfondo della devastante guerra siriana. Al tempo stesso, vorremmo insistere sul carattere strategico delle sfide – politiche, economiche, perfino “culturali” – poste all’Europa dalle migrazioni: è nel Mediterraneo che si giocano alcune delle partite decisive per la costruzione di un’Europa per cui valga la pena di lottare.

 

2. Sul cosiddetto ‘sindacalismo sociale metropolitano’

Porsi il problema dell’Europa significa affrontare la questione delle spazialità e delle forme di organizzazione politica, nella nuova geografia – che in modo instabile – sembra prendere corpo nella crisi.

Dopo circa sei anni dall’apertura delle turbolenze nei mercati finanziari statunitensi, è forse possibile parlare di crisi-ciclo, e non più della crisi nei termini di un fenomeno in grado di scandire il tempo della ristrutturazione capitalistica tra cicli (più o meno lunghi) di sviluppo. Nella crisi-ciclo, data la sua estensione, assistiamo al succedersi di fasi interne, in cui adesso sembra prendere corpo un cambiamento nello stesso management della crisi.

La politica monetaria adottata dalla BCE, esercitando una forma di comando sul mercato finanziario, è stata in grado di frenare le spinte centrifughe che premevano per l’implosione dello spazio europeo, ma contemporaneamente sembra del tutto incapace di chiudere la fase recessiva o di stagnazione delle economie europee. I meccanismi di trasmissione tra “capitale finanziario” e “capitale produttivo”, su cui si era basata la novità neoliberale del money manager capitalism, sembrano essere entrati in una nuova fase di riconfigurazione, senza che questo significhi la profonda modifica della logica di accumulazione finanziaria così come l’abbiamo conosciuta – su cui poggiano i dispostivi della «macchina estrattiva» del valore. La ferrea disciplina di bilancio dell’austerity, sembra lasciare spazio, soprattutto in alcuni paesi europei (come in Italia e in Germania), alla costruzione di deboli politiche «equitative» che attraverso il recupero marginale dei livelli salariali, hanno ottenuto l’effetto politico di ristabilire un nuovo ordine del discorso, piuttosto che produrre un effetto diretto nella ripresa del ciclo economico, attraverso il rilancio dei consumi. Proprio in queste ore, come contraltare a queste politiche «equitative» marginali, sembra seguire l’ipotesi oramai reale di nuovi tagli della spesa pubblica in diversi paesi europei, che sembrano riaprire l’ennesimo approfondimento delle politiche di privatizzazione del welfare.

All’interno di questo scenario, occorre chiedersi come si collocano, e quali possibili linee di sviluppo sono capaci di intraprendere, le esperienze di lotta che negli ultimi anni hanno attraversato lo spazio europeo.

Ben lungi dall’essere semplicemente reazioni difensive contro le politiche di austerity di smantellamento del welfare state universale, compressione dei salari e aumento dell’impoverimento, queste lotte presentano un carico di sperimentazione e innovazione capace forse di imprimere una nuova fisionomia alle forme di organizzazione dei conflitti sociali. Pratiche di riappropriazione del reddito, autogestione dei servizi, esperimenti di mutualismo, nuove forme di conflitti sul lavoro e per il salario, esperienze di istituzionalità autonoma: abbiamo provato a designare questo variegato arcipelago di esperienze con l’espressione «sindacalismo sociale». L’utilizzo di questo termine (non privo di ambiguità), più che fornire una proposta, ci è utile ad avviare una ricerca su quegli esperimenti di nuova organizzazione sociale dei conflitti che ci sembrano far emergere tratti comuni e ricorrenti. Tra questi, due sono quelli su cui maggiormente vogliamo puntare l’attenzione. In primo luogo queste esperienze organizzative hanno saputo stabilire collegamenti, alleanze e coalizioni inedite fra soggettività separate nel mercato del lavoro e nelle istituzioni del welfare state disarticolando le classiche divisioni su cui si sono nel tempo consolidate le tradizionali strutture sindacali. In secondo luogo, queste lotte tentano di sperimentare nuove forme di negoziazione sociale. Qui alla ripresa delle lotte sul salario diretto e indiretto, si affiancano pratiche di gestione «comune» dei servizi e degli spazi urbani, rivendicazioni che puntano all’affermazione e al riconoscimento di istituzioni radicalmente alternative alle logiche dello Stato e a quelle del mercato. Sindacalismo sociale, dunque, è il nome comune con il quale vogliamo mettere in luce quel terreno di lotta nel quale i confini tra vita e lavoro, rivendicazioni e invenzione di nuova soggettività si fanno mobili, labili e incerte.  Sarebbe tuttavia limitato soffermarsi unicamente sul resoconto di queste esperienze. Crediamo che occorra oggi interrogarle a partire dalla loro capacità di produrre una propria spazialità transnazionale, capace di disarticolare le asimmetrie e le gerarchie della geografia economica europea. Questo crediamo sia il terreno sul quale si presenta la principale sfida per i movimenti sociali. Se da un lato l’accelerazione impressa dalle politiche di gestione della crisi con le cosiddette «riforme strutturali» ha oramai da tempo prodotto una significativa convergenza tra le politiche del mercato del lavoro e tra i sistemi di workfare nazionali, dall’altro assistiamo alla moltiplicazione dei confini interni allo spazio europeo e all’approfondimento delle dissimmetrie fra le macro-regioni che lo compongono.

L’urgenza di ripensare «organizzazione» e «negoziazione» su un piano esteso, attraversa oggi il dibattito dei movimenti europei consapevoli dell’impossibilità di agire un rapporto di forza vincente all’interno dei confini nazionali. Questo sarà il filo rosso che attraverserà la giornata del 19 settembre, dedicata alle tematiche del sindacalismo sociale. Intendiamo strutturare la giornata intorno a due assi principali di riflessione. Il primo proverà ad interrogare gli esperimenti di nuova istituzionalità del comune che si sono prodotti nelle lotte in Europa, approfondendo alcuni elementi di blocco, a partire soprattutto dalla difficile definizione di nuovi spazi di negoziazione sociale. Come si definisce il rapporto tra esperienze di autogoverno e negoziazione? Il secondo asse, invece, ha lo scopo di indagare le pratiche di «sindacalismo sociale» come nuovo campo di organizzazione politica. Le esperienze di lotta sul lavoro e sul terreno della riproduzione sociale quali sentieri di organizzazione possono alludere nello scenario europeo?  Questi due ambiti di riflessione saranno affrontati all’interno di due workshop dedicati. La giornata si aprirà con un momento seminariale nel quale discuteremo del modo in cui le esperienze del sindacalismo sociale si collocano all’interno dei cicli di mobilitazione moltitudinaria, stravolgendo, fino a renderla indistinguibile, la classica divisione fra lotte economiche e lotte politiche.

Download this article as an e-book

Print Friendly, PDF & Email